Vincitore terzo ciclo #LARIOARSCOVID19

Il progetto il COVID-19 2020 ha terminato il terzo ciclo (27 aprile – 10 maggio). Nel contest #LARIOARSCOVID19 è stato proclamato vincitore l’artista: Annalisa De Marzi:

Elaborato fotografico in una serie di otto fotografie Titolo: “24/03/2020

Realizzate in una stanza, soggetto principale è una sorta di scultura evocativa in fil di ferro.
“Trasmetto le mie sensazioni, la mia inquietudine; il virus lo immagino debole, scarno e incompleto, inumano, incapace di muoversi e di dialogare, ma soprattutto di ragionare. Si nutre di noi, non può cambiare il suo stato e a sua volta cambia noi, ci desidera ma non ha la capacità di comprendere che a un respiro rubato ne deriva uno mancato”.
(Ho realizzato una sagoma umana per la parte superiore del corpo con del fil di ferro -un braccio, polmoni, spina dorsale e una parte del bacino. Per la parte inferiore del corpo ho utilizzato dei collant).

RECENSIONE:

L’autore ci presenta una realizzazione sobria e diretta delle sue sensazioni al fine di trasmettere un puro messaggio senza fronzoli, il fine è, come lei stessa dice, arrivare direttamente agli animi e realizzare un contatto empatico con l’osservatore: un virus ‘sconosciuto’ che ci rende inermi. Allo scopo indaga le possibilità espressive del mezzo fotografico, dallo scatto ai movimenti della camera, alla luce utilizzando anche la normale ripresa rivolta ad aspetti della realtà che già offrono forme astratte, senza necessità di ricorrere a elaborazioni o trattamenti.
L’artista sapientemente ridurre la sua tavolozza al bianco e nero per attirare l’attenzione sul soggetto/concetto: la sagoma umana e la sua impotenza. E’ una scelta liberatoria: senza la complessità del lavoro a colori sperimenta con le forme, i materiali e le consistenze, un puro “atto creativo”. Il bianco e il nero nell’arte hanno il potere di generare un’immediata tensione, di creare “disorientamento”, di comunicare senza necessità di ulteriori intermediari che non siano se stessi; non serve nemmeno una forma precisa o sfondi riconoscibili; non occorre fare altro che lasciarsi investire dal puro messaggio affidato alla luce. Questi due colori sono “le estremità” del cerchio cromatico: il bianco contiene tutti i colori, e richiama l’idea di fusione e di luminosa unione; il nero è invece un’assenza di colore, e si lega dunque all’idea di vuoto, del buio, del vacuo, dell’assente, appunto.
Ma il bianco e il nero agiscono sul nostro sistema percettivo e comunicano molto di più dei loro significati “tradizionali”; occhio e mente ne sono attivati e interagiscono alla ricerca (inconscia) di sensi più profondi, di mondi, di intimità, di misteri svelati dall’incastro perfetto di luce bianca e luce nera.
L’artista fa uso della fotografia astratta permettendo così alla propria fantasia di vedere le cose, di inventare forme e soggetti nella scena fotografata e adotta un approccio riduzionista: invece di raffigurare un oggetto in tutta la sua ricchezza, ne esplora poche componenti. Importante per lei non è la qualità formale, ma la realizzazione di un’opera in risonanza col proprio mondo interiore, lo stati d’animo e la visione sul futuro, una connessione tra mente, natura e sentimenti attraverso una fotografia dal carattere meditativo.

Annalisa De Marzi “24/03/2020″

Il fotoastrattismo

Le radici verso l’astrazione si trovano già nel Romanticismo, nell’Impressionismo e nell’Espressionismo, dove gli artisti mirano alla sensazione visiva delle cose. Le origini della fotografia astratta, converge con quella del modernismo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX. Il fatto che una fotografia sia difficilmente riconoscibile non è incompatibile con la propria definizione “stampa della luce su una superficie fotosensibile”. Infatti l’immagine fotografica rimane sempre la rappresentazione di qualcosa, anche se il fotografo utilizza vari processi (rapporto luce-ombra, punto di vista scorciato, estremo avvicinamento della macchina fino a rendere l’oggetto irriconoscibile). Nella fotografia astratta la luce rimane un principio fondamentale con la funzione non solo di rivelare e rendere visibile, ma anche di essere sfruttata come soggetto stesso.
Nel ventesimo secolo nasce in america il concetto di “Fotografia diretta” (straight photography) lanciata dai fotografi americani come Alfred Stieglitz, Aaron Siskind, e altri, mentre in europa la sperimentazione estetica deriva dall’avanguardismo europeo di Laszlo’ Moholy-Nagy e altri. Cogliere la realtà fatta di oggetti di uso quotidiano che di solito sfuggono all’occhio umano, sottolineando processi fotografici come inquadratura, illuminazione, messa a fuoco e punto di vista, le immagini risultanti sfruttato il formalismo puro.
Ad esempio Siskind degli anni 1930 e 1940 riesce a esaltare soggetti apparentemente insignificanti e quotidiani, come muri scrostati, superfici urbane o elementi naturali. Isolati dalla realtà questi soggetti creano delle composizioni geometriche dall’incisiva rilevanza metaforica che instaurano un rapporto con lo spettatore, il quale è invitato a partecipare alla creazione di senso della fotografia. Aaron Siskind, “Gloucester 16 A”, 1944.

Ricordiamo anche Man Ray che lavora sui fotogrammi: trasforma l’identità di oggetti in apparizioni astratte. Realizza la serie “Unconcerned Photograph” 1959: otto fotografie scattate all’interno del suo studio di Parigi, muovendo la macchina fotografica nella fase di scatto. Questo progetto nasce su commissione della Polaroid, che fornisce all’artista delle pellicole in bianco e nero con cui lavorare.

Aaron Siskind

Man Ray “Unconcerned Photograph” 1959