TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

TRATTATO DELLA PITTURA
di
LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

Il trattato della pittura di Leonardo è una raccolta di pensieri e appunti tratti dai suoi manoscritti. Leonardo durante la sua vita cominciò a scrivere diversi trattati ed una serie grandissima di appunti e disegni. Tutto questo materiale dopo la morte del maestro, fu affidato a Francesco Melzi, che lo custodì. Insieme ad altro materiale rinvenuto, fu ricopiato e compilato. Si tratta quindi di un’opera composita, compilata da un allievo e pubblicata solo dopo la morte dell’artista. L’intenzione di Leonardo di comporre una grande opera sulla pittura è nota, però non è certo se essa sia stata mai completata. La migliore raccolta pervenutaci è quella del Codice Urbinato 1270 della Biblioteca Vaticana. Il Trattato comprende 935 paragrati o capitoli.
L’organicità dello scritto fa pensare che Leonardo avesse concepito il Trattato suddiviso in due grandi sezioni. La prima teorica, dove afferma i principi ideologici e filosofici della pittura, con i principi della prospettiva, di luci e ombre. Una seconda pratica, in cui il maestro dà una serie di consigli e precetti, sulle proporzioni di corpi e figure e sulla rappresentazione dei moti e degli elementi naturali. Il filo conduttore del Trattato, è l’esercizio dell’arte di saper osservare quasi scientificamente e cogliere i segreti della natura e tutti gli aspetti che ne determinano la percezione visiva.
Il Trattato si apre con una disputa, sulla preminenza della pittura (arte prediletta di Leonardo) rispetto alle altre arti. Così la pittura vince la scultura perché, a differenza di questa, può abbracciare tutte le cose visibili e disponendo solo di una superficie piana, deve conquistare, rilievo e profondità spaziale. Anche la musica è sorella minore della pittura poiché muore nello stesso momento in cui nasce, mentre il disegno resta nel tempo. La disputa si conclude con un’esaltazione della pittura. Inizialmente vengono enunciati alcuni precetti generali di studio e di vita, quindi segue la trattazione, delle varie parti della pittura. Leonardo si occupa del variare delle proporzioni nel moto e grande attenzione è rivolta al linguaggio dei gesti e alla fisiognomica. Il maestro espone anche la teoria della prospettiva, che distingue, in geometrica e lineare. L’ultima parte del Trattato contiene osservazioni sul paesaggio, sugli alberi, le nuvole e l’orizzonte. Leonardo è forse l’unico grande pittore e pensatore, che con il pretesto della pittura ha illustrato il suo pensiero, egli formula leggi su tutto ciò che lo interessa, abbinando arte, conoscenza scientifica e filosofica, ma la pittura resta sempre, per lui, il modo supremo di esprimere la realtà, attinta attraverso la conoscenza.

INDICE
 

PAGINA1

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
PRIMO VOLUME
Parte prima

1. Se la pittura è scienza o no.
2. Esempio e differenza tra pittura e poesia.
3. Quale scienza è più utile, ed in che consiste la sua utilità.
4. Delle scienze imitabili, e come la pittura è inimitabile, però è scienza.
5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de’ corpi, ed in quelli si estende.
6. Come la pittura abbraccia le superficie, figure e colori de’ corpi naturali, e la filosofia sol s’estende nelle lor virtù naturali.
7. Come l’occhio meno s’inganna ne’ suoi esercizi, che nessun altro senso, in luminosi, o trasparenti, ed uniformi, e mezzi.
8. Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia, né la natura.
9. Come il pittore è signore d’ogni sorta di gente e di tutte le cose.
10. Del poeta e del pittore.
11. Esempio tra la poesia e la pittura.
12. Qual è di maggior danno alla specie umana, o perder l’occhio o l’orecchio.
13. Come la scienza dell’astrologia nasce dall’occhio, perché mediante quello è generata.
14. Pittore che disputa col poeta.
15. Come la pittura avanza tutte le opere umane per sottili speculazioni appartenenti a quella.
16. Differenza che ha la pittura con la poesia.
17. Che differenza è dalla pittura alla poesia.
18. Differenza infra poesia e pittura.
19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia.
20. Dell’occhio.
21. Disputa del poeta col pittore, e che differenza è da poesia a pittura.
22. Arguizione del poeta contro il pittore.
23. Risposta del re Mattia ad un poeta che gareggiava con un pittore.
24. Conclusione infra il poeta ed il pittore.
25. Come la musica si dee chiamare sorella e minore della pittura.
26. Parla il musico col pittore.
27. Il pittore dà i gradi delle cose opposte all’occhio, come il musico dà delle voci opposte all’orecchio.
28. Conclusione del poeta, del pittore e del musico.
29. Quale scienza è meccanica, e quale non è meccanica.
30. Perché la pittura non è connumerata nelle scienze.
31. Comincia della scultura, e s’essa è scienza o no.
32. Differenza tra la pittura e la scultura.
33. Il pittore e lo scultore.
34. Come la scultura è di minore ingegno che la pittura, e mancano in lei molte parti naturali.
35. Dello scultore e del pittore.
36. Comparazione della pittura alla scultura.
37. Escusazione dello scultore.
38. Dell’obbligo che ha la scultura col lume, e non la pittura
39. Differenza ch’è dalla pittura alla scultura.
40. Della pittura e della poesia.

PAGINA2

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
PRIMO VOLUME
Parte seconda

41. Del primo principio della scienza della pittura.
42. Principio della scienza della pittura.
43. Del secondo principio della pittura.
44. In che si estende la scienza della pittura.
45. Quello che deve prima imparare il giovane.
46. Quale studio deve essere ne’ giovani.
47. Quale regola si deve dare a’ putti pittori.
48. Della vita del pittore nel suo studio.
49. Notizia del giovane disposto alla pittura.
50. Precetto.
51. In che modo deve il giovane procedere nel suo studio.
52. Del modo di studiare.
53. A che similitudine dev’essere l’ingegno del pittore.
54. Del giudizio del pittore.
55. Discorso de’ precetti del pittore.
56. Precetto del pittore.
57. Precetti del pittore.
58. Dell’essere universale nelle sue opere.
59. Precetto.
60. Precetti del pittore.
61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure.
62. Dell’operatore della pittura e suoi precetti.
63. Modo d’aumentare e destare l’ingegno a varie invenzioni.
64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel letto allo scuro.
65. Piacere del pittore.
66. De’ giuochi che debbono fare i disegnatori.
67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica.
68. S’egli è meglio disegnare in compagnia o no.
69. Modo di bene imparare a mente.
70. Come il pittore non è laudabile s’egli non è universale.
71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare pittori.
72. Come il pittore dev’esser vago di udire, nel fare dell’opera, il giudizio di ognuno.
73. Come nelle opere d’importanza l’uomo non si deve mai fidare tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale.
74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le opere di Dio.
75. Delle varietà delle figure.
76. Dell’essere universale.
77. Dell’errore di quelli che usano la pratica senza la scienza.
78. Dell’imitare pittori.
79. Ordine del disegnare.
80. Del ritrarre di naturale.
81. Del ritrarre una qualunque cosa.
82. Come deve essere alto il lume da ritrarre di naturale.
83. Quali lumi si debbono eleggere per ritrarre le figure de’ corpi.
84. Delle qualità del lume per ritrarre rilievi naturali o finti.
85. Del ritrarre i nudi.
86. Del ritrarre di rilievo finto o di naturale.
87. Modo di ritrarre un sito col vetro.
88. Dove si debbono ritrarre i paesi.
89. Del ritrarre le ombre de’ corpi al lume di candela o di lucerna.
90. In che termine si debba ritrarre un volto a dargli grazia d’ombre e lumi.
91. Modo di ritrarre d’ombra semplice e composta.
92. Del lume dove si ritraggono le incarnazioni de’ volti, o ignudi.
93. Del ritrarre figure per istorie.
94. A imparare a far bene un posato.
95. In qual tempo si deve studiare la elezione delle cose.
96. Delle attitudini.
97. Per ritrarre un ignudo dal naturale od altra cosa.
98. Misure o compartizioni della statua.
99. Modo di ritrarre di notte un rilievo.
100. Come il pittore si deve acconciare al lume col suo rilievo.
101. Della qualità del lume.
102. Dell’inganno che si riceve nel giudizio delle membra.
103. Come al pittore è necessario sapere l’intrinseca forma dell’uomo.
104. Del difetto che hanno i maestri di replicare le medesime attitudini de’ volti.
105. Del massimo difetto de’ pittori.
106. Precetto, che il pittore non s’inganni nell’elezione della figura in che esso fa l’abito.
107. Difetto de’ pittori che ritraggono una cosa di rilievo in casa a un lume, e poi la mettono in campagna ad altro lume.
108. Della pittura e sua divisione.
109. Figura e sua divisione.
110. Proporzione di membra.
111. Del fuggire le calunnie de’ giudizi varî che hanno gli operatori della pittura.
112. De’ movimenti e delle operazioni varie.
113. Fuggi i profili, cioè i termini espediti delle cose.
114. Come nelle cose piccole non s’intendono gli errori come nelle grandi.
115. Perché la pittura non può mai parere spiccata come le cose naturali.
116. Perché i capitoli delle figure l’uno sopra l’altro è opra da fuggire.
117. Qual pittura è meglio usare nel far parer le cose spiccate.
118. Qual è più di discorso ed utilità, o i lumi ed ombre de’ corpi, o i loro lineamenti.
119. Qual è di maggiore importanza, o il movimento creato dagli accidenti diversi degli animali, o le loro ombre e lumi.
120. Qual è di più importanza, o che la figura abbondi in bellezza di colori, o in dimostrazioni di gran rilievo.
121. Qual è più difficile, o le ombre e i lumi, o pure il disegno buono.
122. Precetti del pittore.
123. Memoria che si fa l’autore.
124. Precetti di pittura.
125. Precetti di pittura.
126. Come fu la prima pittura.
127. Come la pittura dev’essere vista da una sola finestra.
128. Delle prime otto parti in che si divide la pittura.
129. Come la pittura si divide in cinque parti.
130. Delle due parti principali in che si divide la pittura.

PAGINA 3

131. Della pittura lineare.
132. Della pittura, cioè delle ombre.
133. Delle parti e qualità della pittura.
134. Della elezione de’ bei visi.
135. Della elezione dell’aria, che dà grazia ai volti.
136. Delle bellezze e bruttezze.
137. Delle bellezze.
138. De’ giudicatori di varie bellezze in varî corpi, e di pari eccellenza.
139. Come si debbono figurare i putti.
140. Come si debbono figurare i vecchi.
141. Come si debbono figurare le donne.
142. Come si debbono figurare le vecchie.
143. Come si deve figurare una notte.
144. Come si deve figurare una fortuna.
145. Come si deve figurare una battaglia.
146. Del modo di condurre in pittura le cose lontane.
147. Come l’aria si deve far più chiara quanto più la fai finire bassa.
148. A fare che le figure spicchino dal loro campo.
149. Del figurare le grandezze delle cose dipinte.
150. Delle cose finite, e delle confuse.
151. Delle figure che sono separate, acciocché non paiano congiunte.
152. Se il lume deve esser tolto in faccia alle figure, o da parte, e quale dia più grazia.
153. Della riverberazione.
154. Dove non può essere riverberazione luminosa.
155. De’ riflessi.
156. De’ riflessi de’ lumi che circondano le ombre.
157. Dove i riflessi de’ lumi sono di maggiore o minor chiarezza.
158. Qual parte del riflesso sarà più chiara.
159. De’ colori riflessi della carne.
160. Dove i riflessi sono più sensibili.
161. De’ riflessi duplicati e triplicati.
162. Come nessun colore riflesso è semplice, ma è misto con le specie degli altri colori.
163. Come rarissime volte i riflessi sono del colore del corpo dove si congiungono.
164. Dove più si vedrà il riflesso.
165. De’riflessi.
166. Riflessione.
167. De’ colori de’ riflessi.
168. De’ termini de’ riflessi nel loro campo.
169. Del modo d’imparar bene a comporre insieme le figure nelle istorie.
170. Del porre prima una figura nell’istoria.
171. Del collocar le figure.
172. Modo del comporre le istorie.
173. Del comporre le istorie.
174. Varietà d’uomini nelle istorie.
175. Dell’imparare i movimenti dell’uomo. .
176. Come il buon pittore ha da dipingere due cose, l’uomo e la sua mente.
177. Del comporre le istorie in prima bozza.
178. Di non far nelle istorie troppi ornamenti alle figure.
179. Della varietà nelle istorie.
180. Dell’istoria.
181. Convenienze delle parti delle istorie.
182. Del diversificare le arie de’ volti nelle istorie.
183. Del variare valetudine, età e complessione dei corpi nelle istorie.
184. De’ componimenti delle istorie.
185. Precetto del comporre le istorie.
186. Dell’accompagnare i colori l’uno con l’altro, in modo che l’uno dia grazia all’altro.
187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture.
188. De’ colori delle ombre di qualunque colore.
189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o propinque.
190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente.
191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell’occhio.
192. Colore d’ombra del bianco.
193. Qual colore farà ombra più nera.
194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d’aria.
195. Della prospettiva de’ colori.
196. Del colore che non si muta in varie grossezze d’aria.
197. Se i colori varî possono parere di una uniforme oscurità mediante una medesima ombra.
198. Della causa de’ perdimenti de’ colori e figure de’ corpi mediante le tenebre che paiono e non sono.
199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha lume da un altro simil colore.
200. De’ colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante i paragoni de’ loro campi.

PAGINA 4

201. Della mutazione de’ colori trasparenti dati o misti sopra diversi colori con la loro diversa relazione.
202. Qual parte di un medesimo colore si dimostra più bella in pittura.
203. Come ogni colore che non lustra è più bello nelle sue parti luminose che nelle ombrose.
204. Dell’evidenza de’ colori.
205. Qual parte del colore ragionevolmente deve esser più bella.
206. Come il bello del colore dev’essere ne’ lumi.
207. Del color verde fatto dalla ruggine di rame.
208. Aumentazione di bellezza nel verderame.
209. Della mistione de’ colori l’uno con l’altro, la qual mistione si estende verso l’infinito.
210. Della superficie d’ogni corpo ombroso.
211. Qual è la superficie più ricettiva di colori.
212. Qual parte del corpo si tingerà più del colore del suo obietto.
213. Qual parte della superficie de’ corpi si dimostrerà di più bel colore.
214. Delle incarnazioni de’ volti.
215. Modo per ritrarre di rilievo e preparare la carta per questo.
216. Della varietà di un medesimo colore in varie distanze dall’occhio.
217. Della verdura veduta in campagna.
218. Qual verdura parrà partecipare più d’azzurro.
219. Qual è quella superficie che meno che le altre dimostra il suo vero colore.
220. Qual corpo ti mostrerà più il suo vero colore.
221. Della chiarezza de’ paesi.
222. Prospettiva comune, e della diminuzione de’ colori in lunga distanza.
223. Delle cose specchiate nelle acque de’ paesi, e prima dell’aria.
224. Diminuzione de’ colori pel mezzo interposto infra loro e l’occhio.
225. De’ campi che si convengono alle ombre ed ai lumi.
226. Come si deve riparare quando il bianco termina in bianco o l’oscuro in oscuro.
227. Della natura de’ colori de’ campi sopra i quali campeggia il bianco.
228. De’ campi delle figure.
229. De’ campi delle cose dipinte.
230. Di quelli che in campagna fingono la cosa più remota farsi più oscura.
231. De’ colori delle cose remote dall’occhio.
232. Gradi di pittura.
233. Dello specchiamento e colore dell’acqua del mare veduto da diversi aspetti.
234. Della natura de’ paragoni.
235. Del colore dell’ombra di qualunque corpo.
236. Della prospettiva de’ colori ne’ luoghi oscuri.
237. Prospettiva de’ colori.
238. De’ colori.
239. Da che nasce l’azzurro dell’aria.
240. De’ colori.
241. De’ colori.
242. De’ campi delle figure de’ corpi dipinti.
243. Perché il bianco non è colore.
244. De’ colori.
245. De’ colori de’ lumi incidenti e riflessi.
246. De’ colori delle ombre.
247. Delle cose poste in campo chiaro, e perché tal uso è utile in pittura.
248. De’ campi.
249. De’ colori.
250. De’ colori che risultano dalla mistione d’altri colori, i quali si dimandano specie seconda.
251. De’ colori.
252. De’ colori specchiati sopra cose lustre di varî colori.
253. De’ colori del corpo.
254. De’ colori.
255. Del vero colore.
256. Del colore delle montagne.
257. Come il pittore deve mettere in pratica la prospettiva de’ colori.
258. Della prospettiva aerea.

PAGINA 5

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
PRIMO VOLUME
Parte terza

DE’ VARI ACCIDENTI E MOVIMENTI DELL’UOMO E PROPORZIONE DI MEMBRA

259. Delle mutazioni delle misure dell’uomo pel movimento delle membra a diversi aspetti.
260. Delle mutazioni delle misure dell’uomo dal nascimento al suo ultimo crescimento.
261. Come i puttini hanno le giunture contrarie agli uomini nelle loro grossezze.
262. Delle differenti misure che v’hanno fra i putti e gli uomini.
263. Delle giunture delle dita.
264. Delle giunture delle spalle, e loro accrescimenti e diminuzioni.
265. Delle spalle.
266. Delle misure universali de’ corpi.
267. Delle misure del corpo umano e piegamenti di membra.
268. Della proporzionalità delle membra.
269. Della giuntura della mano col braccio.
270. Delle giunture de’ piedi, e loro ingrossamenti e diminuzioni.
271. Delle membra che diminuiscono quando si piegano, e crescono quando si distendono.
272. Delle membra che ingrossano nelle loro giunture quando si piegano.
273. Delle membra degli uomini ignudi.
274. De’ moti potenti delle membra dell’uomo.
275. De’ movimenti dell’uomo.
276. Dell’attitudine e de’ movimenti delle membra.
277. Delle giunture delle membra.
278. Della membrificazione dell’uomo.
279. De’ membri.
280. Delle membrificazioni degli animali.
281. De’ moti delle parti del volto.
282. De’ movimenti dell’uomo nel volto.
283. Qualità d’arie de’ visi.
284. De’ membri e descrizione d’effigie.
285. Del fare un’effigie umana in profilo dopo averlo guardato una sola volta.
286. Modo di tener a mente la forma d’un volto.
287. Della bellezza de’ volti.
288. Di fisonomia e chiromanzia.
289. Del porre le membra.
290. Degli atti delle figure.
291. Dell’attitudine.
292. De’ movimenti delle membra, quando si figura l’uomo, che sieno atti propri.
293. Ogni moto della figura finta dev’essere fatto in modo che mostri effetto.
294. De’ moti propri dimostratori del moto della mente del motore.
295. De’ moti propri operati da uomini di diverse età.
296. De’ movimenti dell’uomo e d’altri animali.
297. Di un medesimo atto veduto da varî siti.
298. Della membrificazione de’ nudi e loro operazioni.
299. Degli scoprimenti o coprimenti de’ muscoli di ciascun membro nelle attitudini degli animali.
300. De’ movimenti dell’uomo ed altri animali.
301. Del moto e corso dell’uomo ed altri animali
302. Quando è maggior differenza d’altezza delle spalle dell’uomo nelle sue azioni.
303. Risposta contra.
304. Come il braccio raccolto muta tutto l’uomo dalla sua prima ponderazione quando esso braccio s’estende.
305. Dell’uomo ed altri animali che nel muoversi con tardità non hanno il centro della gravità troppo remoto dal centro de’ sostentacoli.
306. Dell’uomo che porta un peso sopra le spalle.
307. Della ponderazione dell’uomo sopra i suoi piedi.
308. Dell’uomo che si muove.
309. Della bilicazione del peso di qualunque animale immobile sopra le sue gambe.
310. De’ piegamenti e voltamenti dell’uomo.
311. De’ piegamenti.
312. Della equiponderanza.
313. Del moto umano.
314. Del moto creato dalla distruzione del bilico.
315. Del bilico delle figure.
316. Della grazia delle membra.
317. Della comodità delle membra.
318. D’una figura sola fuori dell’istoria.
319. Quali sono le principali importanze che appartengono alla figura.
320. Del bilicare il peso intorno al centro della gravità de’ corpi.
321. Delle figure che hanno a maneggiare o portar pesi.
322. Delle attitudini degli uomini.
323. Varietà d’attitudini.
324. Delle attitudini delle figure.
325. Dell’attenzione de’ circostanti ad un caso notando.
326. Qualità de’ nudi.
327. Come i muscoli sono corti e grossi.
328. Come i grassi non hanno grossi muscoli.
329. Quali sono i muscoli che spariscono ne’ movimenti diversi dell’uomo.
330. De’ muscoli.

PAGINA6

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
PRIMO VOLUME
Parte terza

331. Di non far tutti i muscoli alle figure, se non sono di gran fatica.
332. De’ muscoli degli animali.
333. Che il nudo figurato con grand’evidenza di muscoli sarà senza moto.
334. Che le figure ignude non debbono aver i loro muscoli ricercati affatto.
335. Che quelli che compongono grassezza aumentano assai di forza dopo la prima gioventú.
336. Come la natura attende occultare le ossa negli animali quanto può la necessità de’ membri loro.
337. Com’è necessario al pittore sapere la notomia.
338. Dell’allargamento e raccorciamento de’ muscoli.
339. Dove si trova corda negli uomini senza muscoli.
340. Degli otto pezzi che nascono nel mezzo delle corde in varie giunture dell’uomo.
341. Del muscolo che è infra il pomo granato ed il pettignone.
342. Dell’ultimo svoltamento che può far l’uomo nel vedersi a dietro.
343. Quanto si può avvicinare l’un braccio con l’altro di dietro.
344. Quanto si possano traversare le braccia sopra il petto, e che le gomita vengano nel mezzo del petto.
345. Dell’apparecchio della forza nell’uomo che vuol generare gran percussione.
346. Della forza composta dall’uomo, e prima si dirà delle braccia.
347. Quale è maggior potenza nell’uomo, quella del tirare o quella dello spingere.
348. Delle membra che piegano, e che officio fa la carne che le veste in essi piegamenti.
349. Del voltare la gamba senza la coscia.
350. Delle pieghe della carne.
351. Del moto semplice dell’uomo.
352. Del moto composto fatto dall’uomo.
353. De’ moti appropriati agli effetti degli uomini.
354. De’ moti delle figure.
355. De’ movimenti.
356. De’ maggiori o minori gradi degli accidenti mentali.
357. De’ medesimi accidenti che accadono all’uomo di diverse età.
358. Degli atti dimostrativi.
359. Delle iciotto operazioni dell’uomo.
360. Della disposizione delle membra secondo le figure.
361. Della qualità delle membra secondo l’età.
362. Della varietà de’ visi.
363. Della membrificazione degli animali.
364. Come la figura non sarà laudabile s’essa non mostra la passione dell’animo.
365. Come le mani e le braccia in tutte le loro operazioni hanno da dimostrare l’intenzione del loro motore il più che si può.
366. De’ moti appropriati alla mente del mobile.
367. Come gli atti mentali muovano la persona in primo grado di facilità e comodità.
368. Del moto nato dalla mente mediante l’obietto.
369. De’ moti comuni.
370. Del moto degli animali.
371. Che ogni membro per sé sia proporzionato a tutto il suo corpo.
372. Che se le figure non esprimono la mente sono due volte morte.
373. Dell’osservanza del decoro.
374. Dell’età delle figure.
375. Qualità d’uomini ne’ componimenti delle istorie.
376. Del figurare uno che parli infra più persone.
377. Come si deve fare una figura irata.
378. Come si figura un disperato.
379. Delle convenienze delle membra.
380. Del ridere e del piangere e differenza loro.
381. De’ posati d’infanti.
382. De’ posati di femmine e di giovanetti.
383. Del rizzarsi l’uomo da sedere di sito piano.
384. Del saltare, e che cosa aumenta il salto.
385. Del moto delle figure nello spingere o tirare.
386. Dell’uomo che vuol trarre una cosa fuor di sé con grand’impeto.
387. Perché quello che vuol ficcare tirando il ferro in terra, alza la gamba opposita incurvata.
388. Ponderazione de’ corpi che non si muovono.
389. Dell’uomo che posa sopra i suoi due piedi, che dà di sé più peso all’uno che all’altro.
390. De’ posati delle figure.
391. Della ponderazione dell’uomo nel fermarsi sopra i suoi piedi.
392. Del moto locale più o meno veloce.
393. Degli animali da quattro piedi, e come si muovono.
394. Delle corrispondenze che ha la metà dell’uomo con l’altra metà.
395. Come nel saltare dell’uomo in alto vi si trovano tre moti.
396. Che è impossibile che una memoria riserbi tutti gli aspetti e le mutazioni delle membra.
397. Delle prime quattro parti che si richiedono alla figura.
398. Discorso sopra il pratico.
399. Della pratica cercata con gran sollecitudine dal pittore.
400. Del giudicare il pittore le sue opere e quelle d’altrui.
401. Del giudicare il pittore la sua pittura.
402. Come lo specchio è il maestro de’ pittori.
403. Come si deve conoscere una buona pittura e che qualità deve avere per essere buona.
404. Come la vera pittura stia nella superficie dello specchio piano.
405. Qual pittura è più laudabile.
406. Qual è il primo obietto intenzionale del pittore.
407. Quale è più importante, nella pittura, o le ombre o i loro lineamenti.
408. Come si deve dare il lume alle figure.
409. Dove deve star quello che riguarda la pittura.
410. Come si deve porre alto il punto.
411. Che le figure piccole non debbono per ragione esser finite.
412. Che campo deve usare il pittore alle sue opere.
413. Precetto di pittura.
414. Del fingere un sito selvaggio.
415. Come devi far parere naturale un animale finto.
416. De’ siti che si debbono eleggere per fare le cose che abbiano rilievo con grazia.
417. Del dividere e spiccare le figure dai loro campi.
418. Della differenza delle figure in ombre e lumi, poste in diversi siti.
419. Del fuggire l’improporzionalità delle circostanze.
420. Corrispondano i corpi, sí per grandezza come per ufficio, alla cosa di cui si tratta.
421. De’ termini de’ corpi detti lineamenti, ovvero contorni.
422. Degli accidenti superficiali che prima si perdono per le distanze.
423. Degli accidenti superficiali che prima si perdono nel discostarsi de’ corpi ombrosi.
424. Della natura de’ termini de’ corpi sopra gli altri corpi.
425. Della figura che va contro il vento.
426. Delle finestre dove si ritraggono le figure.
427. Perché misurando un viso e poi dipingendolo in tale grandezza esso si dimostrerà maggiore del naturale.
428. Se la superficie d’ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto.
429. Del moto e corso degli animali.
430. De’ corpi che per sé si muovono o veloci o tardi.
431. Per fare una figura che si dimostri esser alta braccia quaranta in spazio di braccia venti ed abbia membra corrispondenti, e stia dritta in piedi.
432. Per fare una figura nel muro di dodici braccia, che apparisca d’altezza di ventiquattro braccia.
433. Pittura e sua membrificazione e componitori.
434. Pittura e sua definizione.
435. Pittura a lume universale.
436. De’ campi proporzionati ai corpi che in essi campeggiano, e prima delle superficie piane d’uniforme colore.
437. Pittura: di figura e corpo.
438. Pittura: mancherà prima di notizia la parte di quel corpo che sarà di minor quantità.
439. Perché una medesima campagna si dimostra alcuna volta maggiore o minore ch’essa nonè.
440. Pittura.
441. Delle città ed altre cose vedute all’aria grossa.
442. De’ raggi solari che penetrano gli spiracoli de’ nuvoli.
443. Delle cose che l’occhio vede sotto sé miste infra nebbia ed aria grossa.
444. Degli edifici veduti nell’aria grossa.
445. Della cosa che si mostra da lontano.
446. Della veduta di una città in aria grossa.
447. De’ termini inferiori delle cose remote.
448. Delle cose vedute da lontano.
449. Dell’azzurro di che si mostrano essere i paesi lontani.
450. Quali sono quelle parti de’ corpi delle quali per distanza manca la notizia.

PAGINA 7

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte terza

451. Perché le cose quanto più si rimuovono dall’occhio manco si conoscono.
452. Perché le torri parallele paiono nelle nebbie più strette da piedi che da capo.
453. Perché i volti da lontano paiono oscuri.
454. Perché l’uomo visto a certa distanza non è conosciuto.
455. Quali sono le parti che prima si perdono di notizia ne’ corpi che si rimuovono dall’occhio, e quali più si conservano.
456. Della prospettiva lineare.
457. De’ corpi veduti nella nebbia.
458. Delle altezze degli edifici visti nelle nebbie.
459. Delle città ed altri edifici veduti la sera o la mattina nella nebbia.
460. Perché le cose più alte poste nella distanza sono più oscure che le basse, ancoraché la nebbia sia uniforme in grossezza.
461. Delle macchie delle ombre che appariscono ne’ corpi da lontano.
462. Perché sul far della sera le ombre de’ corpi generate in bianca parete sono azzurre.
463. Dove è più chiaro il fumo.
464. Della polvere.
465. Del fumo.
466. Pittura.
467. Della parte del corpo opaco.
468. Precetto di pittura.
469. De’ termini della cosa bianca.
470. Precetto.
471. Perché la cosa dipinta, ancoraché essa venga all’occhio per quella medesima grossezza d’angolo che quella che è più remota di essa, non pare tanto remota quanto quella della remozione naturale.
472. Pittura.
473. Del giudizio ch’hai da fare sopra un’opera d’un pittore.
474. Del rilievo delle figure remote dall’occhio.
475. De’ termini de’ membri illuminati.
476. De’ termini.
477. Delle incarnazioni e figure remote dall’occhio.
478. Pittura.
479. Discorso di pittura.
480. Pittura.
481. Perché di due cose di pari grandezza parrà maggiore la dipinta che quella di rilievo.
482. Perché le cose perfettamente ritratte di naturale non paiono del medesimo rilievo qual pare esso naturale.
483. Qual pare più rilevato, o il rilievo vicino all’occhio, o il rilievo remoto da esso occhio.
484. Precetto..
485. Di far che le cose paiano spiccate da’ lor campi, cioè dalla parete dove sono dipinte.
486. Precetto.
487. Come le figure spesso somigliano ai loro maestri.
488. Del figurare le parti del mondo.
489. Del figurare le quattro cose de’ tempi dell’anno, o partecipanti di quelle.
490. Del vento dipinto.
491. Del principio di una pioggia.
492. Della disposizione di una fortuna di venti e di pioggia.
493. Delle ombre fatte da’ ponti sopra la loro acqua..
494. De’ simulacri chiari o scuri che s’imprimono sopra i luoghi ombrosi e luminati posti infra la superficie ed il fondo delle acque chiare.
495. Dell’acqua chiara è trasparente il fondo fuori della superficie.
496. Della schiuma dell’acqua.
497. Precetto di pittura.
498. Precetto.
499. De’ dieci uffici dell’occhio, tutti appartenenti alla pittura.
500. Della statua.
501. Per fare una pittura d’eterna vernice.
502. Modo di colorire in tela.
503. De’ fumi delle città.
504. Del fumo e della polvere.
505. Precetto di prospettiva in pittura.
506. L’occhio posto in alto che vede degli obietti bassi.
507. L’occhio posto in basso che vede degli obietti bassi ed alti.
508. Perché si dà il concorso di tutte le specie che vengono all’occhio ad un sol punto.
509. Delle cose specchiate nell’acqua.
510. Delle cose specchiate in acqua torbida.
511. Delle cose specchiate in acqua corrente.
512. Della natura del mezzo interposto infra l’occhio e l’obietto.
513. Effetti del mezzo circondato da superficie comune.
514. Degli obietti.
515. Delle diminuzioni de’ colori e corpi.
516. Delle interposizioni de’ corpi trasparenti infra l’occhio e l’obietto.

PAGINA 8

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte quarta

DE’ PANNI E MODO DI VESTIR LE FIGURE CON GRAZIA E DEGLI ABITI E NATURE DE’ PANNI.

517. De’ panni che vestono le figure.
518. Delle maniere rotte o salde de’ panni che vestono le figure.
519. Del vestire le figure con grazia.
520. De’ panni che vestono le figure, e pieghe loro.
521. Del modo di vestire le figure.
522. De’ vestimenti.
523. De’ panni volanti o stabili.
524. Operazioni de’ panni e loro pieghe, che sono di tre nature.
525. Delle nature delle pieghe de’ panni.
526. Come si devono dare le pieghe ai panni.
527. Delle poche pieghe de’ panni.
528. Delle pieghe de’ panni in iscorto.
529. De’ modi del vestire le figure, ed abiti diversi.
530. Dell’occhio che vede pieghe de’ panni che circondano l’uomo.
531. Delle pieghe de’ panni.
532. Delle pieghe.

PAGINA9

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte quinta

DELL’OMBRA E LUME, E DELLA PROSPETTIVA

533. Che cosa è ombra.
534. Che differenza è da ombra a tenebre.
535. Da che deriva l’ombra.
536. Dell’essere dell’ombra per sé.
537. Che cosa è ombra e lume, e qual è di maggior potenza.
538. Che sia ombra e tenebre.
539. In quante parti si divide l’ombra.
540. Dell’ombra e sua divisione.
541. Di due specie di ombre ed in quante parti si dividono.
542. Qual è più oscura, o l’ombra primitiva o l’ombra derivativa.
543. Che differenza è da ombra a tenebre.
544. Che differenza è da ombra semplice a ombra composta.
545. Che differenza è da lume composto a ombra composta.
546. Come sempre il lume composto e l’ombra composta confinano insieme.
547. Che il termine dell’ombra semplice sarà di minor notizia.
548. Dell’ombra derivativa composta..
549. Come l’ombra primitiva e derivativa sono congiunte.
550. Come l’ombra semplice con l’ombra composta si congiunge.
551. Della semplice e composta ombra primitiva.
552. De’ termini dell’ombra composta.
553. Del termine dell’ombra semplice.
554. Che ombra fa il lume eguale all’ombroso nella figura delle sue ombre.
555. Che ombra fa l’ombroso maggiore del luminoso.
556. Quante sono le sorta delle ombre.
557. Quante sono le specie delle ombre.
558. Di quante sorta è l’ombra primitiva.
559. In quanti modi si varia l’ombra primitiva.
560. Che varietà ha l’ombra derivativa.
561. Di quante figure è l’ombra derivativa.
562. Dell’ombra che si muove con maggior velocità che il corpo suo ombroso.
563. Dell’ombra derivativa, la quale è molto più tarda che l’ombra primitiva.
564. Dell’ombra derivativa che sarà eguale all’ombra primitiva.
565. Dell’ombra derivativa remota dall’ombra primitiva.
566. Natura ovvero condizione dell’ombra.
567. Qual è l’ombra aumentata.
568. Se l’ombra primitiva è più potente che l’ombra derivativa.
569. De’ moti delle ombre.
570. Percussione dell’ombra derivativa e sue condizioni.
571. Dell’ombra derivativa, e dove è maggiore.
572. Della morte dell’ombra derivativa.
573. Della somma potenza dell’ombra derivativa.
574. Dell’ombra semplice di prima oscurità.
575. Delle tre varie figure delle ombre derivative.
576. Varietà di ciascuna delle dette tre ombre derivative.
577. Che le ombre derivative sono di tre nature.
578. Che le ombre derivative sono di tre specie.
579. Qualità di ombre.
580. Del moto dell’ombra.
581. Dell’ombra piramidale.
582. Della semplice ombra derivativa.
583. Dell’ombra derivativa composta.
584. Se l’ombra può esser veduta per l’aria.
585. Se l’ombra derivativa è più oscura in un luogo che in un altro.
586. Quale ombra derivativa mostrerà i suoi termini più noti.
587. In quanti modi principali si trasforma la percussione dell’ombra derivativa.
588. In quanti modi si varia la quantità della percussione dell’ombra coll’ombra primitiva.
589. Come l’ombra derivativa, essendo circondata in tutto o in parte da campo illuminato, è più oscura che la primitiva.
590. Come l’ombra primitiva, che non è congiunta con piana superficie, non sarà di eguale oscurità.
591. Condizione degli obietti oscuri di ciascun’ombra.
592. Qual campo renderà le ombre più oscure.
593. Dove sarà più oscura l’ombra derivativa.
594. Delle ombre.
595. De’ termini che circondano le ombre derivative nelle loro percussioni.
596. Come ogni corpo ombroso genera tante ombre quante sono le parti luminose che lo circondano.
597. Delle varie oscurità delle ombre circondatrici di un medesimo corpo ombroso.
598. Dell’ombra fatta da un corpo infra due lumi eguali.
599. Che quel corpo ch’è più propinquo al lume fa maggior ombra, e perché.
600. Perché l’ombra maggiore che la sua cagione si fa di discordante proporzione.

PAGINA 10

601. Perché l’ombra maggiore che la sua cagione ha termini confusi.
602. Come l’ombra separata non sarà mai simile per grandezza alla sua cagione.
603. Che differenza è da ombra congiunta co’ corpi ad ombra separata.
604. Natura dell’ombra derivativa.
605. Delle figure delle ombre.
606. Dell’ombra derivativa generata in altra ombra derivativa.
607. De’ termini dell’ombra derivativa.
608. Dell’estensione dell’ombra derivativa.
609. Dove l’ombra derivativa è più oscura.
610. Delle varietà delle ombre nel variare le grandezze de’ lumi che le generano.
611. Del variare dell’ombra senza diminuzione del lume che la causa.
612. Dell’ombra che si converte in lume.
613. Del lume che si converte in ombra.
614. Dell’ombra derivativa creata da lume di lunga figura, che percuote l’obietto simile a sé.
615. Che le ombre debbono sempre partecipare del colore del corpo ombroso.
616. Delle cose bianche remote dall’occhio.
617. Delle ombre delle cose remote e lor colore.
618. Delle ombre, e quali sono quelle primitive che saranno più oscure sopra il suo corpo.
619. Qual parte della superficie di un corpo s’imprime meglio del colore del suo obietto.
620. Qual parte della superficie di un corpo ombroso sarà dove i colori degli obietti si mischiano
621. Qual parte è di mediocre ombra nella superficie di un corpo ombroso.
622. Qual parte della superficie illuminata sarà di maggior chiarezza.
623. Qual ombra principale nelle superficie de’ corpi avrà minore o maggior differenza delle parti luminose.
624. Delle ombre fatte nelle parti ombrose de’ corpi opachi.
625. Qual corpo piglia più quantità di ombra.
626. Qual corpo piglia più quantità di luce.
627. Qual corpo piglia più oscura ombra.
628. Della qualità dell’oscurità delle ombre.
629. Dell’ombra delle verdure de’ prati.
630. Precetto di pittura.
631. Delle ombre che non sono compagne della parte illuminata.
632. Del lume de’ corpi ombrosi che non sono quasi mai del vero colore del corpo illuminato.
633. Come son le ombre per lunga distanza.
634. Della larghezza delle ombre, e de’ lumi primitivi.
635. Delle maggiori o minori oscurità delle ombre.
636. Dove le ombre ingannano il giudizio che dà sentenza della lor maggiore o minore oscurità.
637. Dove i lumi ingannano il giudizio del pittore.
638. Dell’ombra ne’ corpi.
639. Delle qualità di ombre e di lumi.
640. Delle ombre e lumi, e colori.
641. De’ lumi ed ombre, e colori di quelli.
642. Dell’ombra e lumi negli obietti.
643. De’ termini insensibili delle ombre.
644. Delle qualità de’ lumi ed ombre ne’ corpi ombrosi.
645. Delle dimostrazioni de’ lumi e delle ombre.
646. De’ lumi.
647. De’ lumi ed ombre.
648. De’ lumi ed ombre che di sé tingono le superficie delle campagne.
649. Del lume derivativo.
650. De’ lumi.
651. Di illuminazione e lustro.
652. Di ombra e lume.
653. Di ombra e lume.
654. De’ lumi ed ombre.
655. Di ombra e lume.
656. Esempio.
657. Di ombre e lumi
658. De’ lumi infra le ombre.
659. Del chiaro e scuro.
660. Del chiaro e scuro.
661. Delle quattro cose che si hanno da considerare principalmente nelle ombre e ne’ lumi.
662. Della natura del lume illuminatore de’ corpi ombrosi.
663. De’ lumi universali sopra i corpi puliti.
664. De’ corpi ombrosi i quali son puliti e lustri.
665. Come i corpi circondati da lume universale generano in molte parti di sé i lumi particolari.
666. Delle ombre e lumi co’ quali si fingono le cose naturali.
667. Delle ombre, ed in quali corpi non possono essere di gran potenza di oscurità, e cosi i lumi.
668. Del lume particolare del sole o di altro corpo luminoso.
669 lume universale dell’aria dove non percuote il sole.
670. Dell’universale illuminazione mista colla particolare del sole o di altri lumi.
671. Dell’ombra media, la quale s’interpone infra la parte illuminata e l’ombrosa de’ corpi.
672. Se il gran lume di poca potenza val quanto un piccolo lume di gran potenza.
673. Del mezzo incluso infra i lumi e le ombre principali.
674. Del sito dell’occhio che vede più o men ombra secondo il moto ch’esso fa intorno al corpo ombroso.
675. Qual sito è quello donde mai si vede ombra negli sferici ombrosi.
676. Qual sito ovvero qual distanza è quella intorno al corpo sferico, donde mai non è privato d’ombra.
677. Qual lume fa le ombre de’ corpi più differenti ai lumi loro.
678. Di varî obietti vicini veduti in lunga distanza.
679. Del sito dove l’obietto si mostra di maggiore oscurità.
680. Dove ed in qual colore le ombre perdano più il colore naturale della cosa ombrata.
681. Qual colore di corpo farà ombra più differente dal lume, cioè qual sarà più oscura.
682. Qual parte di un corpo sarà più illuminata da un medesimo lume in qualità.
683. Egualità di ombre in pari corpi ombrosi e luminosi in diverse distanze.
684. Qual luminoso è quello che mai vedrà se non la metà dello sferico ombroso.
685. S’egli è possibile che per alcuna distanza un corpo luminoso possa illuminare solamente la metà di un corpo ombroso minore di esso.
686. Delle varie oscurità delle ombre de’ corpi in pittura contraffatte.
687. Quali colori fan più varietà di lumi alle ombre.
688. Tutti i colori nelle lontane ombre sono ignoti ed indiscernibili.
689. De’ colori delle specie degli obietti che tingono di sé le superficie de’ corpi opachi.
690. Del color falso delle ombre de’ corpi opachi.
691. Qual è in sé vera ombra de’ colori de’ corpi.
692. Qual obietto tinge più della sua similitudine le superficie bianche de’ corpi opachi.
693. Degli accidenti delle superficie de’ corpi.
694. Del colore delle ombre, e quanto si oscurano.
695. De’ colori de’ lumi illuminatori de’ corpi ombrosi..
696. Quel che fan le ombre co’ lumi ne’ paragoni.
697. Quali sono gli obietti delle carni che le fanno dimostrare le ombre compagne de’ lumi.
698. Delle ombre de’ visi che passando per le strade molli non paiono compagne delle loro incarnazioni.
699. Della qualità dell’aria alle ombre e ai lumi.
700. De’ lumi piccoli.
701. Qual superficie fa minor differenza di chiaro e di scuro.
702. Dov’è maggior varietà dalle ombre ai lumi, o nelle cose vicine o nelle remote.
703. Quale sarà quel corpo che di pari colore e distanza dall’occhio men varia i suoi lumi dalle ombre.
704. Perché si conoscono le vere figure di qualunque corpo vestito e terminato nelle superficie.
705. Della discrezione delle ombre de’ siti e delle cose poste in quelli.
706. In quali superficie si trova la vera ed eguale luce.
707. Della chiarezza del lume derivativo.
708. Della remozione e propinquità che fa l’uomo nel discostarsi ed avvicinarsi ad un medesimo lume, e della varietà delle ombre sue.
709. Delle varietà che fa il lume immobile delle ombre che si generano ne’ corpi, che in sé
medesimi si piegano, o abbassano, o alzano senza mutazione de’ loro piedi.
710. Qual corpo è quello che accostandosi al lume cresce la sua parte ombrosa.
711. Qual è quel corpo che quanto più si accosta al lume più diminuisce la sua parte ombrosa.
712. Qual è quel corpo ombroso che non cresce né diminuisce le sue parti ombrose o luminose
per nessuna distanza o vicinità dal corpo che lo illumina.
713. Infra i corpi di eguale grandezza, quello che da maggior lume sarà illuminato avrà la sua ombra di minore lunghezza.
714. Quei corpi sparsi situati in abitazione illuminata da una sola finestra faranno l’ombra derivativa più o meno breve, secondo che sarà più o meno a riscontro di essa finestra.
715. Ogni mezzo d’ombra derivativa si drizza col mezzo dell’ombra originale, e col centro del corpo ombroso, e del lume derivativo, e col mezzo della finestra, ed in ultimo col mezzo di quella parte del meridionale fatto dall’emisfero celeste.
716. Ogni ombra fatta dal corpo ombroso minore del lume originale manderà le ombre derivative tinte del colore della loro origine.
717. Quella parte del corpo ombroso sarà meno luminosa, che sarà veduta da minore quantità di lume.
718. Ogni lume che cade sopra i corpi ombrosi infra eguali angoli, tiene il primo grado di chiarezza, e quello sarà più scuro che riceve gli angoli meno eguali, ed il lume o le ombre fanno loro ufficio per piramide.
719. Ogni ombra fatta dai corpi si dirizza colla linea del mezzo ad un solo punto fatto per intersecazione di linee luminose nel mezzo dello spazio e grossezza della finestra.
720. Ogni ombra con tutte sue varietà che per distanza cresce per larghezza più che la sua
cagione, le sue linee esteriori si congiungono insieme infra il lume e il corpo ombroso.
721. Ogni corpo ombroso si trova infra due piramidi, una scura e l’altra luminosa; l’una si vede
e l’altra no, e questo solo accade quando il lume entra per una finestra.
722. Qual è quel lume che, ancoraché l’occhio sia più discosto dallo sferico ombroso che esso lume, non potrà mai vedere ombra, stando dietro al lume.
723. Dell’occhio che per lunga distanza mai gli sarà occupata la veduta dell’ombra
nell’ombroso, quando il luminoso sarà minore dell’ombroso.
724. Dell’ombra dell’opaco sferico posto infra l’aria.
725. Dell’ombra dell’opaco sferico posato sopra la terra.
726. Delle ombre de’ corpi alquanto trasparenti.
727. Dell’ombra maestra che sta infra il lume incidente ed il riflesso.
728. De’ termini de’ corpi che prima si perdono di notizia.
729. De’ termini de’ corpi opachi.
730. Come i termini de’ corpi ombrosi veduti da una medesima pupilla non sono in un medesimo sito in esso corpo.
731. Come quel corpo ha i suoi termini più confusi, che sarà più vicino all’occhio che li vede.
732. Come si deve conoscere qual parte del corpo deve essere più o men luminosa che le altre.
733. Quando gli angoli fatti dalle linee incidenti saranno più eguali, in quel luogo sarà più lume, e dove saran più disuguali, sarà più oscurità.
734. Come i corpi accompagnati da ombra e lume sempre variano i loro termini dal colore e lume di quella cosa che confina colla loro superficie.
735. De’ colmi de’ lumi che si voltano e trasmutano, secondo che si trasmuta l’occhio veditore di esso corpo.
736. Modo come devono terminare le ombre fatte dagli obietti.
737. Qual parte dello sferico meno si illumina.
738. Qual parte dello sferico più si illumina.
739. Qual parte dell’opaco sferico meno si illumina.
740. Della proporzione che hanno le parti luminose de’ corpi co’ loro riflessi.
741. Della parte più oscura dell’ombra ne’ corpi sferici o colonnali.
742. Come le ombre fatte da lumi particolari si debbono fuggire, perché sono i loro fini simili ai principî.
743. Del dare i lumi debiti alle cose illuminate secondo i siti.
744. Regola del porre le debite ombre e i debiti lumi ad una figura, ovvero corpo laterato.
745. Regola del porre le vere chiarezze de’ lumi sopra i lati del predetto corpo.
746. Perché pare più chiaro il campo illuminato intorno all’ombra derivativa stando in casa che in campagna.
747. Del dare i lumi.
748. Del dare con artificiosi lumi ed ombre aiuto al finto rilievo della pittura.
749. Del circondare i corpi con varî lineamenti di ombra.
750. Modo di fare alle figure l’ombra compagna del lume e del corpo.
751. De’ siti de’ lumi e delle ombre delle cose vedute in campagna.
752. Se il sole è in oriente e l’occhio a settentrione, ovvero a meridie.
753. Del sole e dell’occhio posti all’oriente.
754. Del sole all’oriente e l’occhio all’occidente.
755. Ricordo al pittore…….209
756. Della convenienza delle ombre compagne de’ loro lumi.
757. In che parte de’ corpi ombrosi si dimostreranno i loro colori di più eccellente bellezza.
758. Perché i termini de’ corpi ombrosi si mostrano alcuna volta più chiari o più scuri che non sono.
759. Che differenza è dalla parte illuminata nella superficie de’ corpi ombrosi alla parte lustra.

PAGINA 11

DEL LUSTRO

760. Del lustro de’ corpi ombrosi.
761. Come il lustro è più potente in campo nero che in alcun altro campo.
762. Come il lustro generato nel campo bianco è di piccola potenza.
763. Delle grandezze de’ lustri sopra i corpi tersi.
764. Che differenza è da lustro a lume.
765. Del lume e lustro.
766. Quali corpi sono quelli che hanno il lume senza lustro.
767. Quali corpi sono quelli che hanno lustro e non parte luminosa.
768. Del lustro.

DE’ RIFLESSI

769. Dell’ombra interposta infra lume incidente e lume riflesso.
770. Dove il riflesso dev’essere più oscuro.
771. Perché i riflessi poco o niente si vedono ne’ lumi universali.
772. Come il riflesso si genera ne’ lumi universali.
773. Quali lumi facciano più nota e spedita la figura de’ muscoli.
774. Come i corpi bianchi si devono figurare.
775. Dell’occhio che sta al chiaro e vede il luogo oscuro.
776. Dell’occhio che vede le cose in luogo chiaro.
777. Delle ombre e lumi delle città.
778. Dell’illuminazione delle parti infime de’ corpi insieme ristretti, come gli uomini in battaglia.
779. Del lume particolare.

DELLE OMBROSITÀ E CHIAREZZE DE’ MONTI

780. Prospettiva comune.
781. Delle cime de’ monti vedute di sopra in giú.
782. Dell’aria che mostra più chiare le radici de’ monti che le loro cime.
783. Perché i monti distanti mostrano più oscure le sommità che le loro basi.
784. Delle cime de’ monti che si scoprono all’occhio l’una più alta dell’altra, che le proporzioni delle distanze non sono colle proporzioni de’ colori.
785. Delle cime de’ monti che non diminuiscono ne’ colori secondo la distanza delle cime loro.
786. Dell’inganno del pittore nella grandezza degli alberi e degli altri corpi delle campagne.
787. Perché i monti in lunga distanza si dimostrano più scuri nella cima che nella base.
788. Perché i monti paiono avere più oscure le cime che le basi in lunga distanza.
789. Come non si deve figurar le montagne cosí azzurre il verno come l’estate.
790. Come i monti ombrati dai nuvoli partecipano del colore azzurro.
791. Dell’aria che infra i monti si dimostra.
792. De’ monti e loro divisione in pittura.
793. Pittura che mostra la necessaria figurazione delle alpi, monti e colli.
794. Pittura e come i monti crescono.
795. Pittura nel figurare le qualità e membri de’ paesi montuosi.
796. De’ monti.
797. De’ monti.
798. Precetto
799. Del corpo luminoso che si volta intorno senza mutazione di sito e riceve un medesimo lume da diversi lati e si varia in infinito.
800. Di ombra e lume de’ corpi ombrosi.
801. De’ corpi illuminati dall’aria senza il sole.
802. Quei termini delle ombre saranno più insensibili, che nasceranno da maggior quantità di luce.
803. Quale ombra è più oscura.
804. Del lume.
805. Precetto.
806. Precetto.
807. De’ termini de’ corpi mediante i campi.
808. Precetto delle ombre.
809. Dell’imitazione de’ colori in qualunque distanza.
810. Del lume riflesso
811. Di prospettiva.

PAGINA 12

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte sesta

DEGLI ALBERI E DELLE VERDURE

812. Discorso delle qualità de’ fiori nelle ramificazioni delle erbe.
813. Della ramificazione delle piante.
814. Della ramificazione delle piante.
815. Della ramificazione delle piante.
816. Delle minori ramificazioni delle piante.
817. Della proporzione che hanno infra loro le ramificazioni delle piante.
818. Della ramificazione degli alberi.
819. All’albero giovane non crepa la scorza.
820. Della ramificazione delle piante.
821. Delle ramificazioni delle piante.
822. Del nascimento delle foglie sopra i rami.
823. Delle ramificazioni delle piante colle loro foglie.
824. Del nascimento de’ rami nelle piante.
825. Perché molte volte i legnami non sono diritti nelle lor vene.
826. Degli alberi.
827. Degli alberi.
828. Della ramificazione degli alberi.
829. Della ramificazione che in un anno rimette nelle fronti de’ rami tagliati.
830. Della proporzione de’ rami colla proporzione del loro nutrimento.
831. Dell’accrescimento degli alberi e per qual verso più crescono.
832. Quali rami degli alberi sono quelli che più crescono in un anno.
833. Della scorza degli alberi.
834. Della parte settentrionale delle piante degli alberi.
835. Della scorza delle piante.
836. Delle diversità che hanno le ramificazioni degli alberi.
837. Delle ramificazioni delle piante che mettono i rami a riscontro l’uno dell’altro.
838. Degli accidenti che piegano le predette piante.
839. Degli accidenti delle ramificazioni delle piante.
840. Delle trasparenze delle foglie.
841. Del centro degli alberi nella loro grossezza.
842. Qual pianta cresce nelle selve di più continuata grossezza ed in maggiore altezza.
843. Qual pianta è di grossezza più disforme e di minore altezza e più dura.
844. Delle piante e legnami segati i quali mai per sé si piegheranno.
845. Delle aste che più si mantengono diritte
846. Delle crepature de’ legni quando si seccano.
847. De’ legni che non si scoppiano nel seccarsi.
848. Ramificazione di alberi in diverse distanze.
849. Della parte che resta nota negli alberi in lunga distanza.
850. Delle distanze più remote delle anzidette.
851. Delle cime de’ rami delle piante fronzute.
852. Perché i medesimi alberi paiono più chiari d’appresso che da lontano.
853. Perché gli alberi da una distanza in là quanto più sono lontani più si rischiarano.
854. Delle varietà delle ombre degli alberi ad un medesimo lume, in un medesimo paese, in lume particolare.
855. De’ lumi della ramificazione degli alberi.
856. Della forma che hanno le piante nel congiungersi colle loro radici.
857. Delle ombre e lumi e loro grandezze nelle foglie.
858. Dell’illuminazione delle piante.
859. Ricordo delle piante al pittore.
860. Del lume universale illuminatore delle piante.
861. Degli alberi e loro lume.
862. Della parte illuminata delle verdure e de’ monti.
863. De’ lumi delle foglie oscure.
864. De’ lumi delle foglie di verdura traenti al giallo.
865. Degli alberi che sono illuminati dal sole e dall’aria.
866. De’ lustri delle foglie delle piante.
867. Del verde delle foglie.
868. Dell’oscurità dell’albero.
869. Degli alberi.
870. Degli alberi posti sotto l’occhio.
871. Delle cime sparse degli alberi
872. Delle remozioni delle campagne.
873. Dell’azzurro che acquistano gli alberi remoti.
874. Del sole che illumina la foresta.
875. Delle parti luminose delle verdure delle piante
876. Delle piante che sono infra l’occhio e il lume.
877. Del colore accidentale degli alberi.
878. Della dimostrazione degli accidenti.
879. Quali termini dimostrino le piante remote dall’aria che si fa lor campo.
880. Delle ombre delle piante.
881. Delle ombre e trasparenze delle foglie.
882. Delle ombre delle foglie trasparenti.
883. Del non fingere mai foglie trasparenti al sole.
884. Dell’ombra della foglia.
885. Delle foglie oscure dinanzi alle trasparenti.
886. Delle piante giovani e loro foglie.
887. Del colore delle foglie.
888. Degli alberi che mettono i rami diritti.
889. Delle ombre degli alberi.
890. Degli alberi orientali.
891. Delle ombre delle piante orientali.
892. Delle piante meridionali.
893. De’ prati.
894. Delle erbe de’ prati.
895. Dell’ombra della verdura.
896. De’ paesi in pittura.
897. Perché le ombre de’ rami fronzuti non si dimostrano potenti vicino alle loro parti luminose come nelle parti opposite.
898. Qual parte del ramo della pianta sarà più oscura.
899. Della veduta degli alberi.
900. De’ paesi.
901. Pittura della nebbia che copre i paesi.
902. De’ paesi.
903. De’ paesi nelle nebbie o nel levare o nel porre del sole.
904. Degli alberi veduti di sotto.
905. Descrizione dell’olmo.
906. Delle foglie del noce.
907. Degli aspetti de’ paesi.
908. Della trasformazione delle piante in sé.
909. Degli alberi che occupano le trasformazioni l’un dell’altro.
910. Precetti di piante e verdure.
911. Del comporre in pittura il fondamento de’ colori delle piante.
912. Precetto.
913. Precetto delle piante.
914. Delle erbe.
915. Delle foglie.
916. Precetto del contraffare il color delle foglie.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte settima

DE’ NUVOLI

917. De’ nuvoli.
918. Del rossore de’ nuvoli.
919. Della creazione de’ nuvoli
920. De’ nuvoli e loro gravità e levità.
921. Perché della nebbia si fa nuvoli
922. Dell’aria tutta nuvolosa.
923. Dell’ombra de’ nuvoli
924. De’ nuvoli.
925. De’ nuvoli sotto la luna.
926. De’ nuvoli.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI
SECONDO VOLUME
Parte ottava
DELL’ORIZZONTE

927. Qual sia il vero sito dell’orizzonte
928. Dell’orizzonte.
929. Del vero orizzonte.
930. Dell’orizzonte.
931. Dell’orizzonte.
932. Se l’occhio che vede l’orizzonte marittimo, stando co’ piedi alla pelle di esso mare, vede esso orizzonte più basso di sé.
933. Dell’orizzonte specchiato nell’acqua corrente
934. Dove l’orizzonte si specchia nell’onda.
935. Perché l’aria grossa vicina all’orizzonte si fa rossa.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

Primo volume
PARTE PRIMA
Capitoli da 1 a 40

1. Se la pittura è scienza o no.

Scienza è detto quel discorso mentale il quale ha origine da’ suoi ultimi principî, de’ quali in natura null’altra cosa si può trovare che sia parte di essa scienza, come nella quantità continua, cioè la scienza di geometria, la quale, cominciando dalla superficie de’ corpi, si trova avere origine nella linea, termine di essa superficie; ed in questo non restiamo satisfatti, perché noi conosciamo la linea aver termine nel punto, ed il punto esser quello del quale null’altra cosa può esser minore. Adunque il punto è il primo principio della geometria; e niuna altra cosa può essere né in natura, né in mente umana, che possa dare principio al punto. Perché se tu dirai nel contatto fatto sopra una superficie da un’ultima acuità della punta dello stile, quello essere creazione del punto, questo non è vero; ma diremo questo tale contatto essere una superficie che circonda il suo mezzo, ed in esso mezzo è la residenza del punto, e tal punto non è della materia di essa superficie, né lui, né tutti i punti dell’universo sono in potenza ancorché sieno uniti, né, dato che si potessero unire, comporrebbero parte alcuna d’una superficie. E dato che tu t’immaginassi un tutto essere composto da mille punti, qui dividendo alcuna parte da essa quantità di mille, si può dire molto bene che tal parte sia eguale al suo tutto. E questo si prova con lo zero ovver nulla, cioè la decima figura dell’aritmetica, per la quale si figura un O per esso nullo; il quale, posto dopo la unità, le farà dire dieci, e se ne porrai due dopo tale unità, dirà cento, e così infinitamente crescerà sempre dieci volte il numero dov’esso si aggiunge; e lui in sé non vale altro che nulla, e tutti i nulli dell’universo sono eguali ad un sol nulla in quanto alla loro sostanza e valore. Nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni; e se tu dirai che le scienze, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza.

2. Esempio e differenza tra pittura e poesia.

Tal proporzione è dalla immaginazione all’effetto, qual è dall’ombra al corpo ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura, perché la poesia pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le dà realmente fuori dell’occhio, dal quale occhio riceve le similitudini, non altrimenti che s’elle fossero naturali, e la poesia le dà senza essa similitudine, e non passano all’impressiva per la via della virtù visiva come la pittura.

3. Quale scienza è più utile, ed in che consiste la sua utilità.

Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così per contrario è meno utile quella ch’è meno comunicabile. La pittura ha il suo fine comunicabile a tutte le generazioni dell’universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l’orecchio al senso comune col medesimo modo che vi passa per il vedere. Adunque questa non ha bisogno d’interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha satisfatto all’umana specie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte dalla natura. E non che alla specie umana, ma agli altri animali, come si è manifestato in una pittura imitata da un padre di famiglia, alla quale facean carezze i piccioli figliuoli, che ancora erano nelle fasce, e similmente il cane e la gatta della medesima casa, ch’era cosa maravigliosa a considerare tale spettacolo.
La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura, che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rappresentano con più verità le parole al senso, che non fa la pittura.
Ma dicemmo essere più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell’operatore, cioè le opere degli uomini, che sono le parole, com’è la poesia, e simili, che passano per la umana lingua.

4. Delle scienze imitabili, e come la pittura è inimitabile, però è scienza.

Le scienze che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo si fa eguale all’autore, e similmente fa il suo frutto; queste sono utili all’imitatore, ma non sono di tanta eccellenza, quanto sono quelle che non si possono lasciare per eredità, come le altre sostanze. Infra le quali la pittura è la prima; questa non s’insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quanto il maestro gliene legge. Questa non si copia, come si fa le lettere, che tanto vale la copia quanto l’origine. Questa non s’impronta, come si fa la scultura, della quale tal è la impressa qual è l’origine in quanto alla virtù dell’opera. Questa non fa infiniti figliuoli come fa i libri stampati; questa sola si resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce mai figliuoli eguali a sé. E tal singolarità la fa più eccellente che quelle che per tutto sono pubblicate. Ora, non vediamo noi i grandissimi re dell’Oriente andare velati e coperti, credendo diminuire la fama loro col pubblicare e divulgare le loro presenze? Or, non si vede le pitture rappresentatrici le immagini delle divine deità essere al continuo tenute coperte con copriture di grandissimi prezzi? E quando si scoprono, prima si fanno grandi solennità ecclesiastiche di varî canti con diversi suoni. E nello scoprire, la gran moltitudine de’ popoli che quivi concorrono, immediate si gittano a terra, quelle adorando e pregando per cui tale pittura è figurata, dell’acquisto della perduta sanità e della eterna salute, non altrimenti che se tale idea fosse lí presente ed in vita.
Questo non accade in nessuna altra scienza od altra umana opera, e se tu dirai questa non esser virtú del pittore, ma propria virtú della cosa imitata, si risponderà che in questo caso la mente degli uomini può satisfare standosi nel letto, e non andare, ne’ luoghi faticosi e pericolosi, ne’ pellegrinaggi, come al continuo far si vede. Ma se pure tali pellegrinaggi al continuo sono in essere, chi li muove senza necessità? Certo tu confesserai essere tale simulacro, il quale far non può tutte le scritture che figurar potessero in effigie e in virtú tale idea. Adunque pare ch’essa idea ami tal pittura, ed ami chi l’ama e riverisce, e si diletti di essere adorata più in quella che in altra figura di lei imitata, e per quella faccia grazie e doni di salute, secondo il credere di quelli che in tal luogo concorrono.

5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de’ corpi, ed in quelli si estende.

La pittura sol si estende nella superficie de’ corpi, e la sua prospettiva si estende nell’accrescimento e decrescimento de’ corpi e de’ lor colori; perché la cosa che si rimuove dall’occhio perde tanto di grandezza e di colore quanto ne acquista di remozione. Adunque la pittura è filosofia, perché la filosofia tratta del moto aumentativo e diminutivo, il quale si trova nella sopradetta proposizione; della quale faremo il converso, e diremo: la cosa veduta dall’occhio acquista tanto di grandezza e notizia e colore, quanto ella diminuisce lo spazio interposto infra essa e l’occhio che la vede.
Chi biasima la pittura, biasima la natura, perché le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di sentimento.
Si prova la pittura esser filosofia perché essa tratta del moto de’ corpi nella prontitudine delle loro azioni, e la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno sì presto morte come vita, eccetto la sua parte manuale, cioè lo scrivere, ch’è parte meccanica.

6. Come la pittura abbraccia le superficie, figure e colori de’ corpi naturali, e la filosofia sol s’estende nelle lor virtú naturali.

La pittura si estende nelle superficie, colori e figure di qualunque cosa creata dalla natura, e la filosofia penetra dentro ai medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtú, ma non rimane satisfatta con quella verità che fa il pittore, che abbraccia in sé la prima verità di tali corpi, perché l’occhio meno s’inganna.

7. Come l’occhio meno s’inganna ne’ suoi esercizi, che nessun altro senso, in luminosi, o trasparenti, ed uniformi, e mezzi.

L’occhio nelle debite distanze e debiti mezzi meno s’inganna nel suo ufficio che nessun altro senso, perché vede se non per linee rette, che compongono la piramide che si fa base dell’obietto, e la conduce ad esso occhio, come intendo provare. Ma l’orecchio forte s’inganna ne’ siti e distanze de’ suoi obietti, perché non vengono le specie a lui per rette linee, come quelli dell’occhio, ma per linee tortuose e riflesse, e molte sono le volte che le remote paiano più vicine che le propinque, mediante i transiti di tali specie; benché la voce di eco sol per linee rette si riferisce ad esso senso; l’odorato meno si certifica del sito donde si causa un odore; ma il gusto ed il tatto, che toccano l’obietto, han soli notizie di esso tatto.

8. Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia, né la natura.

Se tu sprezzerai la pittura, la quale è sola imitatrice di tutte le opere evidenti di natura, per certo tu sprezzerai una sottile invenzione, la quale con filosofica e sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme: mare, siti, piante, animali, erbe, fiori, le quali sono cinte di ombra e lume. E veramente questa è scienza e legittima figlia di natura, perché la pittura è partorita da essa natura; ma per dir più corretto, diremo nipote di natura, perché tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura, dalle quali cose è nata la pittura. Adunque rettamente la chiameremo nipote di essa natura e parente d’Iddio.

9. Come il pittore è signore d’ogni sorta di gente e di tutte le cose.

Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo, perciocché s’egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore. E se vuol generare siti deserti, luoghi ombrosi o freschi ne’ tempi caldi, esso li figura, e così luoghi caldi ne’ tempi freddi. Se vuol valli, il simile; se vuole dalle alte cime di monti scoprire gran campagna, e se vuole dopo quelle vedere l’orizzonte del mare, egli n’è signore; e così pure se dalle basse valli vuol vedere gli alti monti, o dagli alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ciò che è nell’universo per essenza, presenza o immaginazione, esso lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno le cose.

10. Del poeta e del pittore.

La pittura serve a più degno senso che la poesia, e fa con più verità le figure delle opere di natura che il poeta, e sono molto più degne le opere di natura che le parole, che sono opere dell’uomo; perché tal proporzione è dalle opere degli uomini a quelle della natura, qual è quella ch’è dall’uomo a Dio. Adunque è più degna cosa l’imitar le cose di natura, che sono le vere similitudini in fatto, che con parole imitare i fatti e le parole degli uomini. E se tu, poeta, vuoi descrivere le opere di natura colla tua semplice professione, fingendo siti diversi e forme di varie cose, tu sei superato dal pittore con infinita proporzione di potenza; ma se vuoi vestirti delle altrui scienze separate da essa poesia, elle non sono tue, come astrologia, rettorica, teologia, filosofia, geometria, aritmetica e simili; tu non sei allora poeta, tu ti trasmuti, e non sei più quello di che qui si parla. Or non vedi tu, che se tu vuoi andare alla natura, tu vi vai con mezzi di scienze fatte d’altrui sopra gli effetti di natura, ed il pittore per sé senza aiuto di scienza o d’altri mezzi va immediate alla imitazione di esse opere di natura. Con questa si muovono gli amanti verso i simulacri della cosa amata a parlare colle imitate pitture; con questa si muovono i popoli con infervorati voti a ricercare i simulacri degl’iddii; e non a vedere le opere de’ poeti, che con parole figurino i medesimi iddii. Con questa s’ingannano gli animali: già vid’io una pittura che ingannava il cane mediante la similitudine del suo padrone, alla quale esso cane facea grandissima festa; e similmente ho visto i cani abbaiare, e voler mordere i cani dipinti; ed una scimmia fare infinite pazzie contro ad un’altra scimmia dipinta. Ho veduto la rondine volare e posarsi sopra i ferri dipinti che sportano fuori delle finestre degli edifizi; tutte operazioni del pittore maravigliosissime.

11. Esempio tra la poesia e la pittura.

Non vede la immaginazione cotal eccellenza qual vede l’occhio, perché l’occhio riceve le specie, ovvero similitudini degli obietti, e li dà all’impressiva, e da essa impressiva al senso comune, e lí è giudicata. Ma la immaginazione non esce fuori da esso senso comune, se non in quanto essa va alla memoria, e lí ferma e lí muore, se la cosa immaginata non è di molta eccellenza. Ed in questo caso si ritrova la poesia nella mente, ovvero immaginativa del poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le quali finzioni egli vuole equipararsi ad esso pittore, ma invero ei n’è molto remoto, come di sopra è dimostrato. Adunque in tal caso di finzione diremo con verità essere tal proporzione dalla scienza della pittura alla poesia, qual è dal corpo alla sua ombra derivativa, ed ancora maggiore proporzione, conciossiaché l’ombra di tal corpo almeno entra per l’occhio al senso comune, ma la immaginazione di tale corpo non entra in esso senso, ma lí nasce nell’occhio tenebroso; oh che differenza è dall’immaginare tal luce nell’occhio tenebroso, al vederla in atto fuori delle tenebre!
Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga de’ miseri spaventati dall’orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché la tua penna sarà consumata innanzi che tu descriva appieno quel che immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, ed il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra. Nella qual pittura non manca altro che l’anima delle cose finte, ed in ciascun corpo è la integrità di quella parte che per un solo aspetto può dimostrarsi. Lunga e tediosissima cosa sarebbe alla poesia ridire tutti i movimenti degli operatori di tal guerra, e le parti delle membra e loro ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità ti pone innanzi, e da questa tal dimostrazione non manca se non il rumore delle macchine e le grida degli spaventanti vincitori e le grida e pianti degli spaventati. Le quali cose ancora il poeta non può rappresentare al senso dell’udito. Diremo adunque la poesia essere scienza che sommamente opera negli orbi, e la pittura fare il medesimo ne’ sordi, ma tanto resta più degna la pittura, quanto ella serve a miglior senso.
Solo il vero ufficio del poeta è fingere parole di gente che insieme parlino, e sol queste rappresenta al senso dell’udito tanto come naturali, perché in sé sono naturali create dalla umana voce; ed in tutte le altre conseguenze è superato dal pittore.
Ma molto più senza comparazione son le varietà in che s’estende la pittura, che quelle in che s’estendono le parole, perché infinite cose farà il pittore, che le parole non potranno nominare, per non avere vocaboli appropriati a quelle. Or non vedi tu che se il pittore vuol fingere animali, o diavoli nell’inferno, con quanta abbondanza d’invenzione egli trascorre?
Qual è colui che non voglia prima perdere l’udito, l’odorato e il tatto, che il vedere? perché chi perde il vedere è come uno ch’è cacciato dal mondo, perché egli più nol vede, né nessuna sua cosa, e questa vita è sorella della morte.

12. Qual è di maggior danno alla specie umana, o perder l’occhio o l’orecchio.

Maggior danno ricevono gli animali per la perdita del vedere che dell’udire, per più cagioni; e prima, che mediante il vedere il cibo è ritrovato, donde si deve nutrire, il quale è necessario a tutti gli animali. Il secondo, che per il vedere si comprende il bello delle cose create, massime delle cose che inducono all’amore, nel quale il cieco nato non può pigliare per l’udito, perché mai non ebbe notizia che cosa fosse bellezza di alcuna cosa. Restagli l’udito per il quale solo intende le voci e parlare umano, nel quale sono i nomi di tutte le cose, a cui è dato il proprio nome; senza la saputa di essi nomi, ben si può vivere lieto, come si vede ne’ sordi nati, cioè i muti, mediante il disegno, del quale il più de’ muti si dilettano. E se tu dirai che il vedere impedisce la fissa e sottile cognizione mentale, con la quale si penetra nelle divine scienze, e tale impedimento condusse un filosofo a privarsi del vedere, a questo rispondo, che tal occhio come signore de’ sensi fa il suo debito a dare impedimento ai confusi e bugiardi, non scienze, ma discorsi, per i quali sempre con gran gridore e menar di mani si disputa; ed il medesimo dovrebbe fare l’udito, il quale ne rimane più offeso, perché egli vorrebbe accordo, del quale tutti i sensi s’intricano. E se tale filosofo si trasse gli occhi per levare l’impedimento a’ suoi discorsi, or pensa che tale atto fu compagno del cervello e de’ discorsi, perché il tutto fu pazzia; or non potea egli serrarsi gli occhi, quando esso entrava in tale frenesia, e tanto tenerli serrati che tal furore si consumasse? Ma pazzo fu l’uomo, e pazzo il discorso, e stoltissimo il trarsi gli occhi.

13. Come la scienza dell’astrologia nasce dall’occhio, perché mediante quello è generata.

Nessuna parte è nell’astrologia che non sia ufficio delle linee visuali e della prospettiva, figliuola della pittura; perché il pittore è quello che per necessità della sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si può fare per sé senza linee, dentro alle quali linee s’inchiudono tutte le varie figure de’ corpi generati dalla natura, e senza le quali l’arte del geometra è orba. E se il geometra riduce ogni superficie circondata da linee alla figura del quadrato, ed ogni corpo alla figura del cubo; e l’aritmetica fa il simile con le sue radici cube e quadrate; queste due scienze non si estendono se non alla notizia della quantità continua e discontinua, ma della qualità non si travagliano, la quale è bellezza delle opere di natura ed ornamento del mondo.

14. Pittore che disputa col poeta.

Qual poeta con parole ti metterà innanzi, o amante, la vera effigie della tua idea con tanta verità, qual farà il pittore? Quale sarà quello che ti dimostrerà i siti de’ fiumi, boschi, valli e campagne, dove si rappresentino i tuoi passati piaceri, con più verità del pittore? E se tu dici che la pittura è una poesia muta per sé, se non vi è chi dica o parli per lei quello che la rappresenta, or non t’avvedi tu che il tuo libro si trova in peggior grado? perché ancora ch’egli abbia un uomo che parli per lui, non si vede niente della cosa di che si parla, come si vedrà di quello che parla per le pitture; le quali pitture, se saranno ben proporzionati gli atti con i loro accidenti mentali, saranno intese, come se parlassero.

15. Come la pittura avanza tutte le opere umane per sottili speculazioni appartenenti a quella.

L’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite opere di natura e l’orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose racconte, le quali ha veduto l’occhio. Se voi istoriografi, o poeti, o altri matematici, non aveste con l’occhio visto le cose, male le potreste voi riferire per le scritture. E se tu, poeta, figurerai una istoria con la pittura della penna, il pittore col pennello la farà di più facile satisfazione, e meno tediosa ad esser compresa. Se tu dimanderai la pittura muta poesia, ancora il pittore potrà dire la poesia orba pittura. Or guarda qual è più dannoso mostro, o il cieco, o il muto?
Se il poeta è libero come il pittore nelle invenzioni, le sue finzioni non sono di tanta satisfazione agli uomini, quanto le pitture, perché se la poesia s’estende con le parole a figurar forme, atti e siti, il pittore si muove con le proprie similitudini delle forme a contraffare esse forme. Or guarda quale è più propinquo all’uomo, o il nome d’uomo, o la similitudine di esso uomo? Il nome dell’uomo si varia in varî paesi, e la forma non è mutata se non per la morte. E se il poeta serve al senso per la via dell’orecchio, il pittore per la via dell’occhio, più degno senso. Ma io non voglio da questi tali altro che un buon pittore, che figuri il furore di una battaglia, e che il poeta ne scriva un’altra, e che sieno messe in pubblico di compagnia. Vedrai dove più si fermeranno i veditori, dove più considereranno, dove si darà più laude, e quale satisfarà meglio. Certo la pittura, di gran lunga più utile e bella, più piacerà. Poni in iscritto il nome d’Iddio in un luogo, e ponvi la sua figura a riscontro, e vedrai quale sarà più riverita. Se la pittura abbraccia in sé tutte le forme della natura, voi non avete se non i nomi, i quali non sono universali come le forme; se voi avete gli effetti delle dimostrazioni, noi abbiamo le dimostrazioni degli effetti.
Tolgasi un poeta che descriva le bellezze di una donna al suo innamorato, e tolgasi un pittore che la figuri; vedrassi dove la natura volgerà più il giudicatore innamorato. Certo, il cimento delle cose dovrebbe lasciar dare la sentenza alla sperienza. Voi avete messa la pittura fra le arti meccaniche.
Certo, se i pittori fossero atti a laudare con lo scrivere le opere loro come voi, credo non giacerebbe in così vile cognome. Se voi la chiamate meccanica perché è prima manuale, ché le mani figurano quello che trovano nella fantasia, voi scrittori disegnate con la penna manualmente quello che nell’ingegno vostro si trova. E se voi diceste essere meccanica perché si fa a prezzo, chi cade in questo errore, se errore può chiamarsi, più di voi? Se voi leggete per gli studi, non andate da chi più vi premia? Fate voi alcuna opera senza qualche premio? Benché questo non dico per biasimare simili opinioni, perché ogni fatica aspetta premio, e potrà dire un poeta: io farò una finzione, che significherà cose grandi; questo medesimo farà il pittore, come fece Apelle la Calunnia. Se voi diceste: la poesia è più eterna, per questo dirò essere più eterne le opere di un calderaio, ché il tempo più le conserva che le vostre, o nostre opere; nientedimeno è di poca fantasia, e la pittura si può, dipingendo sopra rame con colori di vetro, farla molto più eterna. Noi per arte possiamo esser detti nipoti a Dio. Se la poesia s’estende in filosofia morale, e questa in filosofia naturale; se quella descrive le operazioni della mente che considera quella; se la mente opera nei movimenti; se quella spaventa i popoli colle infernali finzioni, questa con le medesime cose in atto fa il simile. Pongasi il poeta a figurare una bellezza, una fierezza, una cosa nefanda e brutta una mostruosa, col pittore; faccia a suo modo come vuole trasmutazione di forme, che il pittore non satisfaccia più. Non s’è egli visto pitture avere avuto tanta conformità con la cosa imitata, che hanno ingannato uomini ed animali?

16. Differenza che ha la pittura con la poesia.

La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede. Adunque queste due poesie, o vuoi dire due pitture, hanno scambiati i sensi, per i quali esse dovrebbero penetrare all’intelletto. Perché se l’una e l’altra è pittura, devono passare al senso comune per il senso più nobile, cioè l’occhio; e se l’una e l’altra è poesia, esse hanno a passare per il senso meno nobile, cioè l’udito. Adunque daremo la pittura al giudizio del sordo nato, e la poesia sarà giudicata dal cieco nato, e se la pittura sarà figurata con i movimenti appropriati agli accidenti mentali delle figure che operano in qualunque caso, senza dubbio il sordo nato intenderà le operazioni ed intenzioni degli operatori, ma il cieco nato non intenderà mai cosa che dimostri il poeta, la quale faccia onore ad essa poesia; conciossiaché delle nobili sue parti è il figurare i gesti e i componimenti delle istorie, e i siti ornati e dilettevoli con le trasparenti acque, per le quali si vedono i verdeggianti fondi de’ suoi corsi, scherzare le onde sopra prati e minute ghiaie, con le erbe, che con lor si mischiano insieme con i guizzanti pesci, e simili descrizioni, le quali si potrebbero così dire ad un sasso, come ad un cieco nato, perché mai vide nessuna cosa di che si compone la bellezza del mondo, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete; le quali sono dieci ornamenti della natura. Ma il sordo avendo perso il senso meno nobile, ancora ch’egli abbia insieme persa la loquela, perché mai udí parlare, mai poté imparare alcun linguaggio, ma questo intenderà bene ogni accidente che sia ne’ corpi umani, meglio che un che parli e che abbia udito, e similmente conoscerà le opere de’ pittori e quello che in esse si rappresenti, ed a che tali figure siano appropriate.

17. Che differenza è dalla pittura alla poesia.

La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l’una e l’altra vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze, e per l’una e per l’altra si può dimostrare molti morali costumi, come fece Apelle con la sua Calunnia. Ma della pittura, perché serve all’occhio, senso più nobile che l’orecchio, obietto della poesia, ne risulta una proporzione armonica; cioè, che siccome di molte e varie voci insieme aggiunte ad un medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la quale contenta tanto il senso dell’udito, che gli uditori restano con stupente ammirazione quasi semivivi. Ma molto più faranno le proporzionali bellezze di un angelico viso posto in pittura, dalla quale proporzionalità ne risulta un armonico concento, il quale serve all’occhio nel medesimo tempo che si faccia dalla musica all’orecchio. E se tale armonia delle bellezze sarà mostrata all’amante di quella di che tali bellezze sono imitate, senza dubbio esso resterà con istupenda ammirazione e gaudio incomparabile e superiore a tutti gli altri sensi. Ma dalla poesia la quale si abbia a stendere alla figurazione d’una perfetta bellezza, con la figurazione particolare di ciascuna parte della quale si compone in pittura la predetta armonia, non ne risulta altra grazia che si facesse a far sentire nella musica ciascuna voce per sé sola in varî tempi, delle quali non si comporrebbe alcun concento, come se volessimo mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle che prima mostrarono, delle quali dimostrazioni l’oblivione non lascia comporre alcuna proporzionalità di armonia, perché l’occhio non le abbraccia con la sua virtú visiva ad un medesimo tempo. Il simile accade nelle bellezze di qualunque cosa finta dal poeta, delle quali, per esser le sue parti dette separatamente in separati tempi, la memoria non riceve alcuna armonia.

18. Differenza infra poesia e pittura.

La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il suo fattore l’ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in questo caso il poeta, che manda le medesime cose al comun senso per la via dell’udito, minor senso, non dà all’occhio altro piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza è dall’udir raccontare una cosa che dia piacere all’occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedono le cose naturali. Ed ancorché le cose de’ poeti sieno con lungo intervallo di tempo lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e bisogna farvi sopra diversi comenti, ne’ quali rarissime volte tali comentatori intendono qual fosse la mente del poeta; e molte volte i lettori non leggono se non piccola parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l’opera del pittore immediate è compresa da’ suoi risguardatori.

19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia.

La pittura ti rappresenta in un subito la sua essenza nella virtù visiva, e per il proprio mezzo, d’onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed ancora nel medesimo tempo, nel quale si compone l’armonica proporzionalità delle parti che compongono il tutto, che contenta il senso; e la poesia riferisce il medesimo, ma con mezzo meno degno dell’occhio, il quale porta nella impressiva più confusamente e con più tardità le figurazioni delle cose nominate che non fa l’occhio, vero mezzo infra l’obietto e l’impressiva, il quale immediate conferisce con somma verità le vere superficie e figure di quel che dinanzi se gli appresenta, dalle quali ne nasce la proporzionalità detta armonia, che con dolce concento contenta il senso, non altrimenti che si facciano le proporzionalità di diverse voci al senso dell’udito; il quale ancora è men degno che quello dell’occhio, perché tanto quanto ne nasce, tanto ne muore; ed è sì veloce nel morire come nel nascere. Il che intervenire non può nel senso del vedere, perché se tu rappresenterai all’occhio una bellezza umana composta di proporzionalità di belle membra, essa bellezza non è sí mortale, né sì presto si strugge, come fa la musica, anzi ha lunga permanenza, e ti si lascia vedere e considerare, e non rinasce, come fa la musica nel molto sonare, né t’induce fastidio, anzi, t’innamora, ed è causa che tutti i sensi insieme con l’occhio la vorrebbero possedere, e pare che a gara voglion combattere con l’occhio. Pare che la bocca se la vorrebbe per sé in corpo, l’orecchio piglia piacere d’udire le sue bellezze, il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti i suoi meati, il naso ancora vorrebbe ricevere l’aria che al continuo da lei spira. Ma la bellezza di tale armonia il tempo in pochi anni la distrugge; il che non accade in tal bellezza imitata dal pittore, perché il tempo lungamente la conserva, e l’occhio in quanto al suo ufficio piglia il vero piacere di tal bellezza dipinta, qual si facesse nella bellezza viva.
Mancagli il tatto, il quale si fa maggior fratello nel medesimo tempo, il quale, poiché avrà avuto il suo intento, non impedisce la ragione dal considerare la divina bellezza. Ed in questo caso la pittura imitata da quella in gran parte supplisce, il che supplire non potrà la descrizione del poeta; il quale in questo caso si vuole equiparare al pittore, ma non si avvede che le sue parole, nel far menzione delle membra di tal bellezza, il tempo le divide l’una dall’altra, v’inframette l’oblivione, e divide le proporzioni, le quali senza gran prolissità e’ non può nominare. E non potendole nominare, esso non può comporre l’armonica proporzionalità, la quale è composta di divine proporzioni. E per questo un medesimo tempo, nel quale s’inchiude la speculazione di una bellezza dipinta, non può dare una bellezza descritta, e fa peccato contro natura quello che si dee metter per l’occhio a volerlo mettere per l’orecchio. Lasciavi entrare l’ufficio della musica, e non vi mettere la scienza della pittura, vera imitatrice delle naturali figure di tutte le cose. Che ti muove, o uomo, ad abbandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare i parenti ed amici, ed andare in luoghi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere fruisci? E se il poeta vuole in tal caso chiamarsi anco lui pittore, perché non pigliavi tali siti descritti dal poeta, e te ne stavi in casa senza sentire il soverchio calore del sole? O non t’era questo più utile e men fatica, perché si fa al fresco e senza moto e pericolo di malattia? Ma l’anima non potea fruire il benefizio degli occhi, finestre delle sue abitazioni, e non potea ricevere le specie degli allegri siti, non potea vedere le ombrose valli, rigate dallo scherzare de’ serpeggianti fiumi, non potea vedere i varî fiori che con loro colori fanno armonia all’occhio, e così tutte le altre cose che ad esso occhio rappresentare si possono. Ma se il pittore ne’ freddi e rigidi tempi dell’inverno ti pone innanzi i medesimi paesi dipinti, ed altri, ne’ quali tu abbia ricevuto i tuoi piaceri, appresso a qualche fonte; tu possa rivedere te amante con la tua amata, ne’ fioriti prati, sotto le dolci ombre delle verdeggianti piante, non riceverai tu altro piacere che ad udire tale effetto descritto dal poeta? Qui risponde il poeta, e cede alle sopradette ragioni, ma dice che supera il pittore, perché lui fa parlare e ragionare gli uomini con diverse finzioni, nelle quali ei finge cose che non sono, e che commoverà gli uomini a pigliare le armi, e che descriverà il cielo, le stelle, e la natura, e le arti, ed ogni cosa. Al quale si risponde, che nessuna di queste cose di che egli parla è sua professione propria, ma che s’ei vuol parlare ed orare, è da persuadere che in questo egli è vinto dall’oratore; e se parla d’astrologia, che lo ha rubato all’astrologo, e di filosofia, al filosofo, e che in effetto la poesia non ha propria sede, né la merita altrimenti che di un merciaio ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. Ma la deità della scienza della pittura considera le opere così umane come divine, le quali sono terminate dalle loro superficie, cioè linee de’ termini de’ corpi, con le quali ella comanda allo scultore la perfezione delle sue statue. Questa col suo principio, cioè il disegno, insegna all’architettore a fare che il suo edificio si renda grato all’occhio; questa insegna ai componitori di diversi vasi, agli orefici, tessitori, ricamatori; questa ha trovato i caratteri, con i quali si esprimono i diversi linguaggi; questa ha dato le caratte agli aritmetici; questa ha insegnato la figurazione alla geometria; questa insegna ai prospettivi ed astrologhi ed ai macchinatori ed ingegneri.

20. Dell’occhio.

L’occhio, dal quale la bellezza dell’universo è specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura. Ma chi li perde lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di rivedere il sole, luce di tutto il mondo. E quanti son quelli acui le tenebre notturne sono in sommo odio, ancora ch’elle sieno di breve vita! O che farebbero questi quando tali tenebre fossero compagne della vita loro? Certo, non è nessuno che non volesse piuttosto perdere l’udito e l’odorato che l’occhio, la perdita del quale udire consente la perdita di tutte le scienze che hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza del mondo, la quale consiste nella superficie de’ corpi sì accidentali come naturali, i quali si riflettono nell’occhio umano.

21. Disputa del poeta col pittore, e che differenza è da poesia a pittura.

Dice il poeta che la sua scienza è invenzione e misura; e questo è il semplice corpo di poesia, invenzione di materia, e misura ne’ versi, e che essa si veste poi di tutte le scienze. Al quale risponde il pittore avere i medesimi obblighi nella scienza della pittura, cioè invenzione e misura; invenzione nella materia, ch’egli deve fingere, e misura nelle cose dipinte, acciocché non sieno sproporzionate; ma ch’ei non si veste tali tre scienze, anzi, che le altre in gran parte si vestono della pittura, come l’astrologia, che nulla fa senza la prospettiva, la quale è principal membro di essa pittura, cioè l’astrologia matematica, non dico della fallace giudiciale, perdonimi chi per mezzo degli sciocchi ne vive. Dice il poeta, che descrive una cosa, che ne rappresenta un’altra piena di belle sentenze. Il pittore dice avere in arbitrio di fare il medesimo, e in questa parte anco egli è poeta. E se il poeta dice di fare accendere gli uomini ad amare, che è cosa principale della specie di tutti gli animali, il pittore ha potenza di fare il medesimo, tanto più ch’egli mette innanzi all’amante la propria effigie della cosa amata, il quale spesso fa con quella, baciandola, e parlando con quella, quello che non farebbe con le medesime bellezze postegli innanzi dallo scrittore. E tanto più supera gl’ingegni degli uomini ad amare ed innamorarsi di pittura che non rappresenta alcuna donna viva.
E già intervenne a me fare una pittura che rappresentava una cosa divina, la quale comperata dall’amante di quella volle levarne la rappresentazione di tal deità per poterla baciare senza sospetto, ma infine la coscienza vinse i sospiri e la libidine, e fu forza ch’ei se la levasse di casa. Or va tu, poeta, descrivi una bellezza senza rappresentazione di cosa viva, e desta gli uomini con quella a tali desiderî. Se tu dirai: io ti descriverò l’inferno, o il paradiso, ed altre delizie o spaventi, il pittore ti supera, perché ti metterà innanzi cose, che tacendo diranno tali delizie o ti spaventeranno e ti muoveranno l’animo a fuggire. Muove più presto i sensi la pittura che la poesia; e se tu dirai che con le parole tu leverai un popolo in pianto, o in riso, io ti dirò che non se’ tu che muove, egli è l’oratore, ed è una scienza che non è poesia. Ma il pittore muoverà a riso, non a pianto, perché il pianto è maggiore accidente che non è il riso. Un pittore fece una pittura, che chi la vedea subito sbadigliava, e tanto replicava tale accidente, quanto si teneva gli occhi alla pittura, la quale ancora lei era finta sbadigliare. Altri hanno dipinto atti libidinosi, e tanto lussuriosi, che hanno incitati i risguardatori di quelli alla medesima festa; il che non farà la poesia. E se tu scriverai la figura di alcuni dèi, non sarà tale scrittura nella medesima venerazione che la idea dipinta, perché a tale pittura sarà fatto di continuo voti e diverse orazioni, ed a quella concorreranno varie generazioni di diverse provincie, e per i mari orientali, e da tali si dimanderà soccorso a tal pittura, e non alla scrittura.

22. Arguizione del poeta contro il pittore.

Tu dici, o pittore, che la tua arte è adorata, ma non imputare a te tal virtú, ma alla cosa di che tal pittura è rappresentatrice. Qui il pittore risponde: O tu, poeta, che ti fai ancora tu imitatore, perché non rappresenti tu colle tue parole cose che le lettere tue contenitrici di tali parole ancora esse sieno adorate? Ma la natura ha più favorito il pittore che il poeta, e meritamente le opere del favorito debbono essere più onorate, che quelle di chi non è in favore. Adunque laudiamo quello che con le parole satisfa all’udito, e quel che con la pittura satisfa al contento del vedere. Ma tanto meno quel delle parole, quanto esse sono accidentali, e create da minor autore che le opere di natura, di che il pittore è imitatore; la qual natura è terminante dentro alle figure delle lor superficie.

23. Risposta del re Mattia ad un poeta che gareggiava con un pittore.

Portando il dí del natale del re Mattia un poeta un’opera fattagli in laude del giorno ch’esso re era nato a benefizio del mondo, ed un pittore presentandogli un ritratto della sua innamorata, subito il re rinchiuse il libro del poeta, e voltossi alla pittura, ed a quella fermò la vista con grande ammirazione. Allora il poeta forte isdegnato disse: O re, leggi, leggi, e sentirai cosa di maggior sostanza che una muta pittura. Allora il re, sentendosi riprendere del risguardar cose mute, disse: O poeta, taci che non sai ció che ti dica; questa pittura serve a miglior senso che la tua, la quale è da orbi. Dammi cosa ch’io la possa vedere e toccare, e non che solamente la possa udire, e non biasimar la mia elezione dell’avermi io messa la tua opera sotto il gomito, e questa del pittore tengo con ambo le mani, dandola a’ miei occhi, perché le mani da lor medesime hanno tolto a servire a più degno senso che non è l’udire; ed io per me giudico che tale proporzione sia dalla scienza del pittore a quella del poeta, qual è da’ suoi sensi, de’ quali questi si fanno obietti. Non sai tu che la nostra anima è composta di armonia, ed armonia non s’ingenera se non in istanti, ne’ quali le proporzionalità degli obietti si fan vedere o udire? Non vedi che nella tua scienza non è proporzionalità creata in istante, anzi, l’una parte nasce dall’altra successivamente, e non nasce la succedente se l’antecedente non muore? Per questo giudico la tua invenzione essere assai inferiore a quella del pittore, solo perché da quella non componesi proporzionalità armonica. Essa non contenta la mente dell’uditore o veditore, come fa la proporzionalità delle bellissime membra componitrici delle divine bellezze di questo viso che m’è dinanzi, le quali in un medesimo tempo tutte insieme giunte mi danno tanto piacere, con la divina loro proporzione, che nulla altra cosa giudico esser sopra la terra fatta dall’uomo che dar lo possa maggiore.
Non è sí insensato giudizio, che, se gli è proposto qual è più da eleggere, o stare in perpetue tenebre, o voler perdere l’udito, che subito non dica volere piuttosto perdere l’udito, insieme con l’odorato, prima che restar cieco. Perché chi perde il vedere, perde la bellezza del mondo con tutte le forme delle cose create, ed il sordo sol perde il suono fatto dal moto dell’aria percossa, ch’è minima cosa nel mondo. Tu che dici la scienza essere tanto più nobile, quanto essa si estende in più degno subietto, e per questo più vale una falsa immaginazione dell’essenza d’Iddio, che una immaginazione di una cosa men degna; per questo diremo la pittura, la quale solo s’estende nelle opere d’Iddio, essere più degna della poesia, che solo s’estende in bugiarde finzioni delle opere umane. Con debita lamentazione si duole la pittura per essere lei scacciata dal numero delle arti liberali; conciossiacché essa sia vera figliuola della natura, ed operata da più degno senso; onde a torto, o scrittori, l’avete lasciata fuori del numero di dette arti liberali, conciossiaché questa, non che alle opere di natura, ma ad infinite attende che la natura mai creò.

24. Conclusione infra il poeta ed il pittore.

Poiché noi abbiamo concluso la poesia essere in sommo grado di comprensione ai ciechi, e che la pittura fa il medesimo ai sordi, noi diremo tanto di più valere la pittura che la poesia, quanto la pittura serve a miglior senso e più nobile che la poesia, la qual nobiltà è provata esser tripla alla nobiltà di tre altri sensi; perché è stato eletto di volere piuttosto perdere l’udito ed odorato e tatto, che il senso del vedere; perché chi perde il vedere, perde la veduta e bellezza dell’universo, e resta a similitudine di uno che sia chiuso in vita in una sepoltura, nella quale abbia moto e vita. Or non vedi tu che l’occhio abbraccia la bellezza di tutto il mondo? Egli è capo dell’astrologia; egli fa la cosmografia; esso tutte le umane arti consiglia e corregge; muove l’uomo a diverse parti del mondo; questo è principe delle matematiche, le sue scienze sono certissime; questo ha misurato le altezze e grandezze delle stelle; questo ha trovato gli elementi e loro siti; questo ha fatto predire le cose future mediante il corso delle stelle; questo l’architettura e prospettiva, questo la divina pittura ha generata. O eccellentissimo sopra tutte le altre cose create da Dio! quali laudi saran quelle che esprimere possano la tua nobiltà? quali popoli, quali lingue saranno quelle che appieno possono descrivere la tua vera operazione? Questo è finestra dell’umano corpo, per la quale la sua via (?)
specula, e fruisce la bellezza del mondo; per questo l’anima si contenta dell’umana carcere, e senza questo essa umana carcere è suo tormento; e per questo l’industria umana ha trovato il fuoco, mediante il quale l’occhio riacquista quello che prima gli tolsero le tenebre. Questo ha ornato la natura coll’agricoltura e dilettevoli giardini. Ma che bisogna ch’io m’estenda in sì alto e lungo discorso qual è quella cosa che per lui non si faccia? Ei muove gli uomini dall’oriente all’occidente; questo ha trovato la navigazione, ed in questo supera la natura, perché i semplici naturali sono finiti, e le opere che l’occhio comanda alle mani sono infinite, come dimostra il pittore nelle finzioni d’infinite forme di animali ed erbe piante e siti.

25. Come la musica si dee chiamare sorella e minore della pittura.

La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura, conciossiaché essa è subietto dell’udito, secondo senso all’occhio, e compone armonia con la congiunzione delle sue parti proporzionali operate nel medesimo tempo, costrette a nascere e morire in uno o più tempi armonici, i quali tempi circondano la proporzionalità de’ membri di che tale armonia si compone, non altrimenti che faccia la linea circonferenziale per le membra di che si genera la bellezza umana.
Ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediate dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere, e ti si dimostra in vita quel che in fatto è una sola superficie. O maravigliosa scienza, tu riservi in vita le caduche bellezze de’ mortali, le quali hanno più permanenza che le opere di natura, le quali al continuo sono variate dal tempo, che le conduce alla debita vecchiezza; e tale scienza ha tale proporzione con la divina natura, quale l’hanno le sue opere con le opere di essa natura, e per questo è adorata.

26. Parla il musico col pittore.

Dice il musico, che la sua scienza è da essere equiparata a quella del pittore, perché essa compone un corpo di molte membra, del quale lo speculatore contempla tutta la grazia in tanti tempi armonici quanti sono i tempi ne’ quali essa nasce e muore, e con quei tempi trastulla con grazia l’anima che risiede nel corpo del suo contemplante. Ma il pittore risponde e dice che il corpo composto delle umane membra non dà di sé piacere a’ tempi armonici, ne’ quali essa bellezza abbia a variarsi dando figurazione ad un altro, né che in essi tempi abbia a nascere e morire, ma lo fa permanente per moltissimi anni, ed è di tanta eccellenza ch’ella riserva in vita quell’armonia delle proporzionate membra, le quali natura con tutte le sue forze conservar non potrebbe. Quante pitture hanno conservato il simulacro di una divina bellezza di cui il tempo o morte in breve ha distrutto il naturale esempio, ed è restata più degna l’opera del pittore che della natura sua maestra!

27. Il pittore dà i gradi delle cose opposte all’occhio, come il musico dà delle voci opposte all’orecchio.

Benché le cose opposte all’occhio si tocchino l’un l’altra di mano in mano, nondimeno farò la mia regola di venti in venti braccia, come ha fatto il musico infra le voci, che benché la sia unita ed appiccata insieme, nondimeno ha pochi gradi di voce in voce, domandando quella prima, seconda, terza, quarta e quinta, e cosí di grado in grado ha posto nomi alla varietà di alzare e abbassare la voce. Se tu, o musico, dirai che la pittura è meccanica per essere operata coll’esercizio delle mani, e la musica è operata con la bocca, ch’è organo umano, ma non per conto del senso del gusto, come la mano senso del tatto; meno degne sono ancora le parole che i fatti. Ma tu, scrittore delle scienze, non copii tu con mano scrivendo ciò che sta nella mente, come fa il pittore? E se tu dicessi la musica essere composta di proporzione, ho io con questa medesima seguito la pittura come meglio vedrai.
Quella cosa è più degna che satisfa a miglior senso. Adunque la pittura satisfattrice al senso del vedere è più nobile della musica che solo satisfa all’udito. Quella cosa è più nobile che ha più eternità; adunque la musica, che si va consumando mentre ch’ella nasce, è men degna della pittura, che con vetri si fa eterna. Quella cosa che contiene in sé più universalità e varietà di cose, quella sarà detta di più eccellenza. Adunque la pittura è da essere preposta a tutte le operazioni, perché è contenitrice di tutte le forme che sono, e di quelle che non sono in natura; è più da essere magnificata ed esaltata che la musica, che solo attende alla voce. Con questa si fanno i simulacri agli iddii; d’intorno a questa si fa il culto divino, il quale è ornato con la musica a questa servente; con questa si dà copia agli amanti della causa de’ loro amori; con questa si riservano le bellezze, le quali il tempo e la natura fan fuggitive; con questa noi riserviamo le similitudini degli uomini famosi. E se tu dicessi: la musica s’eterna collo scriverla, il medesimo facciamo noi qui colle lettere.
Adunque, poiché tu hai messa la musica infra le arti liberali, o tu vi metti questa, o tu ne levi quella; e se tu dicessi: gli uomini vili l’adoprano, e cosí è guasta la musica da chi non la sa. Se tu dirai: le scienze non meccaniche sono le mentali, io ti dirò che la pittura è mentale, e ch’ella, siccome la musica e la geometria considerano le proporzioni delle quantità continue, e l’aritmetica delle discontinue, questa considera tutte le quantità continue, e le qualità delle proporzioni d’ombre e lumi e distanze nella sua prospettiva.

28. Conclusione del poeta, del pittore e del musico.

Tal differenza è in quanto alla figurazione delle cose corporee dal pittore al poeta, quant’è dai corpi smembrati agli uniti, perché il poeta, nel descrivere la bellezza e bruttezza di qualunque corpo, te lo dimostra a membro a membro, ed in diversi tempi, ed il pittore tel fa vedere tutto in un tempo.
Il poeta non può porre colle parole la vera figura delle membra di che si compone un tutto, come il pittore, il quale tel pone innanzi con quella verità ch’è possibile in natura. Ed al poeta accade il medesimo come al musico, che canta solo un canto composto di quattro cantori, e canta prima il canto, poi il tenore, e cosí seguita il contralto, e poi il basso; e di costui non risulta la grazia della proporzionalità armonica, la quale si rinchiude in tempi armonici, e fa esso poeta a similitudine di un bel volto, il quale ti si mostra a membro a membro, che cosí facendo non rimarresti mai satisfatto della sua bellezza, la quale solo consiste nella divina proporzionalità delle predette membra insieme composte, le quali solo in un tempo compongono essa divina armonia di esso congiunto di membra, che spesso tolgono la libertà posseduta a chi le vede. E la musica ancora fa nel suo tempo armonico le soavi melodie composte delle sue varie voci, dalle quali il poeta è privato della loro descrizione armonica. E benché la poesia entri pel senso dell’udito alla sede del giudizio siccome la musica, esso poeta non può descrivere l’armonia della musica perché non ha potestà in un medesimo tempo di dire diverse cose, come la proporzionalità armonica della pittura composta di diverse membra in un medesimo tempo, la dolcezza delle quali sono giudicate in un medesimo tempo cosí in comune, come in particolare. In comune, in quanto all’intento del composto; in particolare in quanto all’intento de’ componenti, di che si compone esso tutto. E per questo il poeta resta, in quanto alla figurazione delle cose corporee, molto indietro al pittore, e delle cose invisibili rimane indietro al musico. Ma s’esso poeta toglie in prestito l’aiuto delle altre scienze, potrà comparire alle fiere come gli altri mercanti portatori di diverse cose fatte da più inventori. E fa questo il poeta quando s’impresta l’altrui scienza, come dell’oratore, filosofo, astrologo, cosmografo, e simili, le quali scienze sono in tutto separate dal poeta. Adunque questo è un sensale che giunge insieme a diverse persone a fare una conclusione di un mercato. E se tu vorrai trovare il proprio ufficio del poeta, tu troverai non essere altro che un adunatore di cose rubate a diverse scienze, colle quali egli fa un composto bugiardo, o vuoi, con più onesto dire un composto finto; ed in questa tal finzione libera esso poeta s’è equiparato al pittore, ch’è la più debole parte della pittura.

29. Quale scienza è meccanica, e quale non è meccanica.

Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita dall’esperienza, e quella esser scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella essere semimeccanica che nasce dalla scienza e finisce nella operazione manuale. Ma a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine, non passa per nessuno de’ cinque sensi. E se noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dobbiamo noi dubitare delle cose ribelli ad essi sensi, come dell’assenza di Dio e dell’anima e simili, (Nel codice Vaticano è stata tirata una linea sul brano che incomincia con le parole: “E se noi dubitiamo” e termina: “e non certezza rinata.” L’edizione De Romanis (Roma 1817) riproduce quel brano, sopprimendo però l’inciso: “come l’assenza di Dio e dell’anima e simili,” probabilmente per non incorrere nella censura. Per simile motivo la stessa edizione romana, al § 4, invece delle parole: “le immagini delle divine deità,” ha: “le immagini de’ santi,” ed al § 8, alle parole: “parente d’Iddio,” sostituisce “opera d’Iddio.”) per le quali sempre si disputa e contende. E veramente accade che sempre dove manca la ragione suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe. Per questo diremo che dove si grida non è vera scienza, perché la verità ha un sol termine, il quale essendo pubblicato, il litigio resta in eterno distrutto, e s’esso litigio resurge, ella è bugiarda e confusa scienza, e non certezza rinata. Ma le vere scienze son quelle che la speranza ha fatto penetrare per i sensi, e posto silenzio alla lingua de’ litiganti, e che non pasce di sogni i suoi investigatori, ma sempre sopra i primi veri e noti principî procede successivamente e con vere seguenze insino al fine, come si dinota nelle prime matematiche, cioè numero e misura, dette aritmetica e geometria, che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua. Qui non si arguirà che due tre facciano più o men che sei, né che un triangolo abbia i suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta distrutta ogni arguizione, e con pace sono fruite dai loro devoti, il che far non possono le bugiarde scienze mentali. E se tu dirai tali scienze vere e note essere di specie di meccaniche, imperocché non si possono finire se non manualmente, io dirò il medesimo di tutte le arti che passano per le mani degli scrittori, le quali sono di specie di disegno, membro della pittura; e l’astrologia e le altre passano per le manuali operazioni, ma prima sono mentali com’è la pittura, la quale è prima nella mente del suo speculatore, e non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione; della qual pittura i suoi scientifici e veri principî prima ponendo che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva ed ombra derivativa, e che cosa è lume, cioè tenebre, luce, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono senza opera manuale; e questa sarà la scienza della pittura, che resta nella mente de’ suoi contemplanti, dalla quale nasce poi l’operazione, assai più degna della predetta contemplazione o scienza.
Dopo questa viene la scultura, arte degnissima, ma non di tanta eccellenza d’ingegno operata, conciossiaché in due casi principali sia difficilissima, co’ quali il pittore procede nella sua. Questa è aiutata dalla natura, cioè prospettiva, ombra e lumi. Questa ancora non è imitatrice de’ colori, per i quali il pittore si affatica a trovare che le ombre sieno compagne de’ lumi.

30. Perché la pittura non è connumerata nelle scienze.

Perché gli scrittori non hanno avuto notizia della scienza della pittura, non hanno potuto descriverne i gradi e le parti. Ed essa medesima non si dimostra col suo fine nelle parole; essa è restata, mediante l’ignoranza, indietro alle predette scienze, non mancando per questo di sua divinità. E veramente non senza cagione non l’hanno nobilitata, perché per sé medesima si nobilita senza l’aiuto delle altrui lingue, non altrimenti che si facciano le eccellenti opere di natura. E se i pittori non hanno di lei descritto e ridottala in scienza, non è colpa della pittura. Perché pochi pittori fanno professione di lettere, perché la lor vita non basta ad intendere quella, per questo avremo noi a dire che essa è meno nobile? Avremo noi a dire che le virtú delle erbe, pietre e piante non sieno in essere perché gli uomini non le abbiano conosciute? Certo no, ma diremo esse erbe restarsi in sé nobili senza l’aiuto delle lingue o lettere umane.

31. Comincia della scultura, e s’essa è scienza o no.

La scultura non è scienza ma arte meccanicissima, perché genera sudore e fatica corporale al suo operatore e solo bastano a tale artista le semplici misure dei membri e la natura de’ movimenti e posati, e così in sé finisce dimostrando all’occhio quel che quello è, e non dà di sé alcuna ammirazione al suo contemplante, come fa la pittura, che in una piana superficie per forza di scienza dimostra le grandissime campagne co’ lontani orizzonti.

32. Differenza tra la pittura e la scultura.

Tra la pittura e la scultura non trovo altra differenza, senonché lo scultore conduce le sue opere con maggior fatica di corpo che il pittore, ed il pittore conduce le opere sue con maggior fatica di mente. Provasi così esser vero, conciossiaché lo scultore nel fare la sua opera fa per forza di braccia e di percussione a consumare il marmo, od altra pietra soverchia, ch’eccede la figura che dentro a quella si rinchiude, con esercizio meccanicissimo, accompagnato spesse volte da gran sudore composto di polvere e convertito in fango, con la faccia impastata, e tutto infarinato di polvere di marmo che pare un fornaio, e coperto di minute scaglie, che pare gli sia fioccato addosso; e l’abitazione imbrattata e piena di scaglie, e di polvere di pietre. Il che tutto al contrario avviene al pittore, parlando di pittori e scultori eccellenti; imperocché il pittore con grande agio siede dinanzi alla sua opera ben vestito e muove il lievissimo pennello co’ vaghi colori, ed ornato di vestimenti come a lui piace; ed è l’abitazione sua piena di vaghe pitture, e pulita, ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, le quali, senza strepito di martelli od altro rumore misto, sono con gran piacere udite. Ancora lo scultore nel condurre a fine le sue opere ha da fare per ciascuna figura tonda molti dintorni, acciocché di tal figura ne risulti grazia per tutti gli aspetti; e questi tali dintorni non son fatti se non dalla convenienza dell’alto e basso, il quale non lo può porre con verità se non si tira in parte che la veda in profilo, cioè che i termini della concavità e rilievi sieno veduti avere confini coll’aria che li tocca. Ma invero questo non aggiunge fatica all’artefice, considerando ch’egli, siccome il pittore, ha vera notizia di tutti i termini delle cose vedute per qualunque verso; la qual notizia al pittore, siccome allo scultore, sempre è in potenza. Ma lo scultore avendo da cavare dove vuol fare gl’intervalli de’ muscoli, e da lasciare dove vuol fare i rilievi di essi muscoli, non li può generare con debita figura oltre lo aver fatto la lunghezza e larghezza loro, s’egli non si muove in traverso, piegandosi od alzandosi in modo ch’esso vegga la vera altezza de’ muscoli e la vera bassezza de’ loro intervalli; e questi son giudicati dallo scultore in tal sito, e per questa via di dintorni si ricorreggono, altrimenti mai porrà bene i termini o vero figure delle sue sculture. E questo tal modo dicono essere fatica di mente allo scultore, perché non acquista altro che fatica corporale; perché in quanto alla mente, o vo’ dire giudizio, esso non ha se non in tal profilo a ricorreggere i dintorni delle membra, dove i muscoli sono troppo alti; e questo è il proprio ordinario dello scultore a condurre a fine le opere sue. Il quale ordinario è condotto dalla vera notizia di tutti i termini delle figure de’ corpi per qualunque verso. Dice lo scultore, che se e’ leva di soverchio, non può più aggiungere, come il pittore. Al quale si risponde: se la sua arte era perfetta, egli avrebbe sollevato mediante la notizia delle misure quel che bastava, e non di soverchio, il quale levamento nasce dalla sua ignoranza, la quale gli fa levare più o meno che non debba. Ma di questi non parlo, perché non sono maestri, ma guastatori di marmi; i maestri non si fidano nel giudizio dell’occhio, perché sempre inganna, come prova chi vuol dividere una linea in due parti eguali a giudizio di occhio, che spesso la sperienza lo inganna. Onde per tale sospetto i buoni giudici sempre temono, il che non fanno gl’ignoranti; e per questo colla notizia della misura di ciascuna lunghezza, grossezza e larghezza de’ membri si vanno al continuo governando, e così facendo non levano più del dovere. Il pittore ha dieci varî discorsi, co’ quali esso conduce al fine le sue opere, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete. Lo scultore solo ha da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete; nelle tenebre o luce non s’impaccia, perché la natura da sé le genera nelle sue sculture; del colore nulla; di remozione o propinquità se n’impaccia mezzanamente, cioè non adopera se non la prospettiva lineale, ma non quella de’ colori, che si variano in varie distanze dall’occhio di colore e di notizia de’ loro termini e figure. Adunque ha meno discorso la scultura, e per conseguenza è di minore fatica d’ingegno che la pittura.

33. Il pittore e lo scultore.

Dice lo scultore la sua arte essere più degna della pittura, conciossiaché quella è più eterna per temer meno l’umido, il fuoco, il caldo ed il freddo, che la pittura. A costui si risponde che questa tal cosa non fa più dignità nello scultore, perché tal permanenza nasce dalla materia, e non dall’artefice, la qual dignità può ancora essere nella pittura, dipingendo con colori di vetro sopra i metalli, o terra cotta, e quelli in fornace far discorrere, e poi pulire con diversi strumenti, e fare una superficie piana e lustra, come ai nostri giorni si vede fare in diversi luoghi di Francia e d’Italia, e massime in Firenze nel parentado della Robbia, i quali hanno trovato modo di condurre ogni grande opera in pittura sopra terra cotta coperta di vetro. Vero è che questa è sottoposta alle percussioni e rotture, siccome la scultura di marmo, ma non è immune dalle offese de’ distruttori (Nel codice: “ma non è a’ distruttori come le figure di bronzo.” ) come le figure di bronzo, ma di eternità si congiunge colla scultura, e di bellezza la supera senza comparazione, perché in quella si congiungono le due prospettive, e nella scultura tonda non è nessuna che non sia fatta dalla natura. Lo scultore nel fare una figura tonda fa solamente due figure, e non infinite per gl’infiniti aspetti donde essa può essere veduta, e di queste due figure l’una è veduta dinanzi e l’altra di dietro; e questo si prova non essere altrimenti, perché se tu fai una figura in mezzo rilievo veduta dinanzi, tu non dirai mai avere fatto più opera in dimostrazione, che si faccia il pittore in una figura fatta nella medesima veduta; e il simile interviene a una figura volta indietro. Ma il basso rilievo è di più speculazione senza comparazione al tutto rilievo, e si accosta in grandezza di speculazione alquanto alla pittura, perché è obbligato alla prospettiva; e il tutto rilievo non s’impaccia niente in tal cognizione, perché egli adopera le semplici misure come le ha trovate al vivo; e di qui, in quanto a questa parte, il pittore impara più presto la scultura, che lo scultore la pittura. Ma per tornare al proposito di quel ch’è detto del basso rilievo, dico che quello è di men fatica corporale che il tutto rilievo, ma assai di maggiore investigazione, conciossiaché in quello si ha da considerare la proporzione che han le distanze interposte infra le prime parti de’ corpi e le seconde, e dalle seconde alle terze successivamente; le quali se da te prospettivo saranno considerate, tu non troverai opera nessuna in basso rilievo che non sia piena di errori ne’ casi del più e men rilievo che si richiede alla parte de’ corpi che sono più o men vicini all’occhio. Il che mai sarà nel tutto rilievo, perché la natura aiuta lo scultore; e per questo quel che fa di tutto rilievo manca di tanta difficoltà. Seguita un nimico capitale dello scultore nel tutto e nel poco rilievo delle sue cose, le quali nulla valgono se non hanno il lume accomodato simile a quello dove esse furono lavorate. Imperocché se esse hanno il lume di sotto, le loro opere parranno assai, e massime il basso rilievo, che quasi cancella negli opposti giudizi la sua cognizione. Il che non può accadere al pittore, il quale, oltre all’aver poste le membra delle sue cose, esso si è convertito ne’ due uffici della natura, i quali sono grandissimi, e questi sono le due prospettive, ed il terzo di grandissimo discorso, ch’è il chiaro scuro delle ombre, o de’ lumi, di che lo scultore è ignorante, ed è aiutato dalla natura nel modo ch’essa aiuta le altre cose invisibili artificiose.

34. Come la scultura è di minore ingegno che la pittura, e mancano in lei molte parti naturali.

Adoperandomi io non meno in scultura che in pittura, ed esercitando l’una e l’altra in un medesimo grado, mi pare con picciola imputazione poterne dare sentenza, quale sia di maggiore ingegno, difficoltà e perfezione l’una che l’altra. Prima la scultura è sottoposta a certi lumi, cioè di sopra, e la pittura porta per tutto seco e lume e ombra. E lume e ombra è la importanza adunque della scultura; lo scultore in questo caso è aiutato dalla natura del rilievo, ch’ella genera per sé; e il pittore per accidentale arte lo fa ne’ luoghi dove ragionevolmente lo farebbe la natura; lo scultore non si può diversificare nelle varie nature de’ colori delle cose; la pittura non manca in parte alcuna.
Le prospettive degli scultori non paiono niente vere, quelle del pittore paiono a centinaia di miglia di là dall’opera. La prospettiva aerea è lontana dall’opera. Non possono figurare i corpi trasparenti, non possono figurare i luminosi, non linee riflesse, non corpi lucidi, come specchi e simili cose lustranti, non nebbie, non tempi oscuri, ed infinite cose che non si dicono per non tediare. Ciò ch’ella ha, è che la è più resistente al tempo, benché a simile resistenza la pittura fatta sopra rame grosso coperto di smalto bianco, e sopra quello dipinto con colori di smalto, e rimesso in fuoco e fatto cuocere, questa per eternità avanza la scultura. Potrà dire lo scultore, che dove fa un errore non gli è facile il racconciarlo; questo è debole argomento a voler provare che una ismemorataggine irrimediabile faccia l’opera più degna; ma io dirò bene che l’ingegno del maestro che fa simili errori sarà più difficile a racconciare, che non sarà a racconciare l’opera da quello guasta. Noi sappiamo bene che quello che sarà pratico non farà simili errori, anzi con buone regole andrà levando tanto poco per volta, che condurrà bene la sua opera. Ancora lo scultore se fa di terra o cera può levare e porre, e quando l’opera è terminata con facilità si gitta in bronzo; e questa è l’ultima operazione e la più permanente che abbia la scultura; imperocché quella ch’è solo di marmo è sottoposta alla rovina, il che non è del bronzo. Adunque quella pittura fatta in rame che si può, com’è detto della pittura, levare e porre a par al bronzo, ché quando facevi quell’opera di cera prima si poteva ancor essa levare e porre, se questa è scultura di bronzo, quella pittura di rame e di vetro è eternissima. Se il bronzo rimane nero e bruno, questa pittura è piena di varî e vaghi colori; e di infinite varietà, delle quali com’è di sopra; se un volesse dire solamente della pittura in tavola, di questo mi accorderei anch’io con la scultura, dicendo così: come la pittura è più bella, e di più fantasia, e più copiosa, è la scultura più durabile, che altro non ha. La scultura con poca fatica mostra quel che la pittura pare cosa miracolosa, cioè a far parere palpabili le cose impalpabili, rilevate le cose piane, lontane le cose vicine; in effetto, la pittura è ornata d’infinite speculazioni, che la scultura non le adopera.
Nessuna comparazione è dall’ingegno, artificio e discorso della pittura a quello della scultura, che non s’impaccia se non della prospettiva causata dalla virtú della materia, e non dall’artefice. E se lo scultore dice non poter racconciare la materia levata di soverchio alla sua opera, come può il pittore, qui si risponde: che quel che troppo leva, poco intende e non è maestro; perché s’egli ha in potestà le misure, egli non leverà quello che non deve. Adunque diremo tal difetto essere dell’operatore e non della materia. Ma la pittura è di maraviglioso artificio, tutta di sottilissime speculazioni, delle quali in tutto la scultura n’è privata per essere di brevissimo discorso. Rispondesi allo scultore, che dice che la sua scienza è più permanente che la pittura, che tal permanenza è virtú della materia sculta e non dello scultore; e in questa parte lo scultore non se lo deve attribuire a sua gloria, ma lasciarla alla natura, creatrice di tale materia.

35. Dello scultore e del pittore.

Lo scultore ha la sua arte di maggior fatica corporale che il pittore, cioè più meccanica, e di minor fatica mentale, cioè che ha poco discorso rispetto alla pittura, perché esso scultore solo leva, ed il pittore sempre pone; lo scultore sempre leva di una materia medesima, e il pittore sempre pone di varie materie. Lo scultore solo ricerca i lineamenti che circondano la materia sculta, ed il pittore ricerca i medesimi lineamenti, ed oltre a quelli ricerca ombra e lume, colore e scorto, delle quali cose la natura ne aiuta di continuo lo scultore, cioè con ombra e lume e prospettiva, le quali parti bisogna che il pittore se le acquisti per forza d’ingegno e si converta in essa natura, e lo scultore le trova di continuo fatte. E se tu dirai: egli è alcuno scultore che intende quello che intende il pittore, io ti rispondo che donde lo scultore intende le parti del pittore, ch’esso è pittore, e dove esso non le intende, ch’egli è semplice scultore. Ma il dipintore ha di bisogno sempre d’intendere la scultura, cioè il naturale, che ha il rilievo che per sé genera chiaro e scuro e scorto. E per questo molti ritornano alla natura per non essere scienziati in tale discorso d’ombre e lume e prospettiva, e per questo ritrattano il naturale, perché solo tal ritrarre ne ha messo in uso, senza altra scienza o discorso di natura in tal proposito. E di questi ce n’è alcuni che per vetri ed altre carte o veli trasparenti riguardano le cose fatte dalla natura, e quivi nella superficie delle trasparenze le profilano, e quelle colle regole della proporzionalità le circondano di profili, crescendole alcuna volta dentro a tali profili, l’occupano di chiaro scuro, notando il sito, la quantità e figura d’ombre e lumi. Ma questo è da essere laudato in quelli che sanno fare di fantasia appresso gli effetti di natura, ma sol usano tali discorsi per levarsi alquanto di fatica e per non mancare in alcuna particola della vera imitazione di quella cosa, che con precisione si deve far somigliare. Ma questa tale invenzione è da essere vituperata in quelli che non sanno per sé ritrarre, né discorrere coll’ingegno loro, perché con tale pigrizia sono distruttori del loro ingegno, né mai sanno operare cosa alcuna buona senza tale aiuto; e questi sempre sono poveri e meschini d’ogni loro invenzione o componimento di storie, la qual cosa è il fine di tale scienza, come a suo luogo sarà dimostrato.

36. Comparazione della pittura alla scultura.

La pittura è di maggior discorso mentale e di maggiore artificio e maraviglia che la scultura, conciossiaché necessità costringe la mente del pittore a trasmutarsi nella propria mente di natura, e a farsi interprete infra essa natura e l’arte, comentando con quella le cause delle sue dimostrazioni costrette dalla sua legge, ed in che modo le similitudini degli obietti circostanti all’occhio concorrano co’ veri simulacri alla pupilla dell’occhio, e infra gli obietti eguali in grandezza quale si dimostrerà maggiore ad esso occhio, e infra i colori eguali qual si dimostrerà più o meno oscuro, o più o men chiaro; e infra le cose di eguale bassezza, quale si dimostrerà più o men bassa; e di quelle che sono poste in altezza eguale, quale si dimostrerà più o meno alta; e degli obietti eguali posti in varie distanze, perché si dimostreranno men noti l’un che l’altro. E tale arte abbraccia e restringe in sé tutte le cose visibili, il che far non può la povertà della scultura, cioè i colori di tutte le cose e loro diminuzioni. Questa figura le cose trasparenti, e lo scultore ti mostrerà le naturali senza suo artifizio; il pittore ti mostrerà varie distanze con variamento del colore dell’aria interposta fra gli obietti e l’occhio; egli le nebbie, per le quali con difficoltà penetrano le specie degli obietti; egli le pioggie, che mostrano dopo sé i nuvoli con monti e valli; egli la polvere che mostrano in sé e dopo sé i combattenti di essa motori; egli i fumi più o men densi; questo ti mostrerà i pesci scherzanti infra la superficie delle acque e il fondo loro; egli le pulite ghiaie con varî colori posarsi sopra le lavate arene del fondo de’ fiumi circondati delle verdeggianti erbe dentro alla superficie dell’acqua; egli le stelle in diverse altezze sopra di noi, e cosí altri innumerabili effetti, ai quali la scultura non aggiunge. Dice lo scultore che il basso rilievo è di specie di pittura; questo in parte si accetterebbe in quanto al disegno, perché partecipa di prospettiva; ma in quanto alle ombre e lumi, è falso in scultura e in pittura, perché le ombre di esso basso rilievo non sono della natura del tutto rilievo, come sono le ombre degli scorti, che non ha l’oscurità della pittura o scultura tonda: ma questa arte è una mistione di pittura e scultura.
Manca la scultura della bellezza de’ colori, manca della prospettiva de’ colori, manca della prospettiva e confusione de’ termini delle cose remote all’occhio; imperocché cosí farà cogniti i termini delle cose propingue come delle remote; non farà l’aria interposta infra l’obietto remoto e l’occhio occupare più esso obietto che l’obietto vicino; non farà i corpi lucidi e trasparenti come le figure velate che mostrano la nuda carne sotto i veli a quella anteposti; non farà la minuta ghiaia di varî colori sotto la superficie delle trasparenti acque.
La pittura è di maggior discorso mentale che la scultura, e di maggiore artificio; conciossiaché la scultura non è altro che quel ch’ella pare, cioè nell’essere corpo rilevato, e circondato di aria, e vestito da superficie oscura e chiara, come sono gli altri corpi naturali; e l’artificio è condotto da due operatori, cioè dalla natura e dall’uomo; ma molto è maggiore quello della natura; conciossiaché s’ella non soccorresse tale opera con ombre più o meno oscure, e con i lumi più o men chiari, tale operazione sarebbe tutta di un colore chiaro e scuro a similitudine di una superficie piana. E oltre questo vi si aggiunge l’adiutorio della prospettiva, la quale co’ suoi scorti aiuta a voltare la superficie muscolosa de’ corpi a’ diversi aspetti, occupando l’un muscolo l’altro con maggiore o minore occupazione. Qui risponde lo scultore e dice: s’io non facessi tali muscoli, la prospettiva non me li scorterebbe; al quale si risponde: se non fosse l’aiuto del chiaro e scuro, tu non potresti fare tali muscoli, perché tu non li potresti vedere. Dice lo scultore ch’egli è esso che fa nascere il chiaro e lo scuro col suo levare dalla materia sculta; rispondesi, che non egli ma la natura fa l’ombra, e non l’arte, e che s’egli scolpisse nelle tenebre, non vedrebbe nulla, perché non vi è varietà, né anco nelle nebbie circondanti la materia sculta con eguale chiarezza, non si vedrebbe altro che i termini della materia sculta ne’ termini della nebbia che con lei confina. E dimando a te, scultore, perché tu non conduci opere a quella perfezione in campagna, circondate da uniforme lume universale dell’aria, come tu fai ad un lume particolare che di alto discenda alla luminazione della tua opera? E se tu fai nascere l’ombra a tuo beneplacito, nel levare della materia, perché non la fai medesimamente nascere nella materia sculta al lume universale, come tu fai nel lume particolare? Certo tu t’inganni, ché egli è altro maestro che fa esse ombre e lumi, al quale tu famiglio però pari la materia dov’egli imprime essi accidenti. Sicché non ti gloriare delle altrui opere; a te sol bastano le lunghezze e grossezze delle membra di qualunque corpo e le loro proporzioni, e questa è tua arte; il resto, ch’è il tutto, è fatto dalla natura, maggior maestro di te. Dice lo scultore che farà di basso rilievo, e che mostrerà per via di prospettiva quel che non è in atto; rispondesi, che la prospettiva è membro della pittura, e che in questo caso lo scultore si fa pittore, come si è dimostrato innanzi.

37. Escusazione dello scultore.

Dice lo scultore, che s’esso leva più marmo che non deve, non può ricorreggere il suo errore, come fa il pittore; al quale si risponde, che chi leva più che non deve non è maestro, perché maestro si dimanda quello che ha vera scienza della sua operazione. Risponde lo scultore, che lavorando il marmo si scopre una rottura, che ne fu causa essa e non il maestro di tale errore; rispondesi tale scultore essere in questo caso come il pittore a cui si rompe ed offende la tavola donde egli dipinge.
Dice lo scultore che non può fare una figura, che non ne faccia infinite per gl’infiniti termini che hanno le quantità continue; rispondesi, che gl’infiniti termini di tal figura si riducono in due mezze figure, cioè una mezza dal mezzo indietro, e l’altra mezza dal mezzo innanzi; le quali, essendo ben proporzionate, compongono una figura tonda, e queste tali mezze avendo i loro debiti rilievi in tutte le loro parti, risponderanno per sé senz’altro magistero per tutte le infinite figure che tale scultore dice aver fatte; che il medesimo si può dire da uno che faccia un vaso al torno, perché ancora egli può mostrare il suo vaso per infiniti aspetti. Ma che può fare lo scultore, che gli accidenti naturali al continuo non lo soccorrino in tutti i necessari ed opportuni casi, il quale aiuto è privato d’inganno; e questo è il chiaro scuro, che i pittori dimandano lume ed ombra, i quali il pittore con grandissima speculazione da sé generatili, con le medesime quantità e qualità e proporzioni aiutandosi, che la natura senza ingegno dello scultore aiuta la scultura, e la medesima natura aiuta tale artefice con le debite diminuzioni, colle quali la prospettiva per sé produce naturalmente senza discorso dello scultore; la quale scienza fa bisogno che il pittore col suo ingegno si acquisti. Dirà lo scultore fare opere più eterne che il pittore; qui si risponde essere virtù della materia sculta e non dello scultore, che la scolpisce; e se il pittore dipinge in terra cotta co’ vetri, l’opera sua sarà più eterna che la scultura.

38. Dell’obbligo che ha la scultura col lume, e non la pittura.

Se la scultura avrà il lume di sotto parrà cosa mostruosa e strana; questo non accade alla pittura, che tutte le parti porta con sé.

39. Differenza ch’è dalla pittura alla scultura.

La prima maraviglia che apparisce nella pittura è il parere spiccata dal muro od altro piano, ed ingannare i sottili giudizi con quella cosa che non è divisa dalla superficie della parete; qui in questo caso lo scultore fa le opere sue che tanto paiono quanto elle sono, e qui è la causa che il pittore bisogna che faccia l’ufficio della notizia nelle ombre, che sieno compagne de’ lumi. Allo scultore non bisogna tale scienza, perché la natura aiuta le sue opere, com’essa fa ancora a tutte le altre cose corporee, dalle quali tolta la luce sono di un medesimo colore, e renduta loro la luce, sono di varî colori, cioè chiaro e scuro. La seconda cosa che al pittore con gran discorso bisogna, è che con sottile investigazione ponga le vere qualità e quantità delle ombre e lumi; qui la natura per sé le mette nelle opere dello scultore. Terza è la prospettiva, investigazione ed invenzione sottilissima degli studi matematici, la quale per forza di linee fa parere remoto quel ch’è vicino, e grande quel ch’è picciolo; qui la scultura è aiutata dalla natura in questo caso, e fa senza invenzione dello scultore.

40. Della pittura e della poesia.

Per fingere le parole la poesia supera la pittura, e per fingere fatti la pittura supera la poesia, e quella proporzione ch’è dai fatti alle parole, tal è dalla pittura ad essa poesia, perché i fatti sono subietto dell’occhio, e le parole subietto dell’orecchio, e cosí i sensi hanno la medesima proporzione infra loro, quale hanno i loro obietti infra se medesimi, e per questo giudico la pittura essere superiore alla poesia. Ma per non sapere i suoi operatori dire la sua ragione, è restata lungo tempo senza avvocati, perché essa non parla, ma per sé si dimostra e termina ne’ fatti; e la poesia finisce in parole, con le quali come briosa se stessa lauda.>
*( Nel codice si legge la seguente annotazione: “Questo capitolo Della pittura e della poesia è stato ritrovato dopo avere scritto tutto il libro. Però mi pare sarebbe bene s’ei seguisse dietro il capitolo: Quale scienza è meccanica e quale non è meccanica.” Poi, scritte con inchiostro diverso, si trovano la parole: “più tosto dietro al capitolo: Arguizione del poeta contro il pittore, ovvero dietro al seguente.”)

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

Primo volume
PARTE SECONDA
Capitoli da 40 a 130

41. Del primo principio della scienza della pittura.

disegno Leonardo
Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal superficie; e questo è quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché invero la pittura non si estende piú oltre che la superficie, per la quale si finge il corpo figura di qualunque cosa evidente.

42. Principio della scienza della pittura.

La superficie piana ha tutto il suo simulacro in tutta l’altra superficie piana che le sta per obietto. Provasi, e sia rs la prima superficie piana, e oq sia la seconda superficie piana posta a riscontro alla prima; dico: ch’essa prima superficie rs è tutta in oq superficie e tutta in o e tutta in q e tutta in p, perché rs è bassa dall’angolo o e dall’angolo p e cosí d’infiniti angoli fatti in oq.

43. Del secondo principio della pittura.

Il secondo principio della pittura è l’ombra del corpo, che per lei si finge, e di questa ombra daremo i principî, e con quelli procederemo nell’isculpire la predetta superficie.

44. In che si estende la scienza della pittura.

La scienza della pittura si estende in tutti i colori delle superficie e figure dei corpi da quelle vestiti, ed alle loro propinquità e remozioni con i debiti gradi di diminuzione secondo i gradi delle distanze; e questa scienza è madre della prospettiva, cioè linee visuali. La qual prospettiva si divide in tre parti, e di queste la prima contiene solamente i lineamenti de’ corpi; la seconda tratta della diminuzione de’ colori nelle diverse distanze; la terza, della perdita della congiunzione de’ corpi in varie distanze. Ma la prima, che sol si estende ne’ lineamenti e termini de’ corpi, è detta disegno, cioè figurazione di qualunque corpo. Da questa esce un’altra scienza che si estende in ombra e lume, o vuoi dire chiaro e scuro; la quale scienza è di gran discorso; ma quella delle linee visuali ha partorito la scienza dell’astronomia, la quale è semplice prospettiva, perché sono tutte linee visuali e piramidi tagliate.

45. Quello che deve prima imparare il giovane.

Il giovane deve prima imparare prospettiva; poi le misure d’ogni cosa; poi di mano di buon maestro, per assuefarsi a buone membra; poi dal naturale, per confermarsi la ragione delle cose imparate; poi vedere un tempo le opere di mano di diversi maestri; poi far abito a mettere in pratica ed operare l’arte.

46. Quale studio deve essere ne’ giovani.

Lo studio de’ giovani, i quali desiderano di professionarsi 13 nelle scienze imitatrici di tutte le figure delle opere di natura, dev’essere circa il disegno accompagnato dalle ombre e lumi convenienti al sito dove tali figure sono collocate.

47. Quale regola si deve dare a’ putti pittori.

Noi conosciamo chiaramente che la vista è delle piú veloci operazioni che sieno, ed in un punto vede infinite forme; nientedimeno non comprende se non una cosa per volta. Poniamo caso, tu, lettore, guardi in una occhiata tutta questa carta scritta, e subito giudicherai questa esser piena di varie lettere; ma non conoscerai in questo tempo che lettere sieno, né che vogliano dire; onde ti bisogna fare a parola a parola, verso per verso, a voler avere notizia d’esse lettere. Ancora, se vorrai montare all’altezza d’un edifizio, converratti salire a grado a grado, altrimenti sarà impossibile pervenire alla sua altezza. E cosí dico a te che la natura volge a quest’arte: se vuoi aver vera notizia delle forme delle cose, comincierai dalle particole di quelle, e non andare alla seconda, se prima non hai bene nella memoria e nella pratica la prima. E se farai altrimenti, getterai via il tempo, o veramente allungherai assai lo studio. E ricordoti che impari prima la diligenza che la prestezza.

48. Della vita del pittore nel suo studio.

Acciocché la prosperità del corpo non guasti quella dell’ingegno, il pittore ovvero disegnatore dev’essere solitario, e massime quanto è intento alle speculazioni e considerazioni, che continuamente apparendo dinanzi agli occhi danno materia alla memoria di essere bene riservate. E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quanto sarà maggiore la indiscrezione della sua pratica. E se sarai con piú, cadrai di piú in simile inconveniente; e se tu volessi dire: io farò a mio modo, io mi ritrarrò in parte per poter meglio speculare le forme delle cose naturali, dico questo potersi mal fare perché non potresti fare che spesso non prestassi orecchio alle loro ciancie. E non si può servire a due signori; tu faresti male l’ufficio del compagno e peggio l’effetto della speculazione dell’arte. E se tu dirai: io mi trarrò tanto in parte, che le loro parole non perverranno e non mi daranno impaccio, io in questo ti dico che saresti tenuto matto, ma vedi che cosí facendo tu saresti pur solo?

49. Notizia del giovane disposto alla pittura.

Molti sono gli uomini che hanno desiderio ed amore al disegno, ma non disposizione, e questo sarà conosciuto ne’ putti, i quali sono senza diligenza, e mai finiscono con ombre le loro cose.

50. Precetto.

Non è laudabile quel pittore che non fa bene se non una cosa sola, come un nudo, testa, panni, o animali, o paesi, o simili particolari, imperocché non è sí grosso ingegno, che voltatosi ad una cosa sola, e quella sempre messa in opera, non la faccia bene.

51. In che modo deve il giovane procedere nel suo studio.

La mente del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti discorsi quante sono le figure degli obietti notabili che dinanzi gli appariscono, ed a quelle fermare il passo e notarle, e far sopra esse regole, considerando il luogo, le circostanze, i lumi e le ombre.

52. Del modo di studiare.

Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica nata da essa scienza. Il pittore deve studiare con regola, e non lasciare cosa che non si metta alla memoria, e vedere che differenza è fra le membra degli animali e le loro giunture.

53. A che similitudine dev’essere l’ingegno del pittore.

L’ingegno del pittore vuol essere a similitudine dello specchio, il quale sempre si trasmuta nel colore di quella cosa ch’egli ha per obietto, e di tante similitudini si empie, quante sono le cose che gli sono contrapposte. Adunque conoscendo tu pittore non potere esser buono se non sei universale maestro di contraffare colla tua arte tutte le qualità delle forme che produce la natura, le quali non saprai fare se non le vedi e le ritrai nella mente, onde, andando tu per campagne, fa che il tuo giudizio si volti a’ varî obietti, e di mano in mano riguarda or questa cosa, or quella, facendo un fascio di varie cose elette e scelte infra le men buone. E non fare come alcuni pittori, i quali, stanchi colla lor fantasia, dimetton l’opera, e fanno esercizio coll’andare a spasso, riservandosi una stanchezza nella mente, la quale, non che vogliano por mente a varie cose, ma spesse volte, incontrandosi negli amici e parenti, essendo da quelli salutati, non che li vedano o sentano, non altrimenti sono conosciuti come se non li scontrassero.

54. Del giudizio del pittore.

Tristo è quel maestro del quale l’opera avanza il giudizio suo. E quello si drizza alla perfezione dell’arte, del quale l’opera è superata dal giudizio.

55. Discorso de’ precetti del pittore.

Io ho veduto universalmente a tutti quelli che fan professione di ritrarre volti al naturale, che quel che fa piú somigliare è piú tristo componitore d’istorie che nessun altro pittore. E questo nasce perché quel che fa meglio una cosa gli è manifesto che la natura lo ha piú disposto a quella tal cosa che ad un’altra e per questo n’ha avuto piú amore, ed il maggior amore lo ha fatto piú diligente; e tutto l’amore ch’è posto a una parte manca al tutto, perché s’è unito tutto il suo diletto in quella cosa sola, abbandonando l’universale pel particolare. Essendo la potenza di tale ingegno ridotta in poco spazio, non ha potenza nella dilatazione, e fa questo ingegno a similitudine dello specchio concavo, il quale pigliando i raggi del sole, quando riflette essa quantità di raggi in maggiore somma di dilatazione, li rifletterà con piú tepida caldezza, e quando esso le riflette tutti in minore luogo, allora tali raggi sono d’immensa caldezza, ma adopera in poco luogo. Tal fanno questi tali pittori non amando altra parte della pittura che il solo viso dell’uomo; e peggio è che non conoscono altra parte nell’arte di che essi facciano stima, o che abbiano giudizio, e le loro cose essendo senza movimento, per essere ancora loro pigri e di poco moto, biasimano quella cosa che ha i movimenti maggiori e piú pronti di quelli che sono fatti da lui; dicendo quelli parere spiritati e maestri di moresche. Vero è che si deve osservare il decoro, cioè che i movimenti sieno annunziatori del moto dell’animo del motore, cioè se si ha a figurare uno ch’abbia a dimostrare una timorosa reverenza, ch’ella non sia fatta con tale audacia e prosunzione che tale effetto paia disperazione, o che faccia un comandamento, come io vidi a questi giorni un angelo che pareva nel suo annunziare che volesse cacciare la Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto d’ingiuria, quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra Donna parea che si volesse, come disperata, gettarsi giú da una finestra. Sicché siati a memoria di non cadere in tali difetti.
Di questa cosa io non farò scusa con nessuno, perché se un fa credere che io dica a lui, perché ciascuno che fa a suo modo si condanna, e pargli far bene, e questo conoscerai in quelli che fanno una pratica senza mai pigliar consiglio dalle opere di natura, e solo son vòlti a fare assai, e per un soldo piú di guadagno la giornata cucirebbero piú presto scarpe che dipingere. Ma di questi non mi estendo in piú lungo discorso, perché non li accetto nell’arte, figliuola della natura. Ma per parlar de’ pittori e loro giudizi, dico che a quello che troppo muove le sue figure gli pare che quello che le muove quanto si conviene faccia figure addormentate, e quello che le muove poco, gli pare che quello che fa il debito e conveniente movimento sieno spiritate. E per questo il pittore deve considerare i modi di quegli uomini che parlano insieme freddamente o caldamente, ed intendere la materia di che parlano, e vedere se gli atti sono appropriati alle materie loro.
Il pittore dev’essere solitario e considerar ciò ch’esso vede e parlare con sé eleggendo le parti piú eccellenti delle specie di qualunque cosa egli vede; facendo a similitudine dello specchio, il quale si tramuta in tanti colori, quanti sono quelli delle cose che gli si pongono dinanzi; e facendo cosí, gli parrà essere seconda natura.

56. Precetto del pittore.

Se tu, pittore, t’ingegnerai di piacere ai primi pittori, tu farai bene la tua pittura, perché sol quelli sono che con verità ti potran sindacare. Ma se tu vorrai piacere a quelli che non son maestri, le tue pitture avranno pochi scorti, e poco rilievo, o movimento pronto, e per questo mancherai in quella parte di che la pittura è tenuta arte eccellente, cioè del far rilevare quel ch’è nulla in rilievo. E qui il pittore avanza lo scultore, il quale non dà maraviglia di sé in tale rilievo, essendo fatto dalla natura quel che il pittore colla sua arte si acquista.

57. Precetti del pittore.

Quello non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si contengono nella pittura; come se uno non gli piace i paesi, esso stima quelli esser cosa di breve e semplice investigazione, come disse il nostro Botticella, che tale studio era vano, perché col solo gettare di una spugna piena di diversi colori in un muro, essa lascia in esso muro una macchia, dove si vede un bel paese. Egli è ben vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che l’uomo vuole cercare in quella, cioè teste d’uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre simili cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire quel che a te pare. Ma ancora ch’esse macchie ti dieno invenzione, esse non t’insegnano finire nessun particolare. E questo tal pittore fece tristissimi paesi.

58. Dell’essere universale nelle sue opere.

Tu, pittore, per essere universale e piacere a’ diversi giudizi, farai in un medesimo componimento che vi siano cose di grande oscurità e di gran dolcezza di ombre, facendo però note le cause di tali ombre e dolcezze.

59. Precetto.

Quel pittore che non dubita, poco acquista. Quando l’opera supera il giudizio dell’operatore, esso operante poco acquista. E quando il giudizio supera l’opera, essa opera mai finisce di migliorare, se l’avarizia non l’impedisce.

60. Precetti del pittore.

Il pittore deve prima suefare la mano col ritrarre disegni di mano de’ buoni maestri, e fatta detta suefazione col giudizio del suo precettore, deve di poi suefarsi col ritrarre cose di rilievo buone, con quelle regole che del ritrar di rilievo si dirà.

61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure.

Il bozzar delle storie sia pronto, e il membrificare non sia troppo finito; sta contento solamente a’ siti di esse membra, le quali poi a bell’agio piacendoti potrai finire.

62. Dell’operatore della pittura e suoi precetti.

Ricordo a te, pittore, che quando col tuo giudizio o per altrui avviso scopri alcuni errori nelle opere tue, che tu li ricorregga, acciocché nel pubblicare tale opera tu non pubblichi insieme con quella la materia tua; e non ti scusare con te medesimo, persuadendoti di restaurare la tua infamia nella succedente tua opera, perché la pittura non muore immediate dopo la sua creazione come fa la musica, ma lungo tempo darà testimonianza dell’ignoranza tua. E se tu dirai che per ricorreggere ci vuol tempo, mettendo il quale in un’altra opera tu guadagneresti assai, tu hai ad intendere che la pecunia guadagnata soprabbondante all’uso del nostro vivere non è molta, e se tu ne vuoi in abbondanza, tu non la finisci di adoperare, e non è tua; e tutto il tesoro che non si adopera è nostro a un medesimo modo; e ciò che tu guadagni che non serve alla vita tua è in man d’altri senza tuo grado. Ma se tu studierai e ben limerai le opere tue col discorso delle due prospettive, tu lascierai opere che ti daranno piú onore che la pecunia, perché essa sola per sé si onora e non colui che la possiede, il quale sempre si fa calamita d’invidia e cassa di ladroni, e manca la fama del ricco insieme colla sua vita, resta la fama del tesoro e non del tesaurizzante. E molto maggior gloria è quella della virtú de’ mortali, che quella dei loro tesori. Quanti imperatori e quanti principi sono passati che non ne resta alcuna memoria, perché solo cercarono gli stati e ricchezze per lasciare fama di loro? Quanti furono quelli che vissero in povertà di danari per arricchire di virtú? E tanto piú è riuscito tal desiderio al virtuoso che al ricco, quanto la virtú eccede essa ricchezza. Non vedi tu che il tesoro per sé non lauda il suo cumulatore dopo la sua vita, come fa la scienza, la quale sempre è testimone e tromba del suo creatore, perché ella è figliuola di chi la genera, e non figliastra com’è la pecunia? E se tu dirai poter satisfare piú a’ tuoi desiderî della gola e lussuria mediante esso tesoro e non per la virtú, va considerando gli altri che sol han servito ai sozzi desiderî del corpo, come gli altri brutti animali; qual fama resta di loro? E se tu ti scuserai, per avere a combattere colla necessità, non avere tempo a studiare, e farti vero nobile, non incolpare se non te medesimo; perché solo lo studio della virtú è pasto dell’anima e del corpo. Quanti sono i filosofi nati ricchi che hanno diviso i tesori da sé, per non essere vituperati da quelli! E se tu ti scusassi co’ figliuoli, che ti bisogna nutrire, piccola cosa basta a quelli, ma fa che il nutrimento sieno le virtú, le quali sono fedeli ricchezze, perché quelle non ci lasciano se non insieme colla vita. E se tu dirai che vuoi far prima un capitale di pecunia, che sia dote della vecchiezza tua, questo studio mai mancherà, e non ti lascierà invecchiare, e il ricettacolo delle virtú sarà pieno di sogni e vane speranze.
Nessuna cosa è che piú c’inganni che il nostro giudizio se s’adopera nel dare sentenza delle nostre operazioni; esso è buono nel giudicare le cose de’ nimici e degli amici no, perché odio e amicizia sono due de’ piú potenti accidenti che sieno appresso agli animali. E per questo tu, o pittore, sii vago di non sentire men volentieri quello che i tuoi avversari dicono delle tue opere, che del sentire quello che dicono gli amici, perché è piú potente l’odio che l’amore, perché esso odio ruina e distrugge l’amore. Se chi ti giudica è vero amico, egli è un altro te medesimo. Il contrario trovi nel nimico, e l’amico si potrebbe ingannare. Evvi poi una terza specie di giudizi, che mossi d’invidia partoriscono l’adulazione che lauda il principio delle buone opere, acciocché la bugia accechi l’operatore.

63. Modo d’aumentare e destare l’ingegno a varie invenzioni.

Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare l’ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o in pietre di varî misti. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lí vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi, valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie ed atti pronti di figure strane, arie di volti ed abiti ed infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e buona forma; che interviene in simili muri e misti, come del suono delle campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabolo che tu t’immaginerai.
Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de’ muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l’ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di battaglie, d’animali e d’uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni. Ma fa prima di sapere ben fare tutte le membra di quelle cose che vuoi figurare, cosí le membra degli animali come le membra de’ paesi, cioè sassi, piante e simili.

64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel letto allo scuro.

Ancora ho provato essere di non poca utilità, quando ti trovi allo scuro nel letto, andare colla immaginativa ripetendo i lineamenti superficiali delle forme per l’addietro studiate, o altre cose notabili da sottile speculazione comprese, ed è questo proprio un atto laudabile ed utile a confermarsi le cose nella memoria.

65. Piacere del pittore.

La deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina; imperocché con libera potestà discorre alla generazione di diverse essenze di varî animali, piante, frutti, paesi, campagne, ruine di monti, luoghi paurosi e spaventevoli, che danno terrore ai loro risguardatori, ed ancora luoghi piacevoli, soavi e dilettevoli di fioriti prati con varî colori, piegati da soavi onde de’ soavi moti de’ venti, riguardando dietro al vento che da loro si fugge; fiumi discendenti cogli empiti de’ gran diluvi dagli alti monti, che si cacciano innanzi le diradicate piante, miste co’ sassi, radici, terra e schiuma, cacciandosi innanzi ciò che si contrappone alla loro ruina; ed il mare colle sue procelle contende e fa zuffa co’ venti, che con quella combattono, levandosi in alto colle superbe onde, e cade, e di quelle ruinando sopra del vento che percuote le sue basse; e loro richiudendo e incarcerando sotto di sé, quello straccia e divide, mischiandolo colle sue torbide schiume, con quello sfoga l’arrabbiata sua ira, ed alcuna volta superato dai venti si fugge dal mare scorrendo per le alte ripe de’ vicini promontorî, dove, superate le cime de’ monti, discende nelle opposite valli, e parte se ne mischia in aere, predata dal furore de’ venti, e parte ne fugge dai venti ricadendo in pioggia sopra del mare, e parte ne discende ruinosamente dagli alti promontorî, cacciandosi innanzi ciò che si oppone alla sua ruina, e spesso si scontra nella sopravegnente onda, e con quella urtandosi si leva al cielo, empiendo l’aria di confusa e schiumosa nebbia, la quale ripercossa dai venti nelle sponde de’ promontorî genera oscuri nuvoli, i quali si fan preda del vento vincitore.

66. De’ giuochi che debbono fare i disegnatori.

Quando vorrete, o voi disegnatori, pigliare da’ giuochi qualche utile sollazzo, è da usare sempre cose al proposito della vostra professione, cioè del fare buon giudizio di occhio, del saper giudicare la verità delle larghezze e lunghezze delle cose; e per assuefare lo ingegno a simili cose faccia uno di voi una linea retta a caso su un muro, e ciascuno di voi tenga una sottile festuca, o paglia in mano, e ciascuno tagli la sua alla lunghezza che gli pare abbia la prima linea, stando lontani per ispazio di dieci braccia, e poi ciascuno vada all’esempio a misurare con quella la sua giudiziale misura; e quello che piú si avvicina colla sua misura alla lunghezza dell’esempio sia superiore e vincitore ed acquisti da tutti il premio che innanzi da voi fu ordinato. Ancora si deve pigliare misure scortate, cioè pigliare un dardo o canna, e riguardare dinanzi ad essa una certa distanza, e ciascuno col suo giudizio stimi quante volte quella misura entri in quella distanza; ed ancora chi tira meglio una linea d’un braccio, e sia provata con filo tirato. E simili giuochi sono cagione di fare buon giudizio d’occhio, il quale è il principale atto della pittura.

67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica.

Quando tu, disegnatore, vorrai far buono ed utile studio, usa nel tuo disegnare di fare adagio; e giudicare infra i lumi quali e quanti tengano il primo grado di chiarezza, e similmente infra le ombre quali sieno quelle che sono più scure che le altre, ed in che modo si mischiano insieme, e le quantità; e paragonare l’una coll’altra, ed i lineamenti a che parte si drizzino, e nelle linee quanta parte di esse torce per l’uno o l’altro verso, e dove è più o meno evidente, e così larga o sottile; ed in ultimo che le tue ombre e lumi sieno uniti senza tratti o segni ad uso di fumo. E quando tu avrai fatto la mano e il giudizio a questa diligenza, verratti fatta tanto presto la pratica che tu non te ne avvedrai.

68. S’egli è meglio disegnare in compagnia o no.

Dico e confermo che il disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per molte ragioni. La prima è che tu ti vergognerai di esser visto nel numero dei disegnatori essendo insufficiente, e questa vergogna sarà cagione di buono studio; secondariamente, la invidia buona ti stimolerà ad essere nel numero de’ più laudati di te, ché l’altrui laude ti spronerà; l’altra è che tu piglierai degli atti di chi farà meglio di te; e se sarai meglio degli altri, farai profitto di schivare i mancamenti, e l’altrui laude accrescerà la tua virtù.

69. Modo di bene imparare a mente.

Quando tu vorrai sapere una cosa studiata bene a mente, tieni questo modo: cioè quando tu hai disegnato una cosa medesima tante volte che ti paia averla a mente, prova a farla senza lo esempio; ed abbi lucidato sopra un vetro sottile e piano lo esempio suo, e lo porrai sopra la cosa che hai fatto senza lo esempio; e nota bene dove il lucido non si scontra col disegno tuo; e dove trovi avere errato, lí tieni a mente di non errare più, anzi ritorna all’esempio a ritrarre tante volte quella parte errata, che tu l’abbia bene nella immaginativa. E se per lucidare una cosa tu non potessi avere un vetro piano, togli una carta di capretto sottilissima e bene unta e poi seccata; e quando l’avrai adoperata per un disegno, potrai colla spugna cancellarla e fare il secondo.

70. Come il pittore non è laudabile s’egli non è universale.

Alcuni si può chiaramente dire che s’ingannano, i quali chiamano buon maestro quel pittore il quale solamente fa bene una testa o una figura. Certo non è gran fatto che, studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita, non ne venga a qualche perfezione; ma conoscendo noi che la pittura abbraccia e contiene in sé tutte le cose che produce la natura, e che conduce l’accidentale operazione degli uomini, ed in ultimo ciò che si può comprendere cogli occhi, mi pare un tristo maestro quello che solo una figura fa bene. Or non vedi tu quanti e quali atti sieno fatti dagli uomini? Non vedi tu quanti diversi animali, e cosí alberi ed erbe e fiori e varietà di siti montuosi e piani, fonti, fiumi, città, edifizi pubblici e privati, strumenti opportuni all’uso umano, varî abiti ed ornamenti ed arti?
Tutte queste cose appartengono di essere di pari operazione e bontà usate da quello che tu vuoi chiamare buon pittore.

71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare pittori.

Vi ha una certa generazione di pittori, i quali per loro poco studio bisogna che vivano sotto la bellezza dell’oro e dell’azzurro. Con somma stoltizia allegano costoro non mettere in opera le buone cose per tristi premî, e che saprebbero ancora loro far bene come un altro quando fossero ben pagati. Or vedi gente stolta! Non sanno questi tali tenere qualche opera buona dicendo: questa è da buon premio, e questa è da mezzano, e questa da sorte, e mostrare d’avere opere d’ogni premio?

72. Come il pittore dev’esser vago di udire, nel fare dell’opera, il giudizio di ognuno.

Certamente non è da ricusare mentre che l’uomo dipinge il giudizio di ciascuno, perocché noi conosciamo chiaro che l’uomo, benché non sia pittore, avrà notizia della forma dell’altro uomo, e ben giudicherà s’egli è gobbo o s’egli ha una spalla alta o bassa, o s’egli ha gran bocca o naso od altri mancamenti. Se noi conosciamo gli uomini poter con verità giudicare le opere della natura, quanto maggiormente ci converrà confessare questi poter giudicare i nostri errori, ché sappiamo quanto l’uomo s’inganna nelle sue opere; e se non lo conosci in te, consideralo in altrui, e farai profitto degli altrui errori. Sicché sii vago con pazienza udire l’altrui opinione; e considera bene e pensa bene se il biasimatore ha cagione o no di biasimarti; e se trovi di sí, racconcia, e se trovi di no, fa vista di non l’avere inteso; o, s’egli è uomo che tu stimi, fagli conoscere per ragione ch’egli s’inganna.

73. Come nelle opere d’importanza l’uomo non si deve mai fidare tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale.

Quel maestro il quale si desse d’intendere di poter riservare in sé tutte le forme e gli effetti della natura, certo mi parrebbe che fosse ornato di molta ignoranza; conciossiacosaché detti effetti sono infiniti, e la memoria nostra non è di tanta capacità che basti. Adunque tu, pittore, guarda che la cupidità del guadagno non superi in te l’onore dell’arte, ché il guadagno dell’onore è molto maggiore che l’onore delle ricchezze. Sicché per queste ed altre ragioni che si potrebbero dire, attenderai prima col disegno a dare con dimostrativa forma all’occhio la intenzione e la invenzione fatta in prima nella tua immaginativa. Dipoi va levando e ponendo tanto, che tu ti satisfaccia; di poi fa acconciare uomini vestiti o nudi, nel modo che in sull’opera hai ordinato, e fa che per misura e grandezza sottoposta alla prospettiva, non passi niente dell’opera che bene non sia considerata dalla ragione e dagli effetti naturali. E questa sarà la via da farti onorare della tua arte.

74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le opere di Dio.

Sono infra il numero degli stolti una certa setta, detti ipocriti, che al continuo studiano d’ingannare sé ed altri, ma piú altri che sé; ma in vero ingannano piú loro stessi che gli altri. E questi son quelli che riprendono i pittori, i quali studiano i giorni delle feste nelle cose appartenenti alla vera cognizione di tutte le figure che hanno le opere di natura, e con sollecitudine s’ingegnano di acquistare la cognizione di quelle, quanto a loro sia possibile. Ma tacciano tali riprensori, ché questo è il modo di conoscere l’operatore di tante mirabili cose, e questo è il modo di amare un tanto inventore, perché invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai amare. E se tu l’ami per il bene che t’aspetti da lei, e non per la somma sua virtú, tu fai come il cane che mena la coda e fa festa alzandosi verso colui che gli può dare un osso, ma se conoscesse la virtú di tale uomo l’amerebbe assai piú, se tal virtú fosse al suo proposito.

75. Delle varietà delle figure.

Il pittore deve cercare d’essere universale, perché gli manca assai dignità se fa una cosa bene e l’altra male: come molti che solo studiano nel nudo misurato e proporzionato, e non ricercano la sua varietà; perché può un uomo essere proporzionato ed esser grosso e corto o lungo e sottile o mediocre, e chi di questa varietà non tien conto fa sempre le sue figure in stampa, che pare che sieno tutte sorelle, la qual cosa merita grande riprensione.

76. Dell’essere universale.

Facil cosa è all’uomo che sa, farsi universale, imperocché tutti gli animali terrestri hanno similitudine di membra, cioè muscoli, nervi ed ossa, e nulla variano, se non in lunghezza, o in grossezza, come sarà dimostrato nell’anatomia. Degli animali d’acqua, che sono di molta varietà, e così degli insetti, non persuaderò il pittore che vi faccia regola, perché sono d’infinite varietà.

77. Dell’errore di quelli che usano la pratica senza la scienza.

Quelli che s’innamorano della pratica senza la scienza, sono come i nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la buona teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene.

78. Dell’imitare pittori.

Dico ai pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell’altro, perché sarà detto nipote e non figliuolo della natura; perché, essendo le cose naturali in tanta larga abbondanza, piuttosto si deve ricorrere ad essa natura che ai maestri, che da quella hanno imparato. E questo dico non per quelli che desiderano mediante quella pervenire a ricchezze, ma per quelli che di tal arte desiderano fama e onore.

79. Ordine del disegnare.

Ritrai prima disegni di buon maestro fatto sull’arte sul naturale e non di pratica; poi di rilievo, in compagnia del disegno ritratto da esso rilievo; poi di buono naturale, il quale devi mettere in uso.

80. Del ritrarre di naturale.

Quando hai da ritrarre di naturale, sta lontano tre volte la grandezza della cosa che tu ritrai.

81. Del ritrarre una qualunque cosa.

Fa che quando ritrai, o che tu muovi alcun principio di linea, che tu guardi per tutto il corpo che tu ritrai qualunque cosa si scontra per la dirittura della principiata linea.
Nota nel tuo ritrarre, come infra le ombre sono ombre insensibili di oscurità e di figura; e questo si prova per la terza, che dice: le superficie globulenti sono di tante varie oscurità e chiarezze quante sono le varietà delle oscurità e chiarezze che loro stanno per obietto.

82. Come deve essere alto il lume da ritrarre di naturale.

Il lume da ritrarre di naturale vuol essere a tramontana, acciò non faccia mutazione; e se lo fai a mezzodí, tieni finestra impannata, acciocché il sole illuminando tutto il giorno non faccia mutazione. L’altezza del lume dev’ essere in modo situata, che ogni corpo faccia tanto lunga l’ombra sua per terra, quanto è a sinistra la sua altezza.

83. Quali lumi si debbono eleggere per ritrarre le figure de’ corpi.

Le figure di qualunque corpo ti costringono a pigliar quel lume nel quale tu fingi essere esse figure: cioè, se tu fingi tali figure in campagna, elle son cinte da gran somma di lume, non vi essendo il sole scoperto; e se il sole vede dette figure, le sue ombre saranno molto oscure rispetto alle parti illuminate, e saranno ombre di termini espediti, cosí le primitive come le derivative; e tali ombre saranno poco compagne de’ lumi, perché da un lato illumina l’azzurro dell’aria e tinge di sé quella parte ch’essa vede; e questo assai si manifesta nelle cose bianche: e quella parte ch’è illuminata dal sole si dimostra partecipare del colore del sole; e questo vedrai molto speditamente, quando il sole cala all’orizzonte, infra il rossore de’ nuvoli, ch’essi nuvoli si tingono del colore che li illumina; il quale rossore de’ nuvoli, insieme col rossore del sole, fa rosseggiare ciò che piglia lume da loro; e la parte de’ corpi che non vede esso rossore, resta del color dell’aria; e chi vede tali corpi, giudica quelli essere di due colori; e da questo tu non puoi fuggire che, mostrando la causa di tali ombre e lumi, tu non faccia le ombre e i lumi partecipanti delle predette cause, se no l’operazione tua è vana e falsa. E se la tua figura è in casa oscura, e tu la vedi di fuori, questa tal figura ha le ombre oscure sfumate, stando tu per la linea del lume; e questa tal figura ha grazia, e fa onore al suo imitatore per esser essa di gran rilievo e le ombre dolci e sfumose, e massime in quella parte dove manco vedi l’oscurità dell’abitazione, imperocché quivi sono le ombre quasi insensibili; e la cagione sarà detta al suo luogo.

84. Delle qualità del lume per ritrarre rilievi naturali o finti.

Il lume tagliato dalle ombre con troppa evidenza è sommamente biasimato da’ pittori, onde, per fuggire tale inconveniente, se tu dipingi i corpi in campagna aperta, farai le figure non illuminate dal sole, ma fingerai alcuna qualità di nebbia o nuvoli trasparenti essere interposti infra l’obietto ed il sole, onde, non essendo la figura del sole espedita, non saranno espediti i termini delle ombre co’ termini de’ lumi.

85. Del ritrarre i nudi.

Quando ritrai i nudi, fa che sempre li ritragga interi, e poi finisci quel membro che ti par migliore, e quello con le altre membra metti in pratica; altrimenti faresti uso di non appiccar mai le membra bene insieme. Non usar mai far la testa volta dove è il petto, né il braccio andare come la gamba: e se la testa si volta alla spalla destra, fa le sue parti piú basse dal lato sinistro che dal destro; e se fai il petto infuori, fa che, voltandosi la testa sul lato sinistro, le parti del lato destro sieno piú alte che le sinistre.

86. Del ritrarre di rilievo finto o di naturale.

Colui che ritrae di rilievo, si deve acconciare in modo tale, che l’occhio della figura ritratta sia al pari dell’occhio di quello che ritrae; e questo si farà ad una testa, la quale tu avessi a ritrarre di naturale, perché universalmente le figure ovvero persone che scontri per le strade hanno gli occhi all’altezza de’ tuoi, e se tu li facessi o piú alti o piú bassi, verresti a dissimigliare il tuo ritratto.

87. Modo di ritrarre un sito col vetro

Abbi un vetro grande come un mezzo foglio reale, e quello ferma bene dinanzi agli occhi tuoi, cioè tra l’occhio e la cosa che tu vuoi ritrarre; poi poniti lontano con l’occhio al detto vetro due terzi di braccio, e ferma la testa con un istrumento, in modo che tu non possa muoverla punto. Dipoi serra, o copriti un occhio, e col pennello o con il lapis a matite segna sul vetro ciò che di là appare, e poi lucida con carta tal vetro, e spolverizzalo sopra buona carta, e dipingila, se ti piace, usando bene di poi la prospettiva aerea.

88. Dove si debbono ritrarre i paesi.

I paesi si debbon ritrarre in modo che gli alberi sieno mezzi illuminati, e mezzi ombrati; ma meglio è farli quando il sole è occupato da nuvoli, ché allora gli alberi s’illuminano dal lume universale del cielo e dall’ombra universale della terra; e questi sono tanto piú oscuri nelle lor parti, quanto esse parti sono piú vicine al mezzo dell’albero e della terra.

89. Del ritrarre le ombre de’ corpi al lume di candela o di lucerna.

A questo lume di notte sia interposto il telaio con carta lucida, o senza lucidarla, ma solo un intero foglio di cancelleresca; e vedrai le tue ombre fumose, cioè non terminate; e il lume senza interposizione di carta ti faccia lume alla carta ove disegni.

90. In che termine si debba ritrarre un volto a dargli grazia d’ombre e lumi.

Grandissima grazia d’ombre e di lumi s’aggiunge ai visi di quelli che seggono sulle porte di quelle abitazioni che sono oscure, e gli occhi del riguardatore vedono la parte ombrosa di tali visi essere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, e vedono alla parte illuminata del medesimo viso aggiunta la chiarezza che le dà lo splendore dell’aria: per la quale aumentazione di ombre e di lumi il viso ha gran rilievo, e nella parte illuminata le ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa i lumi quasi insensibili; e di questa tale rappresentazione e aumentazione d’ombre e di lumi il viso acquista assai di bellezza.

91. Modo di ritrarre d’ombra semplice e composta.

Non ritrarre una figura in casa col lume particolare finta al lume universale delle campagne senza sole, perché la campagna fa ombra semplice, e il lume particolare di finestra o di sole fa ombra composta, cioè mista con riflessi.

92. Del lume dove si ritraggono le incarnazioni de’ volti, o ignudi.

Questa abitazione vuol essere scoperta all’aria, con le pareti di colore incarnato, ed i ritratti si facciano di estate, quando i nuvoli coprono il sole: o veramente farai la parete meridionale tanto alta, che i raggi del sole non percuotano la parete settentrionale, acciocché i suoi raggi riflessi non guastino le ombre.

93. Del ritrarre figure per istorie.

Sempre il pittore deve considerare nella parete che ha da istoriare l’altezza del sito dove vuole collocare le sue figure; e ciò ch’egli ritrae di naturale a detto proposito, stare tanto l’occhio più basso che la cosa ch’egli ritrae quanto detta cosa sarà messa in opera piú alta che l’occhio del riguardatore, altrimenti l’opera sarà reprobabile.

94. A imparare a far bene un posato.

Se ti vuoi assuefare bene ai retti e buoni posati delle figure, ferma un quadro ovvero telaio, dentro riquadrato con fila, infra l’occhio tuo e il nudo che ritrai, e quei medesimi quadri farai sulla carta dove vuoi ritrarre detto nudo sottilmente; di poi poni una pallottola di cera in una parte della rete, che ti serva per una mira, la quale sempre nel riguardare il nudo scontrerai nella fontanella della gola, e se fosse volta di dietro, scontrala con un nodo del collo; e queste fila t’insegneranno tutte le parti del corpo che in ciascun atto si trovano sotto la fontanella della gola, sotto gli angoli delle spalle, sotto le tette, i fianchi ed altre parti del corpo; e le linee traverse della rete ti mostreranno quanto è piú alto nel posare sopra una gamba (L’edizione viennese propone l’aggiunta: “l’una delle spalle.” solamente avere da lui le buone attitudini; e le membra ricorreggi con quelle che studiasti la invernata.) che l’altra, e così i fianchi, le ginocchia ed i piedi.
Ma ferma sempre la rete per linea perpendicolare, ed in effetto, tutte le parti che tu vedi che il nudo piglia della rete, fa che il tuo nudo disegnato pigli della rete disegnata. I quadri disegnati possono essere tanto minori che quelli della rete, quanto tu vuoi che la tua figura sia minore che la naturale. Di poi tienti a mente, nelle figure che farai, la regola dello scontro delle membra come te le mostrò la rete; la quale dev’ essere alta tre braccia e mezzo, e larga tre, distante da te braccia sette, ed appresso al nudo braccia uno.

95. In qual tempo si deve studiare la elezione delle cose.

Le veglie dell’invernata devono essere dai giovani usate negli studi delle cose apparecchiate la state, cioè si deve riunire insieme tutti i nudi fatti nella state, e fare elezione delle migliori membra e migliori corpi e metterli in pratica e bene a mente.

96. Delle attitudini.

Poi alla seguente state farai elezione di qualcuno che stia bene in sulla vita, e che non sia allevato in giuppone, acciocché la persona non sia striata, ed a quello farai fare atti leggiadri e galanti; e se questo non mostrasse bene i muscoli dentro i termini delle membra, non monta niente; bastiti

97. Per ritrarre un ignudo dal naturale od altra cosa.

Usa tenere in mano un filo con un piombo pendente, per poter vedere gli scontri delle cose.

98. Misure o compartizioni della statua.

Dividi la testa in dodici gradi, e ciascun grado dividi in dodici punti, e ciascun punto in dodici minuti, ed i minuti in minimi, ed i minimi in semiminimi.

99. Modo di ritrarre di notte un rilievo.

Fa che tu metti una carta non troppo lucida infra il rilievo ed il lume, ed avrai buon ritrarre.disegno Leonardo

100. Come il pittore si deve acconciare al lume col suo rilievo.

ab sia la finestra, m sia il punto del lume; dico che in qualunque parte il pittore si stia, egli starà bene, purché l’occhio sia infra la parte ombrosa e la luminosa del corpo che si ritrae: il qual luogo troverai ponendoti infra il punto m e la divisione che fa l’ombra dal lume sopra il corpo ritratto.

101. Della qualità del lume.

Il lume grande ed alto e non troppo potente sarà quello che renderà le particole de’ corpi molto grate.

102. Dell’inganno che si riceve nel giudizio delle membra.

Quel pittore che avrà goffe mani, le farà simili nelle sue opere, e cosí gl’interverrà in qualunque membro, se il lungo studio non glielo vieta. Adunque tu, pittore, guarda bene quella parte che hai piú brutta nella tua persona, ed a quella col tuo studio fa buon riparo; imperocché se sarai bestiale, le tue figure parranno il simile, e senza ingegno, e similmente ogni parte di buono e di tristo che hai in te si dimostrerà in parte nelle tue figure.

103. Come al pittore è necessario sapere l’intrinseca forma dell’uomo.

Quel pittore che avrà cognizione della natura de’ nervi, muscoli e lacerti, saprà bene, nel muovere un membro, quanti e quali nervi ne siano cagione, e qual muscolo, sgonfiando, sia cagione di raccortare esso nervo, e quali corde convertite in sottilissime cartilagini circondino e ravvolgano detto muscolo; e così sarà diverso ed universale dimostratore di varî muscoli, mediante i varî effetti delle figure, e non farà come molti che in diversi atti sempre fanno quelle medesime cose dimostrare in braccia, schiene, petti e gambe; le quali cose non si debbono mettere infra i piccoli errori.

104. Del difetto che hanno i maestri di replicare le medesime attitudini de’ volti.

Sommo difetto è ne’ maestri, i quali usano replicare i medesimi moti nelle medesime istorie vicini l’uno all’altro, e similmente le bellezze de’ visi essere sempre una medesima, le quali in natura mai si trova essere replicate, in modo che, se tutte le bellezze di eguale eccellenza ritornassero vive, esse sarebbero maggior numero di popolo che quello che al nostro secolo si trova, e siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il medesimo interverrebbe nelle dette bellezze.

105. Del massimo difetto de’ pittori.

Sommo difetto è de’ pittori replicare i medesimi moti e medesimi volti e maniere di panni di una medesima istoria, e fare la maggior parte de’ volti che somigliano al loro maestro, la qual cosa mi ha molte volte dato ammirazione perché ne ho conosciuto alcuni che in tutte le loro figure pareva si fossero ritratti al naturale; ed in quelle si vede gli atti e i modi del loro fattore, e s’egli è pronto nel parlare e ne’ moti, le sue figure sono il simile in prontitudine; e se il maestro è divoto, il simile paiono le figure co’ loro colli torti; e se il maestro è da poco, le sue figure paiono la pigrizia ritratta al naturale; e se il maestro è sproporzionato, le figure sue son simili; e s’egli è pazzo, nelle sue istorie si dimostra largamente, le quali sono nemiche di conclusione, e non stanno attente alle loro operazioni, anzi, chi guarda in qua, chi in là come se sognassero: e così segue ciascun accidente in pittura il proprio accidente del pittore. Ed avendo io piú volte considerato la causa di tal difetto, mi pare che sia da giudicare che quell’anima che regge e governa ciascun corpo si è quella che fa il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio nostro. Adunque essa ha condotto tutta la figura dell’uomo, come essa ha giudicato quello star bene, o col naso lungo, o corto, o camuso, e così gli affermò la sua altezza e figura. Ed è di tanta potenza questo tal giudizio, ch’egli muove le braccia al pittore e gli fa replicare se medesimo, parendo ad essa anima che quello sia il suo modo di figurare l’uomo, e chi non fa come lei faccia errore. E se trova alcuno che somigli al suo corpo, ch’essa ha composto, essa l’ama, e s’innamora spesso di quello. E per questo molti s’innamorano e prendono moglie che loro somiglia, e spesso i figliuoli che nascono di tali somigliano a’ loro genitori.

106. Precetto, che il pittore non s’inganni nell’elezione della figura in che esso fa l’abito.

Deve il pittore fare la sua figura sopra la regola d’un corpo naturale, il quale comunemente sia di proporzione laudabile; oltre di questo far misurare se medesimo e vedere in che parte la sua persona varia assai o poco da quella antedetta laudabile; e, avuta questa notizia, deve riparare con tutto il suo studio di non incorrere ne’ medesimi mancamenti nelle figure da lui operate, che nella persona sua si trovano. E sappi che con questo vizio ti bisogna sommamente pugnare, conciossiaché egli è mancamento ch’è nato insieme col giudizio; perché l’anima, maestra del tuo corpo, è quella che è il tuo proprio giudizio, e volentieri si diletta nelle opere simili a quella che essa operò nel comporre del suo corpo: e di qui nasce che non è sì brutta figura di femmina, che non trovi qualche amante, se già non fosse mostruosa; sicché ricordati d’intendere i mancamenti che sono nella tua persona, e da quelli ti guarda nelle figure che da te si compongono.

107. Difetto de’ pittori che ritraggono una cosa di rilievo in casa a un lume, e poi la mettono in campagna ad altro lume.

Grande errore è di quei pittori, i quali spesse volte ritraggono una cosa di rilievo a un lume particolare nelle loro case, e poi mettono in opera tal ritratto a un lume universale dell’aria in campagna, dove tal aria abbraccia ed illumina tutte le parti delle vedute a un medesimo modo; e così costoro fanno ombre oscure dove non può essere ombra, e se pure essa vi è, è di tanta chiarezza, che è insensibile: e così fanno i riflessi dove è impossibile siansi veduti.

108. Della pittura e sua divisione.

Dividesi la pittura in due parti principali, delle quali la prima è figura, cioè la linea che distingue la figura de’ corpi e loro particole; la seconda è il colore contenuto da essi termini.

109. Figura e sua divisione.

La figura de’ corpi si divide in due altre parti, cioè: proporzionalità delle parti infra loro, le quali sieno corrispondenti al tutto, e movimento appropriato all’accidente mentale della cosa viva che si muove.

110. Proporzione di membra.

La proporzione delle membra si divide in due altre parti, cioè: qualità e moto. Per qualità s’intende, oltre alle misure corrispondenti al tutto, che tu non mischi le membra de’ giovani con quelle de’ vecchi, né quelle de’ grassi con quelle de’ magri, né le membra leggiadre con le inette; ed oltre di questo, che tu non faccia a’ maschi membra femminili. Per moto s’intende che le attitudini ovvero movimenti de’ vecchi non sieno fatti con quella medesima vivacità che si converrebbe a quelli de’ giovani; né anche i movimenti d’un piccolo fanciullo sieno fatti come quelli d’un giovane, e quelli della femmina come quelli del maschio. Nell’edizione romana, 1817, si legge qui in seguito: “facendo che i movimenti e membri d’un gagliardo sieno tali, che in esse membra dimostrino essa valetudine.”
Non far atti che non sieno compagni dell’atteggiatore; cioè all’uomo di gran valetudine, che i suoi movimenti lo manifestino e cosí l’uomo di poco valore faccia il simile co’ movimenti invalidi e balordi, i quali minaccino ruina al corpo che li genera.

111. Del fuggire le calunnie de’ giudizi varî che hanno gli operatori della pittura.

Se vorrai fuggire i biasimi che danno gli operatori della pittura e tutti quelli che in diverse parti dell’arte non sono di conforme opinione con loro, è necessario operare l’arte con diverse maniere, acciocché tu ti conformi in qualche parte con ciascun giudizio che considera le opere del pittore, delle quali parti si farà menzione qui sotto.

112. De’ movimenti e delle operazioni varie.

Le figure degli uomini abbiano atto proprio alla loro operazione in modo che, vedendole, tu intenda quello che per loro si pensi o dica; i quali saranno bene imparati da chi imiterà i moti de’ muti, i quali parlano con i movimenti delle mani, degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro; e non ti ridere di me, perché io ti proponga un precettore senza lingua il quale ti abbia ad insegnar quell’arte ch’e’ non sa fare; perché meglio t’insegnerà egli co’ fatti, che tutti gli altri con parole; e non sprezzare tal consiglio, perché essi sono i maestri de’ movimenti ed intendono da lontano di quel che uno parla, quando egli accomoda i moti delle mani con le parole. Questa tale considerazione ha molti nemici e molti difensori. Dunque tu, pittore, attempra dell’una e dell’altra setta, attendi, secondo che accade, alle qualità di quelli che parlano ed alla natura della cosa di che si parla.

113. Fuggi i profili, cioè i termini espediti delle cose.

Non fare i termini delle tue figure d’altro colore che del proprio campo, con che esse figure terminano, cioè che non faccia profili oscuri infra il campo e la tua figura.

114. Come nelle cose piccole non s’intendono gli errori come nelle grandi.

Nelle cose di minuta forma non si può comprendere la qualità del loro errore come nelle grandi; e la ragione si è che, se questa cosa piccola sia fatta a similitudine d’un uomo o d’altro animale, le sue parti per l’immensa diminuzione non ponno essere ricercate con quel debito fine dal suo operatore, che si converrebbe: onde non rimane finita, e non essendo finita, non si possono comprendere i suoi errori. Esempio: riguarderai da lontano un uomo per lo spazio di trecento braccia, e con diligenza giudicherai se quello è bello o brutto, s’egli è mostruoso o di comune qualità; vedrai che con sommo tuo sforzo non ti potrai persuadere a dar tal giudizio; e la ragione si è che, per la sopradetta distanza, quest’uomo diminuisce tanto, che non si può comprendere le qualità delle particole. E se vuoi veder bene detta diminuzione dell’uomo sopradetto, ponti un dito presso all’occhio un palmo, e tanto alza o abbassa detto dito, che la sua superiore estremità termini sotto i piedi della figura che tu riguardi, e vedrai apparire un’incredibile diminuzione; e per questo spesse volte si dubita circa la forma dell’amico da lontano.

115. Perché la pittura non può mai parere spiccata come le cose naturali.

disegno LeonardoI pittori spesse volte cadono in disperazione del loro imitare il naturale, vedendo le loro pitture non aver quel rilievo e quella vivacità che hanno le cose vedute nello specchio, allegando aver essi colori che per chiarezza e per oscurità di gran lunga avanzano la qualità de’ lumi ed ombre della cosa veduta nello specchio, accusando in questo caso la loro ignoranza e non la ragione, perché non la conoscono. Impossibile è che la cosa dipinta apparisca di tal rilievo, che si assomigli alla cosa dello specchio, benché l’una e l’altra sia su una superficie, salvo se fosse veduta con un solo occhio; e la ragione si è che i due occhi che vedono una cosa dopo l’altra, come ab che vedono mn; n non può occupare interamente m, perché la base delle linee visuali è sí larga, che vede il corpo secondo dopo il primo. Ma se chiudi un occhio, come s, il corpo f occuperà k, perché la linea visuale nasce in un sol punto, e fa base nel primo corpo; onde il secondo di pari grandezza non sarà visto.

116. Perché i capitoli delle figure l’uno sopra l’altro è opra da fuggire.

Questo universal uso, il quale si fa per i pittori nelle faccie delle cappelle, è molto da essere ragionevolmente biasimato, imperocché fanno un’istoria in un piano col suo paese ed edifizi, poi s’alzano un altro grado e fanno un’istoria, e variano il punto dal primo, e poi la terza e la quarta, in modo che una facciata si vede fatta con quattro punti, la quale è somma stoltizia di simili maestri. Noi sappiamo che il punto è posto all’occhio del riguardatore dell’istoria; e se tu volessi dire: a che modo ho da fare la vita d’un santo compartita in molte istorie in una medesima faccia?, a questa parte ti rispondo che tu devi porre il primo piano col punto all’altezza dell’occhio de’ riguardatori d’essa istoria, e sul detto piano figura la prima istoria grande; e poi diminuendo di mano in mano le figure e casamenti, in su diversi colli e pianure, farai tutto il fornimento d’essa istoria. Sul resto della faccia, nella sua altezza, farai alberi grandi a comparazione delle figure, o angeli, se fossero al proposito dell’istoria, ovvero uccelli, o nuvoli, o simili cose; altrimenti non te n’impacciare, ché ogni tua opera sarà falsa.

117. Qual pittura è meglio usare nel far parer le cose spiccate.

Le figure illuminate dal lume particolare sono quelle che mostrano piú rilievo che quelle che sono illuminate dal lume universale, perché il lume particolare fa i lumi riflessi, i quali spiccano le figure dai loro campi; le quali riflessioni nascono dai lumi di una figura che risulta nell’ombra di quella che le sta davanti e la illumina in parte. Ma la figura posta dinanzi al lume particolare in luogo grande e oscuro non riceve riflesso, e di questa non si vede se non la parte illuminata: e questa è solo da essere usata nell’imitazione della notte, con piccolo lume particolare.

118. Qual è più di discorso ed utilità, o i lumi ed ombre de’ corpi, o i loro lineamenti.

I termini de’ corpi sono di maggior discorso ed ingegno che le ombre ed i lumi, per causa che i lineamenti de’ membri che sono piegabili, sono immutabili, e sempre sono quei medesimi, ma i siti, qualità e quantità delle ombre sono infiniti.

119. Qual è di maggiore importanza, o il movimento creato dagli accidenti diversi degli animali, o le loro ombre e lumi.

La più importante cosa che ne’ discorsi della pittura trovar si possa, sono i movimenti appropriati agli accidenti mentali di ciascun animale, come desiderio, sprezzamento, ira, pietà e simili.

120. Qual è di più importanza, o che la figura abbondi in bellezza di colori, o in dimostrazioni di gran rilievo.

Solo la pittura si rende (L’edizione di Vienna aggiunge: “cosa maravigliosa.”) ai contemplatori di quella per far parere rilevato e spiccato dai muri quel che non lo è, ed i colori sol fanno onore ai maestri che li fanno, perché in loro non si causa altra maraviglia che bellezza, la quale bellezza non è virtú del pittore, ma di quello che li ha generati, e può una cosa esser vestita di brutti colori e dar di sé maraviglia a’ suoi contemplanti per parere di rilievo.

121. Qual è più difficile, o le ombre e i lumi, o pure il disegno buono.

Dico essere più difficile quella cosa ch’è costretta a un termine, che quella ch’è libera. Le ombre hanno i loro termini a certi gradi, e chi n’è ignorante, le sue cose saranno senza rilievo, il quale rilievo è l’importanza e l’anima della pittura. Il disegno è libero, imperocché si vedrà infiniti volti, che tutti saranno varî. E chi avrà il naso lungo, e chi lo avrà corto. Adunque il pittore può ancora lui pigliare questa libertà, e dov’è libertà non è regola.

122. Precetti del pittore.

O pittore notomista, guarda che la troppa notizia degli ossi, corde e muscoli non sieno causa di farti pittore legnoso, col volere che i tuoi ignudi mostrino tutti i sentimenti loro. Adunque, volendo riparare a questo, vedi in che modo i muscoli ne’ vecchi o magri coprano ovver vestano le loro ossa.
Ed oltre questo, nota la regola come i medesimi muscoli riempiano gli spazi superficiali che infra loro s’interpongono, e quali sono i muscoli di che mai si perde la notizia in alcun grado di grassezza; e quali sono i muscoli de’ quali per ogni minima pinguedine si perde la notizia de’ loro contatti; e molte son le volte che di più muscoli se ne fa un sol muscolo nell’ingrassare, e molte sono le volte che nel dimagrare o invecchiare di un sol muscolo se ne fa più muscoli. Di questo tal discorso si dimostrerà a suo luogo tutte le particolarità loro, e massime negli spazi interposti infra le giunture di ciascun membro.
Ancora non mancherai della varietà che fanno i predetti muscoli intorno alle giunture de’ membri di qualunque animale, mediante la diversità de’ moti di ciascun membro, perché in alcun lato di esse giunture si perde integralmente la notizia di essi muscoli per causa dell’accrescimento o mancamento della carne, della quale tali muscoli sono composti.

123. Memoria che si fa l’autore.

Descrivi quali sieno i muscoli e quali le corde che mediante diversi movimenti di ciascun membro si scoprano, o si nascondano, o non facciano né l’uno né l’altro; e ricordati che questa tale azione è importantissima e necessarissima appresso de’ pittori e scultori che fanno professione di maestri. Il simile farai d’un fanciullo, dalla sua natività insino al tempo della sua decrepitezza per tutti i gradi della sua età, infanzia, puerizia, adolescenza e gioventù, ed in tutti descriverai le mutazioni delle membra e giunture, e quali ingrassino o dimagrino.

124. Precetti di pittura.

Sempre il pittore che vuole aver onore delle sue opere, deve cercare la prontitudine de’ suoi atti negli atti naturali fatti dagli uomini all’improvviso e nati da potente affezione de’ loro affetti, e di quelli far brevi ricordi ne’ suoi libretti, e poi a’ suoi propositi adoperarli, col far stare un uomo in quel medesimo atto, per vedere la qualità e l’aspetto delle membra che in tal atto si adoprano.

125. Precetti di pittura.

Quella cosa ovvero la figura di quella si dimostrerà con più distinti e spediti termini, la quale sarà più vicina all’occhio. E per questo tu, pittore, che sotto il nome di pratico fingi la veduta di una testa veduta da vicina distanza con pennellate terminate, e tratteggiamenti aspri e crudi, sappi che tu t’inganni, perché in qualunque distanza tu ti finga la tua figura, essa è sempre finita in quel grado che essa si trova, ancoraché in lunga distanza si perda la notizia de’ suoi termini. E non manca per questo che non si veda un finito fumoso, e non termini e profilamenti spediti e crudi. Adunque è da concludere, che quell’opera alla quale si può avvicinare l’occhio del suo riguardatore, che tutte le parti di essa pittura sieno finite ne’ suoi gradi con somma diligenza, ed oltre di questo le prime sieno terminate di termini noti ed espediti dal suo campo, e quelle più distanti sieno ben finite, ma di termini più fumosi, cioè più confusi, o vuoi dire men noti; alle piú distanti successivamente osservare quel ch’è detto di sopra, cioè i termini men noti, e poi le membra, ed in fine il tutto men noto di figura e di colore.

126. Come fu la prima pittura.

La prima pittura fu sol di una linea, la quale circondava l’ombra dell’uomo fatta dal sole ne’ muri.

127. Come la pittura dev’essere vista da una sola finestra.

La pittura dev’essere vista da una sola finestra, come appare per cagione de’ corpi così fatti: O; se tu vuoi fare in un’altezza una palla rotonda, ti bisogna farla lunga a questa similitudine, e star tanto indietro ch’essa, scorciando, apparisca tonda.

128. Delle prime otto parti in che si divide la pittura.

Tenebre, luce, corpo, figura, colore, sito, remozione e propinquità. Si possono aggiungere a queste due altre, cioè moto e quiete, perché tal cosa è necessario figurare ne’ moti delle cose che si fingono nella pittura.

129. Come la pittura si divide in cinque parti.

Le parti della pittura sono cinque, cioè: superficie, figura, colore, ombra e lume, propinquità e remozione, o vuoi dire accrescimento e diminuzione, che sono le due prospettive, come nella diminuzione della quantità e la diminuzione delle notizie delle cose vedute in lunghe distanze, e quella de’ colori, e qual colore è quello che prima diminuisce in pari distanze, e quel che piú si mantiene.

130. Delle due parti principali in che si divide la pittura.

Due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura, cioè lineamenti, che circondano le figure de’ corpi finti, i quali lineamenti si dimandano disegni. La seconda è detta ombra. Ma questo disegno è di tanta eccellenza, che non solo ricerca le opere di natura, ma infinite piú che quelle che fa natura. Questo comanda allo scultore di terminare con scienza i suoi simulacri, ed a tutte le arti manuali, ancora che fossero infinite, insegna il loro perfetto fine. E per questo concluderemo non solamente esser scienza, ma una deità essere con debito nome ricordata, la qual deità ripete tutte le opere evidenti fatte dal sommo Iddio.

TRATTATO DELLA PITTURA
di
LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)
Primo volume
PARTE SECONDA
Capitoli da 131 a 200

131. Della pittura lineale.

Siano con somma diligenza considerati i termini di qualunque corpo, ed il modo del lor serpeggiare, le quali serpeggiature sia giudicato se le sue volte partecipano di curvità circolare o di concavità angolare.

132. Della pittura, cioè delle ombre.

Le ombre, le quali tu discerni con difficoltà ed i loro termini non puoi conoscere, anzi, con confuso giudizio le pigli e trasferisci nella tua opera, non le farai finite, ovvero terminate, sicché la tua opera sarà di legnosa (Nell’edizione romana, 1817, alla parola “legnosa” è sostituito: “ingegnosa.”) risultazione.

133. Delle parti e qualità della pittura.

La prima parte della pittura è che i corpi con quella figurati si dimostrino rilevati e che i campi di essi circondatori con le loro distanze si dimostrino entrare dentro alla parete, dove tal pittura è generata, mediante le tre prospettive, cioè diminuzione delle figure de’ corpi, diminuzione delle magnitudini loro e diminuzione de’ loro colori. E di queste tre prospettive la prima ha origine dall’occhio, le altre due hanno derivazione dall’aria interposta infra l’occhio e gli obietti da esso occhio veduti. La seconda parte della pittura sono gli atti appropriati e variati nelle stature, sí che gli uomini non paiano fratelli.

134. Della elezione de’ bei visi.

Parmi non piccola grazia quella di quel pittore, il quale fa buone arie alle sue figure. La qual grazia chi non l’ha per natura la può pigliare per accidentale studio in questa forma. Guarda a tôrre le parti buone di molti visi belli, le quali belle parti sieno conformi piú per pubblica fama che per tuo giudizio; perché ti potresti ingannare togliendo visi che avessero conformità col tuo; perché spesso pare che simili conformità ci piacciano, e se tu fossi brutto eleggeresti visi non belli, e faresti brutti visi, come molti pittori, ché spesso le figure somigliano al maestro; sicché piglia le bellezze, come ti dico, e quelle metti in mente.

135. Della elezione dell’aria, che dà grazia ai volti.

Se avrai una corte da poter coprire a tua posta con tenda lina, questo lume sarà buono; ovvero quando vuoi ritrarre uno, ritrailo a cattivo tempo, sul far della sera, facendo stare il ritratto con la schiena accosto a uno de’ muri di essa corte. Pon mente per le strade sul fare della sera ai visi di uomini e di donne, quando è cattivo tempo, quanta grazia e dolcezza si vede in essi. Adunque tu, pittore, avrai una corte accomodata co’ muri tinti di nero con alquanto sporto di tetto sopra esso muro, e sia larga braccia dieci e lunga venti, ed alta dieci; e quando non la copri con tenda, sia sul far della sera per ritrarre un’opera, e quando è o nuvolo, o nebbia; e questa è perfetta aria.

136. Delle bellezze e bruttezze.

Le bellezze con le bruttezze paiono più potenti l’una per l’altra.

137. Delle bellezze.

Le bellezze de’ volti possono essere in diverse persone di pari bontà, ma non mai simili in figura, anzi saranno di tante varietà quant’è il numero a cui quelle sono congiunte.

138. De’ giudicatori di varie bellezze in varî corpi, e di pari eccellenza.

Ancoraché in varî corpi siano varie bellezze e di grazia eguali, i varî giudici di pari intelligenza le giudicheranno di gran varietà infra loro esservi tra l’una e l’altra delle loro elezioni.

139. Come si debbono figurare i putti.

I putti piccoli si debbono figurare con atti pronti e storti quando seggono, e nello star ritti con atti timidi e paurosi.

140. Come si debbono figurare i vecchi.

I vecchi debbono esser fatti con pigri e lenti movimenti, e le gambe piegate nelle ginocchia quando stanno fermi, e i piedi pari e distanti l’un dall’altro; sieno declinati in basso, la testa innanzi chinata e le braccia non troppo distese.

141. Come si debbono figurare le donne.

Le donne si debbono figurare con atti vergognosi, le gambe insieme strette, le braccia raccolte insieme, teste basse e piegate in traverso.

142. Come si debbono figurare le vecchie.

Le vecchie si debbono figurare ardite e pronte, con rabbiosi movimenti, a guisa di furie infernali, ed i movimenti debbono parere piú pronti nelle braccia e teste che nelle gambe.

143. Come si deve figurare una notte.

Quella cosa che è priva interamente di luce è tutta tenebre: essendo la notte in simile condizione, se tu vi vorrai figurare un’istoria, farai che, essendovi un gran fuoco, quella cosa che è più propinqua a detto fuoco più si tinga nel suo colore, perché quella che è più vicina all’obietto, più partecipa della sua natura; e facendo il fuoco pendere in color rosso, farai tutte le cose illuminate da quello anch’esse rosseggiare, e quelle che son più lontane da detto fuoco, più sieno tinte del color nero della notte. Le figure che son fatte innanzi al fuoco appariscano scure nella chiarezza d’esso fuoco, perché quella parte d’essa cosa che vedi è tinta dall’oscurità della notte e non dalla chiarezza del fuoco: e quelle che si trovano dai lati, sieno mezze scure e mezze rosseggianti: e quelle che si possono vedere dopo i termini delle fiamme, saranno tutte illuminate di rosseggiante lume in campo nero. In quanto agli atti, farai le figure che sono appresso farsi scudo con le mani e con i mantelli a riparo del soverchio calore, e, volte col viso in contraria parte, mostrar di fuggire: quelle più lontane, farai gran parte di loro farsi con le mani riparo agli occhi offesi dal soverchio splendore.

144. Come si deve figurare una fortuna.

Se tu vuoi figurar bene una fortuna, considera e poni bene i suoi effetti, quando il vento, soffiando sopra la superficie del mare o della terra, rimove e porta seco quelle cose che non sono ferme con la universale massa. E per ben figurare questa fortuna, farai prima i nuvoli spezzati e rotti drizzarsi per il corso del vento, accompagnati dall’arenosa polvere levata da’ lidi marini: e rami e foglie, levati per la potenza del furore del vento, sparsi per l’aria ed in compagnia di molte altre leggiere cose: gli alberi e le erbe, piegati a terra, quasi mostrar di voler seguire il corso de’ venti, con i rami storti fuor del naturale corso e con le scompigliate e rovesciate foglie: e gli uomini, che lí si trovano, parte caduti e rivolti per i panni e per la polvere, quasi sieno sconosciuti, e quelli che restano ritti sieno dopo qualche albero, abbracciati a quello, perché il vento non li strascini; altri con le mani agli occhi per la polvere, chinati a terra, ed i panni ed i capelli dritti al corso del vento. Il mare turbato e tempestoso sia pieno di ritrosa spuma infra le elevate onde, ed il vento faccia levare infra la combattuta aria della spuma più sottile, a uso di spessa ed avviluppata nebbia. I navigli che dentro vi sono, alcuni se ne faccia con la vela rotta, ed i brani d’essa ventilando infra l’aria in compagnia d’alcuna corda rotta; alcuni alberi rotti caduti col naviglio attraversato e rotto infra le tempestose onde; ed uomini, gridando, abbracciare il rimanente del naviglio. Farai i nuvoli cacciati dagli impetuosi venti, battuti nelle alte cime delle montagne, e fra quelli avviluppati e ritrosi a similitudine delle onde percosse negli scogli; l’aria spaventosa per le scure tenebre fatte nell’aria dalla polvere, nebbia e nuvoli folti.

145. Come si deve figurare una battaglia.

Farai prima il fumo dell’artiglieria mischiato infra l’aria insieme con la polvere mossa dal movimento de’ cavalli de’ combattitori; la qual mistione userai cosí: la polvere, perché è cosa terrestre e ponderosa, e benché per la sua sottilità facilmente si levi e mischi infra l’aria, nientedimeno volentieri ritorna in basso, ed il suo sommo montare è fatto dalla parte più sottile; adunque il meno sarà veduta, e parrà quasi del color dell’aria. Il fumo che si mischia infra l’aria polverata, quando più s’alza a certa altezza, parrà oscure nuvole, e vedrassi nelle sommità più espeditamente il fumo che la polvere. Il fumo penderà in colore alquanto azzurro, e la polvere trarrà al suo colore. Dalla parte che viene il lume parrà questa mistione d’aria, fumo e polvere molto più lucida che dalla opposita parte. I combattitori, quanto piú saranno infra detta turbolenza, tanto meno si vedranno, e meno differenza sarà da’ loro lumi alle loro ombre. Farai rosseggiare i visi e le persone e l’aria vicina agli archibusieri insieme co’ loro vicini; e detto rossore quanto più si parte dalla sua cagione, più si perda; e le figure che sono infra te ed il lume, essendo lontane, parranno scure in campo chiaro, e le lor gambe, quanto più s’appresseranno alla terra, meno saranno vedute; perché la polvere è lí più grossa e spessa. E se farai cavalli correnti fuori della turba, fa i nuvoletti di polvere distanti l’uno dall’altro quanto può esser l’intervallo per salti fatti dal cavallo; e quel nuvolo che è più lontano da detto cavallo meno si veda, anzi sia alto, sparso e raro, ed il più presso sia il più evidente e minore e più denso. L’aria sia piena di saettume di diverse ragioni; chi monti, chi discenda, qual sia per linea piana; e le pallottole degli schioppettieri sieno accompagnate d’alquanto fumo dietro ai loro corsi. E le prime figure farai polverose ne’ capelli e ciglia ed altri luoghi piani, atti a sostenere la polvere. Farai vincitori correnti con capelli e altre cose leggiere sparse al vento, con le ciglia basse, e caccino contrarie membra innanzi, cioè se manderanno innanzi il piè destro, che il braccio manco ancor esso venga innanzi; e se farai alcuno caduto, gli farai il segno dello sdrucciolare su per la polvere condotta in sanguinoso fango; ed intorno alla mediocre liquidezza della terra farai vedere stampate le pedate degli uomini e de’ cavalli di lí passati. Farai alcuni cavalli strascinar morto il loro signore, e di dietro a quello lasciare per la polvere ed il fango il segno dello strascinato corpo. Farai i vinti e battuti pallidi, con le ciglia alte nella loro congiunzione, e la carne che resta sopra di loro sia abbondante di dolenti crespe. Le faccie del naso sieno con alquante grinze partite in arco dalle narici, e terminate nel principio dell’occhio. Le narici alte, cagione di dette pieghe, e le labbra arcuate scoprano i denti di sopra. I denti spartiti in modo di gridare con lamento.
Una delle mani faccia scudo ai paurosi occhi, voltando il di dentro verso il nemico, l’altra stia a terra a sostenere il levato busto. Altri farai gridanti con la bocca sbarrata, e fuggenti. Farai molte sorte d’armi infra i piedi de’ combattitori, come scudi rotti, lance, spade rotte ed altre simili cose. Farai uomini morti, alcuni ricoperti mezzi dalla polvere, ed altri tutti. La polvere che si mischia con l’uscito sangue convertirsi in rosso fango, e vedere il sangue del suo colore correre con torto corso dal corpo alla polvere. Altri morendo stringere i denti, stravolgere gli occhi, stringer le pugna alla persona, e le gambe storte. Potrebbesi vedere alcuno, disarmato ed abbattuto dal nemico, volgersi a detto nemico e con morsi e graffi far crudele ed aspra vendetta. Potriasi vedere alcun cavallo leggiero correre con i crini sparsi al vento fra i nemici e con i piedi far molto danno, e vedersi alcuno stroppiato cadere in terra, farsi coperchio col suo scudo, ed il nemico chinato in basso far forza per dargli morte. Potrebbersi vedere molti uomini caduti in un gruppo sopra un cavallo morto.
Vedransi alcuni vincitori lasciare il combattere, ed uscire della moltitudine, nettandosi con le mani gli occhi e le guance ricoperti di fango fatto dal lacrimar degli occhi per causa della polvere.
Vedransi le squadre del soccorso star piene di speranza e di sospetto, con le ciglia aguzze, facendo a quelle ombra con le mani, e riguardare infra la folta e confusa caligine per essere attente al comandamento del capitano; il quale potrai fare col bastone levato, e corrente inverso il soccorso mostrandogli la parte dov’è bisogno di esso. Ed alcun fiume, dentrovi cavalli correnti, riempiendo la circostante acqua di turbolenza d’onde, di schiuma e d’acqua confusa saltante inverso l’aria, e tra le gambe e i corpi de’ cavalli. E non far nessun luogo piano senza le pedate ripiene di sangue.

146. Del modo di condurre in pittura le cose lontane.

Chiaro si vede essere un’aria grossa più che le altre, la quale confina con la terra piana; e quanto più si leva in alto, più è sottile e trasparente. Le cose elevate e grandi che saranno da te lontane, la lor bassezza poco sarà veduta, perché la vedi per una linea che passa infra l’aria più grossa continuata. La sommità di dette altezze si trova essere veduta per una linea, la quale, benché dal canto dell’occhio tuo si causi nell’aria grossa, nondimeno, terminando nella somma altezza della cosa vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non fa la sua bassezza; e per questa ragione questa linea, quanto più si allontana da te di punto in punto, sempre muta qualità di sottile in sottile aria. Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze; e quanto le fai più lontane l’una dall’altra, fa le bassezze più chiare, e quanto più si leveranno in alto, più mostreranno la verità della forma e del colore.

147. Come l’aria si deve far più chiara quanto più la fai finire bassa.

Perché quest’aria è grossa presso alla terra, e quanto più si leva e più s’assottiglia, quando il sole è per levante riguarderai il ponente, partecipante di mezzodì e tramontana, e vedrai quell’aria grossa ricevere più lume dal sole che la sottile, perché i raggi trovano più resistenza. E se il cielo alla vista tua terminerà con la bassa pianura quella parte ultima del cielo sarà veduta per quell’aria più grossa e più bianca, la quale corromperà la verità del colore che si vedrà per suo mezzo, e parrà lì il cielo più bianco che sopra te, perché la linea visuale passa per meno quantità d’aria corrotta da grossi umori. E se riguarderai inverso levante, l’aria ti parrà più scura quanto più s’abbassa, perché in dett’aria bassa i raggi luminosi meno passano.

148. A fare che le figure spicchino dal loro campo.

Le figure di qualunque corpo più parranno rilevate e spiccate da’ loro campi, delle quali essi campi saranno di color chiari o scuri, con più varietà che sia possibile ne’ confini delle predette figure, come sarà dimostrato al suo luogo, e che in detti colori sia osservata la diminuzione di chiarezza ne’ bianchi, e di oscurità ne’ colori scuri.

149. Del figurare le grandezze delle cose dipinte.

disegno Leonardo
Nella figurazione delle grandezze che hanno naturalmente le cose anteposte all’occhio, si debbono figurare tanto finite le prime figure, essendo piccole, come le opere de’ miniatori, come le grandi de’ pittori: ma le piccole de’ miniatori debbono esser vedute d’appresso, e quelle del pittore da lontano; così facendo esse figure vengono all’occhio con egual grandezza; e questo nasce perché esse vengono con egual grossezza d’angolo. Provasi, e sia l’obbietto bc, e l’occhio sia a; e de sia una tavola di vetro per la quale penetrino le specie del bc. Dico che stando fermo l’occhio a, la grandezza della pittura fatta per l’imitazione di esso bc, deve essere di tanto minor figura, quanto il vetro de sarà più vicino all’occhio a, e deve essere egualmente finita. E se tu fingerai essa figura bc nel vetro de, la tua figura deve essere meno finita che la figura bc, e più finita che la figura mn, fatta sul vetro fg, perché se po figura fosse finita come la naturale bc, la prospettiva d’esso op sarebbe falsa, perché, in quanto alla diminuzione della figura, essa starebbe bene, essendo bc diminuito in po; ma il finito non si accorderebbe con la distanza, perché nel ricercare la perfezione del finito del naturale bc, allora esso bc parrebbe nella vicinità op; ma se tu vorrai ricercare la diminuzione di op, esso op pare essere nella distanza bc, e nel diminuire del finito al vetro fg.

150. Delle cose finite, e delle confuse.

Le cose finite e spedite si debbono far d’appresso, e le confuse, cioè di termini confusi, si fingano in parti remote.

151. Delle figure che sono separate, acciocché non paiano congiunte.

I colori di che tu vesti le figure sieno tali che diano grazia l’uno all’altro; e quando un colore si fa campo dell’altro, sia tale che non paiano congiunti ed appiccati insieme, ancor che fossero di medesima natura di colore, ma sieno varî di chiarezza, tale quale richiede l’interposizione della distanza e della grossezza dell’aria che fra loro s’inframmette, e con la medesima regola vada la notizia de’ loro termini, cioè più o meno espediti o confusi, secondo che richiede la loro propinquità o remozione.

152. Se il lume deve esser tolto in faccia alle figure, o da parte, e quale dia piú grazia.

Il lume tolto in faccia ai volti posti dentro a pareti laterali, le quali sieno oscure, sarà causa che tali volti avranno gran rilievo, e massime avendo il lume da alto, e questo rilievo accade perché la parte dinanzi di tal volto è illuminata dal lume universale dell’aria a quello anteposta, onde tal parte illuminata ha ombre quasi insensibili, e dopo essa parte dinanzi del volto seguitano le parti laterali, oscurate dalle predette pareti laterali delle stanze, le quali tanto piú oscurano il volto, quanto esso volto entra fra loro con le sue parti: ed oltre di questo seguita che il lume che scende da alto priva di sé tutte quelle parti alle quali è fatto scudo dai rilievi del volto, come le ciglia che sottraggono il lume all’incassatura degli occhi, ed il naso che lo toglie a gran parte della bocca, ed il mento alla gola, e simili altri rilievi.

153. Della riverberazione.

Le riverberazioni son causate da corpi di chiara qualità, di piana e semidensa superficie, i quali, percossi dal lume, quello, a similitudine del balzo della palla, ripercuotono nel primo obietto.

154. Dove non può essere riverberazione luminosa.

Tutti i corpi densi si vestono nella loro superficie di varie qualità di lumi e d’ombre. I lumi sono di due nature: l’uno si domanda originale e l’altro derivativo. Originale dico esser quello che deriva da vampa di fuoco, o dal lume del sole, o d’aria; lume derivativo sarà il lume riflesso. Ma per tornare alla promessa definizione, dico che riverberazione luminosa non sarà da quella parte del corpo che sarà volta ai corpi ombrosi, come luoghi oscuri, prati di varie altezze d’erbe, boschi verdi o secchi, i quali, benché la parte di ciascun ramo volta al lume originale si vesta della qualità di esso lume, nientedimeno sono tante le ombre fatte da ciascun ramo per sé, e tante le ombre fatte dall’un ramo su l’altro, che in somma ne risulta tale oscurità, che il lume vi è per niente; onde non possono simili obietti dare ai corpi oppositi alcun lume riflesso.

155. De’ riflessi.

I riflessi sieno partecipanti tanto piú o meno della cosa dove si generano, che della cosa che li genera, quanto la cosa dove si generano è di piú pulita superficie che quella che li genera.

156. De’ riflessi de’ lumi che circondano le ombre.

I riflessi delle parti illuminate che risaltano nelle contrapposte ombre alleviano piú o meno la loro oscurità, secondo ch’esse sono piú o meno vicine o hanno piú o meno di chiarezza; questa tal considerazione è messa in opera da molti, e molti altri sono che la fuggono, e questi si ridono l’un dell’altro. Ma tu, per fuggir le calunnie dell’uno e dell’altro, metti in opera l’uno e l’altro dove sono necessari, ma fa che le loro cause sieno note, cioè che si veda manifesta la causa de’ riflessi e loro colori, e cosí manifesta la causa delle cose che non riflettono. Facendo cosí non sarai interamente biasimato, né lodato dai varî giudici, i quali, se non saranno d’intera ignoranza, sarà necessario che in tutto ti laudino, sí l’una setta come l’altra.

157. Dove i riflessi de’ lumi sono di maggiore o minor chiarezza.

I riflessi de’ lumi sono di tanto minore o maggiore evidenza, quanto essi saranno veduti in campi di maggiore o minore oscurità; e questo accade perché se il campo è piú oscuro che il riflesso, allora esso riflesso sarà forte evidente per la differenza grande che hanno essi colori infra loro; ma se il riflesso sarà veduto in campo piú chiaro di esso, allora tal riflesso si dimostrerà essere oscuro rispetto alla bianchezza con la quale confina, e cosí tal riflesso sarà insensibile.

158. Qual parte del riflesso sarà piú chiara.

Quella parte del riflesso sarà piú illuminata che riceve il lume infra angoli piú eguali del luminoso, come nella percussione.
Provasi, e sia il luminoso n, ed ab sia la parte del corpo illuminata, la quale risalta per tutta la concavità opposita, la quale è ombrosa. E sia che tal lume, che riflette in e, sia percosso infra angoli eguali, e’ non sarà riflesso da base d’angoli eguali, come si mostra l’angolo eab che è piú ottuso che l’angolo eba; ma l’angolo afb, ancor che sia infra angoli di minor egualità che l’angolo e, esso ha per base ab che ha gli angoli più eguali che esso angolo e; e però sarà più chiaro in f che in e; ed ancora sarà più chiaro, perché sarà più vicino alla cosa che l’illumina, per la sesta che dice: quella parte del corpo ombroso sarà più illuminata che sarà più vicina al suo luminoso.
disegno Leonardo

159. De’ colori riflessi della carne.

I riflessi della carne che hanno lume d’altra carne sono più rossi e di più eccellente incarnazione che nessun’altra parte di carne che sia nell’uomo; e questo accade per la terza del secondo libro, che dice: la superficie d’ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto; e tanto più quanto tale obietto gli è piú vicino, e tanto meno quanto gli è piú remoto e quanto egli è maggiore; perché essendo grande, esso impedisce le specie degli obietti circostanti, i quali spesse volte sono di colori varî, i quali corrompono le prime specie piú vicine, quando i corpi sono piccoli; ma non manca che non tinga più un riflesso un piccolo colore vicino, che un colore grande remoto, per la sesta di prospettiva, che dice: le cose grandi potranno essere in tanta distanza, che esse parranno minori assai che le piccole d’appresso.

160. Dove i riflessi sono più sensibili.

Quel riflesso sarà di più spedita evidenza, il quale è veduto in campo di maggiore oscurità, e quello sarà menodisegno Leonardo sensibile, che si vedrà in campo piú chiaro; e questo nasce ché le cose di varie oscurità poste in contrasto, la meno oscura fa parere tenebrosa quella che è più oscura, e le cose di varie bianchezze poste in contrasto, la piú bianca fa parere l’altra meno bianca che non è.

161. De’ riflessi duplicati e triplicati.

I riflessi duplicati sono di maggior potenza che i riflessi semplici, e le ombre che s’interpongono infra il lume incidente ed essi riflessi sono di poca oscurità. Sia a il luminoso; an, as i diretti; sn sian le parti dei corpi illuminate; o b siano le parti d’essi corpi illuminate dai riflessi; ed il riflesso ane è il riflesso semplice; ano, aso è il riflesso duplicato. Il riflesso semplice è detto quello che solo da un illuminato è veduto, e il duplicato è visto da due corpi illuminati, e il semplice e è fatto dall’illuminato bd: il duplicato o si compone dell’illuminato bd e dell’illuminato dr; e l’ombra sua è di poca oscurità, la quale s’interpone infra il lume incidente n ed il lume riflesso no, so.

162. Come nessun colore riflesso è semplice, ma è misto con le specie degli altri colori.

disegno Leonardo
Nessun colore che rifletta nella superficie d’un altro corpo tinge essa superficie del suo proprio colore, ma sarà mista con i concorsi degli altri colori riflessi che risaltano nel medesimo luogo; come il color giallo a che riflette nella parte dello sferico coe, e nel medesimo luogo riflette il colore azzurro b. Dico per questa riflessione mista di giallo e di azzurro, che la percussione del suo concorso tingerà lo sferico; se era in sé bianco, lo farà di color verde, perché è provato che il giallo e l’azzurro misti insieme compongono un bellissimo verde.

disegno Leonardo

163. Come rarissime volte i riflessi sono del colore del corpo dove si congiungono.

Rarissime sono le volte che i riflessi sieno del colore del corpo dove si congiungono. Sia giallo lo sferico dfge, e l’obietto che gli riflette addosso il suo colore sia bc, il quale è azzurro; dico che la parte dello sferico, che è percossa da tal riflessione, si tingerà in color verde, essendo bc illuminato dall’aria o dal sole.

164. Dove piú si vedrà il riflesso.

Infra il riflesso di medesima figura, grandezza e potenza, quella parte si dimostrerà piú o meno potente, la quale terminerà in campo piú o meno scuro.

165. De’ riflessi.

1° Le superficie de’ corpi partecipano piú de’ colori di quegli obietti i quali riflettono in lui la sua similitudine infra angoli piú eguali.
2° De’ colori degli obietti che riflettono le sue similitudini nelle superficie degli anteposti corpi infra angoli eguali, quello sarà piú potente il quale avrà il suo raggio riflesso di piú breve lunghezza.
3° Infra i colori degli obietti che si riflettono infra angoli eguali, e con egual distanza nella superficie de’ contrapposti corpi, quello sarà piú potente che sarà di piú chiaro colore.
4° Quell’obietto riflette piú intensamente il suo colore nell’anteposto corpo, il quale non ha intorno a sé altri colori che della sua specie.

166. Riflessione.

Ma quel riflesso sarà di piú confuso colore, che da varî colori d’obietti è generato. Quel colore che sarà piú vicino al riflesso, piú tingerà di sé esso riflesso, e cosí di converso. Adunque tu, pittore, fa di operare ne’ riflessi dell’effigie delle figure il colore delle parti de’ vestimenti che sono presso alle parti delle carni che loro sono piú vicine, ma non separare con troppa loro pronunziazione, se non bisogna.

167. De’ colori de’ riflessi.

Tutti i colori riflessi sono di manco luminosità che il lume retto, e tal proporzione ha il lume incidente col lume riflesso, quale è quella che hanno infra loro le luminosità dalle loro cause.

168. De’ termini de’ riflessi nel loro campo.

Il termine de’ riflessi nel campo piú chiaro di esso riflesso sarà causa che tale riflesso terminerà in campo piú oscuro di lui; allora esso riflesso sarà sensibile, e tanto piú si farà evidente, quanto tal campo sarà piú oscuro, e cosí di converso.

169. Del modo d’imparar bene a comporre insieme le figure nelle istorie.

Per ciò, quando tu avrai imparato bene prospettiva, ed avrai a mente tutte le membra ed i corpi delle cose, sii vago spesse volte nel tuo andare a spasso di vedere e considerare i siti e gli atti degli uomini nel parlare, nel contendere, nel ridere o nell’azzuffarsi insieme, che atti sieno in loro, e che atti facciano i circostanti, spartitori o veditori di esse cose, e quelli notare con brevi segni in questa forma su un tuo piccolo libretto, il quale tu devi sempre portare teco, e sia di carte tinte, acciò non l’abbia a scancellare, ma mutare di vecchio in nuovo; ché queste non sono cose da essere scancellate, anzi, con grandissima diligenza serbate, perché sono tante le forme e gli atti delle cose, che la memoria non è capace a ritenerle; onde queste riserberai come tuoi adiutori e maestri.

170. Del porre prima una figura nell’istoria.

La prima figura nell’istoria farai tanto minore che il naturale, quante braccia tu la figuri lontana dalla prima linea, e poi piú le altre a comparazione di quella, con la regola di sopra.

disegno Leonardo

171. Del collocar le figure.

Tanto quanto la parte del nudo da diminuisce per posare, tanto l’opposita parte cresce; cioè tanto quanto la parte da diminuisce di sua misura, l’opposita parte sopraccresce alla sua misura, ed il bellico mai esce di sua altezza, ovvero il membro virile; e questo abbassamento nasce perché la figura che posa sopra un piede, quel piede si fa centro del soprapposto peso. Essendo cosí, il mezzo delle spalle si drizza di sopra, uscendo fuori della sua linea perpendicolare, la quale linea passa per i mezzi superficiali del corpo; e questa linea viene a torcere nella sua superiore estremità sopra il piede che posa; ed i lineamenti traversi, costretti a eguali angoli, si fanno co’ loro estremi piú bassi in quella parte che posa, come appare in abc.

172. Modo del comporre le istorie.

Delle figure che compongono le istorie, quella si dimostrerà di maggior rilievo la quale sarà finta esser piú vicina all’occhio: questo accade per la seconda del terzo, che dice: quel colore si dimostra di maggior perfezione, il quale ha minor quantità d’aria interposta fra sé e l’occhio che lo giudica: e per questo le ombre, le quali mostrano i corpi opachi essere rilevati, si dimostrano ancora piú oscure d’appresso che da lontano, dove sono corrotte dall’aria interposta fra l’occhio ed esse ombre: la qual cosa non accade nelle ombre vicine all’occhio, dove esse mostrano i corpi di tanto maggior rilievo, quanto esse sono di maggiore oscurità.

173. Del comporre le istorie.

Ricordati, pittore, quando fai una sola figura, di fuggire gli scorti di quella, sí delle parti come del tutto, perché tu avresti da combattere con l’ignoranza degl’indotti di tale arte; ma nelle istorie fanne in tutti i modi che ti accade, e massime nelle battaglie, dove per necessità accadono infiniti scorciamenti e piegamenti de’ componitori di tal discordia, o vuoi dire pazzia bestialissima.

174. Varietà d’uomini nelle istorie

Nelle istorie debbono esser uomini di varie complessioni, età, carnagioni, attitudini, grassezze, magrezze; grossi, sottili, grandi, piccoli, grassi, magri, fieri, civili, vecchi, giovani, forti e muscolosi, deboli e con pochi muscoli, allegri, malinconici, e con capelli ricci e distesi, corti e lunghi, movimenti pronti e languidi, e cosí varî abiti, colori e qualunque cosa in essa istoria si richiede. È sommo peccato nel pittore fare i visi che somiglino l’un l’altro, e cosí la replicazione degli atti è vizio grande.

175. Dell’imparare i movimenti dell’uomo.

I movimenti dell’uomo vogliono essere imparati dopo la cognizione delle membra e del tutto in tutti i moti delle membra e giunture, e poi con breve notazione di pochi segni vedere gli atti degli uomini ne’ loro accidenti, senza ch’essi si avveggano che tu li consideri, perché, se s’avvedranno di tal considerazione, avranno la mente occupata a te, la quale avrà abbandonato la ferocità del loro atto, al quale prima era tutta intenta, come quando due irati contendono insieme, e che a ciascuno pare aver ragione, i quali con gran ferocità muovono le ciglia e le braccia e gli altri membri, con atti appropriati alla loro intenzione e alle loro parole; il che far non potresti, se tu gli volessi far fingere tal ira, o altro accidente, come riso, pianto, dolore, ammirazione, paura e simili: sicché per questo sii vago di portar teco un libretto di carte ingessate e con lo stile d’argento nota con brevità tali movimenti, e similmente nota gli atti de’ circostanti e loro compartizione. Questo t’insegnerà a comporre le istorie; e quando avrai pieno il tuo libretto, mettilo da parte, e serbalo a’ tuoi propositi, e ripigliane un altro, e fanne il simile; e questa sarà cosa utilissima al modo del tuo comporre, del quale io farò un libro particolare, che seguirà dopo la cognizione delle figure e membra in particolare; e varietà delle loro giunture.

176. Come il buon pittore ha da dipingere due cose, l’uomo e la sua mente.

Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’uomo ed il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra; e questo è da essere imparato dai muti, che meglio li fanno che alcun’altra sorta d’uomini.

177. Del comporre le istorie in prima bozza.

Lo studio de’ componitori delle istorie deve essere di porre le figure digrossatamente, cioè abbozzate, e prima saperle ben fare per tutti i versi e piegamenti e distendimenti delle loro membra. Dipoi sia presa la descrizione di due che arditamente combattono insieme, e questa tale invenzione sia esaminata in varî atti e per varî aspetti; dipoi sia seguitato il combattere dell’ardito col vile e pauroso; e queste tali azioni, e molti altri accidenti dell’animo, sieno con grande esaminazione e studio speculate.

178. Di non far nelle istorie troppi ornamenti alle figure.

Non fare mai nelle istorie tanti ornamenti alle tue figure ed altri corpi che impediscano la forma e l’attitudine di tali figure e l’essenza de’ predetti altri corpi.

179. Della varietà nelle istorie.

Dilettisi il pittore ne’ componimenti delle istorie della copia e varietà, e fugga il replicare alcuna parte che in essa fatta sia, acciocché la novità ed abbondanza attragga a sé e diletti l’occhio del riguardatore. Dico che nell’istoria si richiede, e a’ loro luoghi accadendo, misti gli uomini di diverse effigie, con diverse età ed abiti, insieme misti con donne, fanciulli, cani, cavalli, edifici, campagne e colli.

180. Dell’istoria.

Sia osservata la dignità e decoro del principe o del savio, che nell’istoria si propone, con la separazione e interamente privata del tumulto del volgo.

181. Convenienze delle parti delle istorie.

Non mischierai i malinconici lagrimosi e piangenti con gli allegri e ridenti, imperocché la natura dà che con i piangenti si lacrimi, e con i ridenti si allegri, e sí separa i loro risi e pianti.

182. Del diversificare le arie de’ volti nelle istorie.

Comune difetto è ne’ dipintori italici il riconoscersi l’aria e figura dell’operatore, mediante le molte figure da lui dipinte; onde, per fuggire tale errore, non sieno fatte, né replicate mai, né tutto, né parte delle figure, che un volto si veda nell’altro nell’istoria.

183. Del variare valetudine, età e complessione dei corpi nelle istorie.

Dico anco che nelle istorie si deve mischiare insieme vicinamente i retti contrari, perché danno gran paragone l’un all’altro; e tanto piú quanto saranno piú propinqui, cioè il brutto vicino al bello, e il grande al piccolo, e il vecchio al giovane, e il forte al debole; e cosí si varia quanto si può e piú vicino.

184. De’ componimenti delle istorie.

I componimenti delle istorie dipinte debbono muovere i riguardatori e contemplatori di quelle a quel medesimo effetto, ch’è quello per il quale tale istoria è figurata; cioè se quell’istoria rappresenta terrore, paura o fuga, o veramente dolore, pianto e lamentazione, o piacere, gaudio e riso, e simili accidenti, che le menti di essi consideratori muovano le membra con atti che paiano ch’essi sieno congiunti al medesimo caso di che esse istorie figurate sono rappresentatrici; e se cosí non fanno, l’ingegno di tale operatore è vano.

185. Precetto del comporre le istorie.

O tu, componitore delle istorie, non membrificare con terminati lineamenti le membrificazioni d’esse istorie, ché t’interverrà come a molti e varî pittori intervenir suole, i quali vogliono che ogni minimo segno di carbone sia valido. E questi tali ponno bene acquistare ricchezze, ma non laude della loro arte, perché molte sono le volte che l’animale figurato non ha i moti delle membra appropriati al moto mentale, ed avendo egli fatta bella e grata membrificazione ben finita, gli parrà cosa ingiuriosa a trasmutare esse membra piú alte, o basse, o piú indietro che innanzi. E questi tali non sono meritevoli di alcuna laude nella scienza. Or non hai tu mai considerato poeti componitori de’ lor versi, ai quali non dà noia il fare bella lettera, né si curano di cancellare alcuni di essi versi, rifacendoli migliori? Adunque, pittore, componi grossamente le membra delle tue figure, e attendi prima ai movimenti appropriati agli accidenti mentali degli animali componitori dell’istoria che alla bellezza e bontà delle loro membra. Perché tu hai a intendere che, se tal componimento inculto ti riuscirà appropriato alla sua intenzione, (Nel codice: “invenzione.”) tanto maggiormente satisfarà, essendo poi ornato della perfezione appropriata a tutte le sue parti. Io ho già veduto ne’ nuvoli e muri macchie che m’hanno desto a belle invenzioni di varie cose, le quali macchie, ancoraché integralmente fossero in sé private di perfezione di qualunque membro, non mancavano di perfezione ne’ loro movimenti o altre azioni.

186. Dell’accompagnare i colori l’uno con l’altro, in modo che l’uno dia grazia all’altro.

Se vuoi fare che la vicinità di un colore dia grazia all’altro che con quello confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole nella composizione dell’arco celeste, per altro nome iris, i quali colori si generano nel moto della pioggia, perché ciascuna gocciola si trasmuta nella sua discesa in ciascuno de’ colori di tale arco, come sarà dimostrato al suo luogo. Ora attendi, che se tu vuoi fare un’eccellente oscurità, dàlle per paragone un’eccellente bianchezza, e cosí l’eccellente bianchezza farai con la massima oscurità; ed il pallido farà parere il rosso di piú focosa rossezza che non parrebbe per sé in paragone del paonazzo; e questa tal regola sarà piú distinta al suo luogo.
Resta una seconda regola, la quale non attende a fare i colori in sé di piú suprema bellezza che essi naturalmente sieno, ma che la compagnia loro dia grazia l’uno all’altro, come fa il verde al rosso, e il rosso al verde, come fa il verde con l’azzurro. Ed evvi un’altra regola generativa di disgraziata compagnia, come l’azzurro col giallo, che biancheggia, o col bianco e simili, i quali si diranno al suo luogo.

187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture.

Sempre a quei colori che tu vuoi che abbiano bellezza preparerai prima il campo candidissimo; e questo dico de’ colori che sono trasparenti, perché a quelli che non sono trasparenti non giova campo chiaro; e l’esempio di questo c’insegnano i colori de’ vetri, i quali, quando sono interposti infra l’occhio e l’aria luminosa, si mostrano di eccellente bellezza, il che far non possono avendo dietro a sé l’aria tenebrosa o altra oscurità.

188. De’ colori delle ombre di qualunque colore.

Il colore dell’ombra di qualunque colore sempre partecipa del colore del suo obietto, e tanto più o meno quanto esso obietto è piú vicino o remoto da essa ombra, e quanto esso è piú o meno luminoso.

189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o propinque.

Delle cose più oscure che l’aria, quella si dimostrerà di minore oscurità la quale sarà più remota; e delle cose più chiare che l’aria, quella si dimostrerà di minor bianchezza che sarà più remota dall’occhio. Le cose più chiare e più oscure che l’aria in lunga distanza scambiano colore, perché la chiara acquista oscurità e l’oscura acquista chiarezza.

190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente.

I colori delle cose si perdono integralmente in maggiore o minor distanza, secondo che l’occhio e la cosa veduta saranno in maggiore o minore altezza. Provasi per la settima di questo, che dice: l’aria è tanto più o meno grossa, quanto essa sarà più vicina o remota dalla terra. Adunque, se l’occhio e la cosa da esso veduta saranno vicini alla terra, allora la grossezza dell’aria interposta fra l’occhio e la cosa sarà grossa e impedirà assai il colore della cosa veduta da esso occhio. Ma se tal occhio insieme con la cosa da lui veduta saranno remoti dalla terra, allora tale aria occuperà poco il colore del predetto obietto.

191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell’occhio.

Tante sono le varietà delle distanze nelle quali si perdono i colori degli obietti quanto sono varie le età del giorno, e quante sono le varietà delle grossezze o sottilità dell’aria, per le quali penetrano all’occhio le specie de’ colori de’ predetti obietti. E di questo non daremo al presente altra regola.

192. Colore d’ombra del bianco.

L’ombra del bianco veduto dal sole e dell’aria ha le sue ombre traenti all’azzurro; e questo nasce perché il bianco per sé non ha colore, ma è ricetto di qualunque colore; e per la quarta di questo, che dice: la superficie d’ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, egli è necessario che quella parte della superficie bianca partecipi del colore dell’aria suo obietto.

193. Qual colore farà ombra piú nera.

Quell’ombra parteciperà più del nero, che si genererà in più bianca superficie, e questo avrà maggior proporzione di varietà (Nell’edizione romana, 1817: “propensione alla varietà.”) che nessun’altra superficie; e questo nasce perché il bianco non è connumerato infra i colori, ed è ricettivo d’ogni colore, e la superficie sua partecipa più intensamente de’ colori de’ suoi obietti che nessun’altra superficie di qualunque colore, e massime del suo retto contrario, che è il nero o altri colori oscuri, dal quale il bianco è più remoto per natura; e per questo pare ed è gran differenza dalle sue ombre principali ai lumi principali.

194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d’aria.

Possibile è che un medesimo colore non faccia mutazione in varie distanze, e questo accadrà quando la proporzione delle grossezze dell’aria e le proporzioni delle distanze che avranno i colori dall’occhio sia una medesima, ma conversa.
Provasi: a sia l’occhio, h sia un colore qual tu vuoi, posto in un grado di distanza remoto dall’occhio, in aria di quattro gradi di grossezza; ma perché il secondo grado di disegno Leonardosopra amnl ha la metà piú sottile, l’aria portando in essa il medesimo colore, è necessario che tal colore sia il doppio piú remoto dall’occhio che non era prima; adunque porremo i due gradi af ed fg discosto dall’occhio, e sarà il colore g; il quale poi alzando nel grado di doppia sottilità alla seconda manl, che sarà il grado ompn, egli è necessario che sia posto nell’altezza e, e sarà distante dall’occhio tutta la linea ae, la quale si prova valere in grossezza d’aria quanto la distanza ag, e provasi cosí: se ag, distanza interposta da una medesima aria infra l’occhio e il colore, occupa due gradi e mezzo, (Nell’ edizione viennese: “se ag distanza interposta infra l’ occhio e il colore è d’ una medesima aria ed occupa due gradi, e il colore è alzato nella distanza di due gradi e mezzo.”) questa distanza è sufficiente a fare che il colore g alzato in e non varii di sua potenza, perché il grado ac e il grado af, essendo una medesima grossezza d’aria, sono simili ed eguali, ed il grado cd, benché sia eguale in lunghezza al grado fg, non è simile in grossezza d’aria, perché gli è mezzo nell’aria di doppia grossezza all’aria di sopra, della quale un mezzo grado di distanza occupa tanto il colore, quanto si faccia un grado intero dell’aria di sopra, che è il doppio piú sottile che l’aria che gli confina di sotto.
Adunque, calcolando prima le grossezze dell’aria e poi le distanze, tu vedrai che i colori variati di sito non avranno mutato di bellezza; e diremo cosí per la calcolazione della grossezza dell’aria il colore h è posto in quattro gradi di grossezza d’aria; g colore è posto in aria di due gradi di grossezza; e colore si trova in aria di primo grado di grossezza. Ora vediamo se le distanze sono in proporzione eguale, ma conversa. Il colore e si trova distante dall’occhio a due gradi e mezzo di distanza; il g due gradi, l’h un grado; questa distanza non si scontra con la proporzione della grossezza; ma è necessario fare una terza calcolazione, e quest’è che ti bisogna dire: il grado ac, come fu detto di sopra, è simile ed eguale al grado af, ed il mezzo grado cd è simile ma non eguale al grado ac, perché è un mezzo grado di lunghezza, il quale vale un grado intero dell’aria di sopra. (Nel codice seguono le parole : “la quale è posta…. la sottilità all’ aria di sotto.”)
Adunque la calcolazione trovata satisfa al proposito, perché ac vale due gradi di grossezza dell’aria di sopra ed il mezzo grado cd ne vale uno intero d’essa aria di sopra, cosicché abbiamo tre gradi in valuta d’essa grossezza di sopra ed uno ve n’è dentro, cioè be (Nel codice : de.) esso quarto. Seguita: ah ha quattro gradi di grossezza d’aria; ag ne ha ancora quattro, cioè af ne ha due ed fg due altri, che fan quattro; ae ne ha ancora quattro, perché ac ne tiene due ed uno cd, che è la metà di ac e di quella medesima aria, ed uno intero ne è di sopra nell’aria sottile, che fa quattro. Adunque, se la distanza ae non è dupla dalla distanza ag, né quadrupla dalla distanza ah, essa è restaurata dal cd, mezzo grado d’aria grossa, che vale un grado intero dell’aria piú sottile che gli sta di sopra. E cosí è concluso il nostro proposito, cioè che il colore hge non si varia per varie distanze.

195. Della prospettiva de’ colori.

disegno Leonardo
D’un medesimo colore posto in varie distanze ed eguali altezze, tale sarà la proporzione del suo rischiaramento, quale sarà quella delle distanze che ciascuno di essi colori ha dall’occhio che li vede. Provasi, e sia che ebcd sia un medesimo colore; il primo, e, sia posto due gradi di distanza dall’occhio a; il secondo, che è b, sia discosto quattro gradi; il terzo, che è c, sia sei gradi; il quarto, che è d, sia otto gradi, come mostrano le definizioni de’ circoli che si tagliano sulla linea, come si vede sopra la linea ar; dipoi arsp sia un grado d’aria sottile; sp e t sia un grado d’aria piú grossa: seguirà che il primo colore e passerà all’occhio per un grado d’aria grossa, es, e per un grado d’aria men grossa sa, ed il colore b manderà la sua similitudine all’occhio a per due gradi d’aria grossa, e per due della men grossa; ed il c la manderà per tre della grossa e per tre della men grossa; ed il colore d per quattro della grossa e per quattro della men grossa. E cosí abbiamo provato qui tale essere la proporzione delle diminuzioni de’ colori, o vuoi dire perdimenti, quale è quella delle loro distanze dall’occhio che li vede; e questo solo accade ne’ colori che sono d’eguale altezza, perché in quei che sono di altezze ineguali non si osserva la medesima regola, per esser loro in arie di varie grossezze, che fanno varie occupazioni ad essi colori.

196. Del colore che non si muta in varie grossezze d’aria.

Non si muterà il colore posto in diverse grossezze d’aria, quando sarà tanto più remoto dall’occhio l’uno che l’altro. Provasi cosí: se la prima aria bassa ha quattro gradi di grossezza, ed il colore sia distante un grado dall’occhio, e la seconda aria più alta abbia tre gradi di grossezza, ché ha perso un grado, fa che il colore acquisti un grado di distanza; (Nell’edizione viennese: “un grado e un terzo di distanza.”) e quando l’aria più alta ha perso due gradi di grossezza, ed il colore ha acquistato due gradi di distanza, allora tale è il primo colore qual è il terzo: e per abbreviare, se il colore s’innalza tanto ch’entri nell’aria, che abbia perso tre gradi di grossezza, ed il colore s’è discostato tre gradi di distanza, allora tu ti puoi render certo che tal perdita di colore ha fatto il colore alto e remoto, quanto il colore basso e vicino; perché se l’aria alta ha perduto i tre quarti della grossezza dell’aria bassa, il colore nell’alzarsi ha acquistato i tre quarti di tutta la distanza, per la quale esso si trova remoto dall’occhio. E cosí abbiamo provato l’intento nostro.

197. Se i colori varî possono parere di una uniforme oscurità mediante una medesima ombra.

Possibile è che tutte le varietà de’ colori d’una medesima ombra paiano tramutate nel colore d’essa ombra. Questo si manifesta nelle tenebre della notte nubilosa, nella quale nessuna figura o colore di corpo si comprende; e perché tenebre altro non sono che privazione di luce incidente o riflessa, mediante la quale tutte le figure ed i colori de’ corpi si comprendono, egli è necessario che, tolta integralmente la causa della luce, manchi l’effetto e la cognizione de’ colori e delle figure dei predetti corpi.

198. Della causa de’ perdimenti de’ colori e figure de’ corpi mediante le tenebre che paiono e non sono.

Molti sono i siti in sé illuminati e chiari che si dimostrano tenebrosi ed al tutto privati di qualunque varietà di colori e figure delle cose che in essi si trovano: questo avviene per causa della luce dell’aria illuminata che infra le cose vedute e l’occhio s’interpone, come si vede dentro alle finestre che sono remote dall’occhio, nelle quali solo si comprende una uniforme oscurità assai tenebrosa; e se tu entrerai poi dentro a essa casa, tu vedrai quelle essere in sé forte illuminate, e potrai speditamente comprendere ogni minima parte di qualunque cosa dentro a tal finestra che trovar si potesse. E questa tal dimostrazione nasce per difetto dell’occhio, il quale, vinto dalla soverchia luce dell’aria, ristringe assai la grandezza della sua pupilla, e per questo manca assai della sua potenza: e ne’ luoghi piú oscuri la pupilla si allarga, e tanto cresce di potenza, quanto essa acquista di grandezza, com’è provato nel secondo della mia prospettiva.

199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha lume da un altro simil colore.

Nessuna cosa dimostrerà mai il suo proprio colore se il lume che l’illumina non è in tutto d’esso colore. Quello che è qui detto si manifesta ne’ colori de’ panni, de’ quali le pieghe illuminate, che riflettono o danno lume alle contrapposte pieghe, gli fanno dimostrare il loro vero colore. Il medesimo fanno le foglie dell’oro nel dar lume l’una all’altra, ed il contrariò fa da pigliar lume da un altro colore.

200. De’ colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante i paragoni de’ loro campi.

Nessun termine di colore uniforme si dimostrerà essere eguale se non termina in campo di colore simile ad esso. Questo si vede manifesto quando il nero termina col bianco e il bianco col nero, che ciascun colore pare piú nobile ne’ confini del suo contrario che non parrà nel suo mezzo.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

Primo volume
PARTE SECONDA

Capitoli da 201 a 258

201. Della mutazione de’ colori trasparenti dati o misti sopra diversi colori con la loro diversa relazione.(Nel codice “velazione.”)

Quando un colore trasparente è sopra un altro colore variato da quello, si compone un color misto diverso da ciascuno de’ semplici che lo compongono. Questo si vede nel fumo che esce dal camino, il quale quando è a riscontro al nero d’esso camino si fa azzurro, e quando s’innalza a riscontro dell’azzurro dell’aria pare berettino o rosseggiante. E così il paonazzo dato sopra l’azzurro si fa di color di viola; e quando l’azzurro sarà dato sopra il giallo, egli si farà verde; ed il croco sopra il bianco fa giallo; ed il chiaro sopra l’oscurità fa azzurro, tanto piú bello, quanto il chiaro e l’oscuro saranno piú eccellenti.

202. Qual parte di un medesimo colore si dimostra piú bella in pittura.

Qui è da notare qual parte d’un medesimo colore si mostra piú bella in pittura, o quella che ha il lustro, o quella che ha il lume, o quella delle ombre mezzane, o quella delle oscure, ovvero in trasparenza. Qui bisogna intendere che colore è quello che si dimanda, perché diversi colori hanno le loro bellezze in diversa parte di se medesimi; e questo ci mostra il nero con aver la bellezza nelle ombre, il bianco nel lume, l’azzurro verde e tané nelle ombre mezzane, il giallo e rosso ne’ lumi, l’oro ne’ riflessi e la lacca nelle ombre mezzane.

203. Come ogni colore che non lustra è piú bello nelle sue parti luminose che nelle ombrose.

Ogni colore è più bello nella sua parte illuminata che nell’ombrosa; e questo nasce, che il lume vivifica e dà vera notizia della qualità de’ colori, e l’ombra ammorza ed oscura la medesima bellezza, ed impedisce la notizia d’esso colore; e se per il contrario il nero è piú bello nelle ombre che ne’ lumi, si risponde che il nero non è colore, né anco il bianco.

204. Dell’evidenza de’ colori.

disegno LeonardoQuella cosa che è più chiara più apparisce di lontano, e la più oscura fa il contrario.

205. Qual parte del colore ragionevolmente deve esser più bella.

Se a sarà il lume, b sarà l’illuminato per linea da esso lume; c, che non può vedere esso lume, vede solo la parte illuminata, la qual parte diciamo che sia rossa; essendo così, il lume che si genera alla parte somiglierà alla sua cagione, e tingerà in rosso la faccia c; e se c sarà ancora esso rosso, vedrai essere molto piú bello che b; e se c fosse giallo, vedrai crearsi un color cangiante infra giallo e rosso.

206. Come il bello del colore dev’essere ne’ lumi.

Se noi vediamo la qualità de’ colori esser conosciuta mediante il lume, è da giudicare che, dove è piú lume, quivi si vegga piú la vera qualità del colore illuminato, e dove è piú tenebre, il colore tingersi nel colore d’esse tenebre. Adunque tu, pittore, ricordati di mostrare la verità de’ colori sulle parti illuminate.

207. Del color verde fatto dalla ruggine di rame.

Del verde fatto dal rame, ancoraché tal colore sia messo a olio, se ne va in fumo la bellezza, s’esso non è subito inverniciato; e non solamente se ne va in fumo, ma s’esso sarà lavato con la spugna bagnata di semplice acqua comune, si leverà dalla tavola dove è dipinto, e massimamente se il tempo sarà umido; e questo nasce perché tal verderame è fatto per forza di sale, il qual sale con facilità si risolve ne’ tempi piovosi, e massimamente essendo bagnato e lavato con la predetta spugna.

208. Aumentazione di bellezza nel verderame.

Se sarà misto col verderame l’aloe camellino, esso verderame acquisterà gran bellezza, e piú ne acquisterebbe col zafferano, se non se ne andasse in fumo. E di questo aloe camellino si conosce la bontà quando esso si scioglie nell’acquavite, essendo calda, che meglio lo scioglie che quando essa è fredda. E se tu avessi finito un’opera con esso verde semplice, e poi la velassi sottilmente con esso aloe sciolto in acqua, allora essa opera si farebbe di bellissimo colore: ed ancora esso aloe si può macinare a olio per sé, ed ancora insieme col verderame, e con ogni altro colore che ti piacesse.

209. Della mistione de’ colori l’uno con l’altro, la qual mistione si estende verso l’infinito.

questo che io non ne faccia un poco di discorso. Ponendo prima alquanti colori semplici, con ciascuno di quelli mescolerò ciascuno degli altri a uno a uno, e poi a due a due ed a tre a tre, così seguitando insino all’intero numero di tutti i colori. Poi ricomincierò a mischiare i colori a due con due ed a tre con due, e poi a quattro, cosí seguitando insino al fine, sopra essi primi due colori. E poi ne metterò tre, e con essi tre accompagnerò altri tre, e poi sei, e cosí seguiterò tal mistione in tutte le proporzioni. Colori semplici domando quelli che non sono composti, né si possono comporre per via di mistione d’altri colori. Nero, bianco, benché questi non sono messi fra’ colori, perché l’uno è tenebre, l’altro è luce, cioè l’uno è privazione e l’altro è generativo, io non li voglio per questo lasciare indietro, perché in pittura sono i principali, conciossiaché la pittura sia composta d’ombre e di lumi, cioè di chiaro e oscuro. Dopo il nero e il bianco seguita l’azzurro e il giallo, poi il verde e il leonino, cioè tané, o vuoi dire ocra; dipoi il morello ed il rosso; e questi sono otto colori, e piú non ve n’è in natura, de’ quali io comincio le mistioni; e sia primo nero e bianco; di poi nero e giallo, e nero e rosso; di poi giallo e nero, e giallo e rosso; e perché qui mi manca carta, lascierò a fare tal distinzione nella mia opera con lungo processo; il quale sarà di grande utilità, anzi necessarissimo; e questa tal descrizione s’intermetterà infra la teorica e la pratica della pittura.

210. Della superficie d’ogni corpo ombroso.

La superficie d’ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Questo dimostrano i corpi ombrosi con certezza, conciossiaché nessuno de’ predetti corpi mostra la sua figura o colore, se il mezzo interposto fra il corpo ed il luminoso non è illuminato. Diremo dunque che il corpo opaco sia giallo, ed il luminoso sia azzurro; dico che la parte illuminata sarà verde, il qual verde si compone di giallo e d’azzurro.

211. Qual è la superficie piú ricettiva di colori.

Il bianco è piú ricettivo di qualunque colore che nessun’altra superficie di qualunque corpo che non è specchiato. Provasi dicendo che ogni corpo vacuo è capace di ricevere quello che non possono ricevere i corpi che non sono vacui; diremo per questo che il bianco è vacuo, o vuoi dire privo di qualunque colore; essendo esso illuminato dal colore di qualunque luminoso, partecipa piú d’esso luminoso che non farebbe il nero, il quale è ad uso di vaso rotto, che è privo d’ogni capacità di qualunque cosa.

212. Qual parte del corpo si tingerà piú del colore del suo obietto.

La superficie d’ogni corpo parteciperà piú intensamente del colore di quell’obietto, il quale gli sarà piú vicino. Questo accade perché l’obietto vicino occupa piú moltitudine di varietà di specie, la quale, venendo ad essa superficie de’ corpi, corromperebbe la superficie di tale obietto, il che non farebbe se tal colore fosse remoto: ed occupando tale specie, esso colore dimostra piú integralmente la sua natura in esso corpo opaco.

213. Qual parte della superficie de’ corpi si dimostrerà di piú bel colore.

La superficie di quell’opaco si dimostrerà di piú perfetto colore, la quale avrà per vicino obietto un colore simile al suo.

214. Delle incarnazioni de’ volti.

Quel colore de’ corpi piú si conserva in lunga distanza che sarà di maggior quantità. Questa proposizione ci mostra che il viso si faccia oscuro nelle distanze, perché l’ombra è la maggior parte che abbia il volto, ed i lumi sono minimi, e però mancano in breve distanza: e minimissimi sono i loro lustri, e questa è la causa che, restando la parte piú oscura, il viso si faccia o si dimostri oscuro; e tanto piú parrà trarre il nero, quanto tal viso avrà in dosso o in testa cosa piú bianca.

215. Modo per ritrarre di rilievo e preparare la carta per questo.

I pittori, per ritrarre le cose di rilievo, debbono tingere le superficie delle carte di mezzana oscurità e poi dare le ombre piú oscure, ed in ultimo i lumi principali in piccol luogo, i quali son quelli che in piccola distanza sono i primi che si perdono all’occhio.

216. Della varietà di un medesimo colore in varie distanze dall’occhio.

Infra i colori della medesima natura, quello manco si varia che meno si rimuove dall’occhio.
Provasi, perché l’aria che s’interpone infra l’occhio e la cosa veduta occupa alquanto la detta cosa: e se l’aria interposta sarà di gran somma, allora la cosa veduta si tingerà forte del colore di tal aria, e se tale aria sarà di sottile quantità, allora l’obietto sarà poco impedito.

217. Della verdura veduta in campagna.

Della verdura delle campagne di pari qualità, quella parrà essere piú oscura che sarà nelle piante degli alberi, e piú chiara si dimostrerà quella de’ prati.

218. Qual verdura parrà partecipare piú d’azzurro.

Quelle verdure si dimostreranno partecipare piú d’azzurro, le quali saranno di piú oscura ombrosità; e questo si prova per la settima, che dice che l’azzurro si compone di chiaro e d’oscuro in lunghe distanze.

219. Qual è quella superficie che meno che le altre dimostra il suo vero colore.

Quella superficie mostrerà meno il suo vero colore, la quale sarà piú tersa e pulita. Questo vediamo nelle erbe de’ prati e nelle foglie degli alberi, le quali, essendo di pulita e lustra superficie, pigliano il lustro nel quale si specchia il sole o l’aria che le illumina, e cosí in quella parte del lustro sono private del loro natural colore.

220. Qual corpo ti mostrerà piú il suo vero colore.

Quel corpo piú dimostrerà il suo vero colore, del quale la superficie sarà men pulita e piana. Questo si vede ne’ pannilini e nelle foglie delle erbe ed alberi che sono pelose, nelle quali alcun lustro si può generare, onde per necessità, non potendo specchiare gli obietti, solo rendono all’occhio il loro vero colore e naturale, non essendo quello corrotto da alcun corpo che li illumini con un colore opposto, come quello del rossore del sole quando tramonta e tinge i nuvoli del suo proprio colore.

221. Della chiarezza de’ paesi.

Mai i colori e vivacità e chiarezza de’ paesi dipinti avranno conformità con i paesi naturali illuminati dal sole, se essi paesi dipinti non saranno illuminati da esso sole.

222. Prospettiva comune, e della diminuzione de’ colori in lunga distanza.

disegno LeonardoL’aria è tanto meno partecipante del colore azzurro, quanto essa è piú vicina all’orizzonte, e tanto piú oscura, quanto essa dall’orizzonte è piú remota. Questo si prova per la terza del nono, che mostra che quel corpo sarà manco illuminato dal sole il quale sarà di qualità piú rara. Adunque il fuoco, elemento che veste l’aria, per esser esso piú raro e piú sottile che l’aria, manco ci occupa le tenebre, che son sopra di lui, che non fa essa aria: e per conseguenza l’aria, corpo men raro che il fuoco, piú s’illumina dai raggi solari che la penetrano, illuminando la infinità degli atomi, che per essa s’infondono, e si rende chiara ai nostri occhi; onde, penetrando per essa aria le specie delle sopradette tenebre, di necessità fa che essa bianchezza d’aria ci pare azzurra, com’è provato nella terza del decimo; e tanto ci parrà di azzurro piú chiaro, quanto fra esse tenebre e gli occhi nostri s’interporrà maggior grossezza d’aria. Come se l’occhio di chi la considera fosse in p e riguardasse sopra di sé la grossezza dell’aria pr, poi, declinando alquanto, l’occhio vedesse l’aria per la linea ps, la quale gli parrà piú chiara, per esser maggior grossezza d’aria per la linea ps che per la linea pr; e se tal occhio s’inclina all’orizzonte, vedrà l’aria quasi al tutto privata d’azzurro; la qual cosa seguita, perché la linea del vedere penetra molto maggior somma d’aria per la rettitudine pd che per l’obliqua ps. E cosí s’è persuaso il nostro intento.

223. Delle cose specchiate nelle acque de’ paesi, e prima dell’aria.

disegno LeonardoQuell’aria sola sarà quella che darà di sé simulacro nella superficie dell’acqua, la quale rifletterà dalla superficie dell’acqua all’occhio infra angoli eguali, cioè che l’angolo dell’incidenza sia eguale all’angolo della riflessione.

224. Diminuzione de’ colori pel mezzo interposto infra loro e l’occhio.

Tanto meno dimostrerà la cosa visibile del suo natural colore, quanto il mezzo interposto fra essa e l’occhio sarà di maggior grossezza.

225. De’ campi che si convengono alle ombre ed ai lumi.

I campi che si convengono ai termini illuminati od ombrati di qualunque colore, quelli faranno piú separazione l’uno dall’altro, i quali saranno piú varî, cioè che un colore oscuro non deve terminare in altro colore oscuro, ma molto vario: cioè bianco o partecipante di bianco, e similmente il colore bianco non terminare mai in campo bianco, ma quanto puoi oscuro o traente all’oscuro.

226. Come si deve riparare quando il bianco termina in bianco o l’oscuro in oscuro.

Quando il colore d’un corpo bianco s’abbatte a terminare in campo bianco, allora o i bianchi saranno eguali, o no: e se saranno eguali, allora quello che ti è piú vicino si farà alquanto oscuro nel termine che egli fa con esso bianco: e se tal campo sarà men bianco che il colore che in lui campeggia, allora il campeggiante spiccherà per se medesimo dal suo differente senza altro aiuto di termine oscuro.

227. Della natura de’ colori de’ campi sopra i quali campeggia il bianco.

La cosa bianca si dimostrerà piú bianca se sarà in campo piú oscuro, e si dimostrerà piú oscura se sarà in campo piú bianco; e questo ci ha insegnato il fioccar della neve, la quale, quando noi la vediamo nel campo dell’aria, ci pare oscura, e quando noi la vediamo in campo d’alcuna finestra aperta, per la quale si veda l’oscurità dell’ombra di essa casa, allora essa neve si mostrerà bianchissima; e la neve d’appresso ci pare veloce, e la remota tarda; e la neve vicina ci pare di continua quantità, ad uso di bianche corde, e la remota ci pare discontinuata.

228. De’ campi delle figure.

Delle cose d’egual chiarezza, quella si dimostrerà di minor chiarezza, la quale sarà veduta in campo di maggior bianchezza; e quella parrà piú bianca, che campeggerà in spazio piú oscuro; e l’incarnata parrà pallida in campo rosso, e la pallida parrà rosseggiante essendo veduta in campo giallo; e similmente i colori saranno giudicati quello che non sono mediante i campi che li circondano.disegno Leonardo

229. De’ campi delle cose dipinte.

Di grandissima dignità è il discorso de’ campi, ne’ quali campeggiano i corpi opachi vestiti d’ombre e di lumi, perché a quelli si conviene avere le parti illuminate ne’ campi oscuri, e le parti oscure nei campi chiari, siccome in parte in margine ho dimostrato.

230. Di quelli che in campagna fingono la cosa piú remota farsi piú oscura.

Molti sono che in campagna aperta fanno le figure tanto piú oscure quanto esse sono piú remote dall’occhio; la qual cosa è in contrario, se già la cosa imitata non fosse bianca, perché allora accadrebbe quello che di sotto si propone.

231. De’ colori delle cose remote dall’occhio.

L’aria tinge piú gli obietti che essa separa dall’occhio del suo colore, quanto essa sarà di maggior grossezza. Adunque, avendo l’aria diviso un obietto oscuro con grossezza di due miglia, essa lo tinge piú che quella che ha la grossezza di un miglio. Risponde qui l’avversario e dice che i paesi hanno gli alberi di una medesima specie piú oscuri da lontano che d’appresso, la qual cosa non è vera se le piante saranno eguali e divise da spazi; ma sarà ben vera se i primi alberi saranno rari, e vedrassi la chiarezza de’ prati che li dividono, e gli ultimi saranno spessi, come accade nelle rive e vicinità de’ fiumi, che allora non si vedono spazi di chiare praterie, ma tutti insieme congiunti, facendo ombra l’uno sopra l’altro. Ancora accade che molto maggiore è la parte ombrosa delle piante che la luminosa, e per le specie che manda di sé essa pianta all’occhio, si mischiano in lunga distanza, ed il colore oscuro che si trova in maggior quantità piú mantiene le sue specie che la parte meno oscura; e così esso misto porta seco la parte piú potente in piú lunga distanza.

232. Gradi di pittura.

Non è sempre buono quel che è bello; e questo dico per quei pittori che amano tanto la bellezza de’ colori, che non senza gran coscienza danno lor debolissime e quasi insensibili ombre, non stimando il loro rilievo. Ed in questo errore sono i belli parlatori senza alcuna sentenza.

233. Dello specchiamento e colore dell’acqua del mare veduto da diversi aspetti.

Il mare ondeggiante non ha colore universale, ma chi lo vede da terraferma, lo vede di colore oscuro, e tanto piú oscuro quant’esso è piú vicino all’orizzonte, e vi vede alcun chiarore, ovvero lustri, che si muovono con tardità ad uso di pecore bianche negli armenti; e chi vede il mare stando in alto mare lo vede azzurro; e questo nasce perché da terra il mare pare oscuro, perché tu vedi in esso le onde che specchiano l’oscurità della terra, e da alto mare paiono azzurre, perché tu vedi nelle onde l’aria azzurra da tali onde specchiata.

234. Della natura de’ paragoni.

I vestimenti neri fanno parer le carni de’ simulacri umani piú bianche che non sono, e i vestimenti bianchi fanno parere le carni oscure, ed i vestimenti gialli le fanno parere colorite, e le vesti rosse le dimostrano pallide.

235. Del colore dell’ombra di qualunque corpo.

Mai il colore dell’ombra di qualunque corpo non sarà vera né propria ombra, se l’obietto ch’essa adombra non è del colore del corpo da esso ombrato. Diremo, per esempio, che io abbia un’abitazione della quale le pareti sieno verdi; dico: se in tal luogo sarà veduto l’azzurro, il quale sia illuminato dalla chiarezza dell’azzurro dell’aria, allora tal parete illuminata sarà di bellissimo azzurro, e l’ombra sarà brutta, e non vera ombra di tal bellezza d’azzurro, perché si corrompe per il verde che in lui riverbera; e peggio sarebbe se tal parete fosse di tanè.

236. Della prospettiva de’ colori ne’ luoghi oscuri.

Ne’ luoghi luminosi uniformemente difformi insino alle tenebre, quel colore sarà piú oscuro, che da esso occhio sarà piú remoto.

237. Prospettiva de’ colori.

I primi colori debbono esser semplici, ed i gradi della loro diminuzione insieme con i gradi delle distanze si debbono convenire, cioè che le grandezze delle cose parteciperanno piú della natura del punto, quanto esse gli saran piú vicine, ed i colori han tanto piú a partecipare del colore del suo orizzonte, quanto essi a quello son piú propinqui.

238. De’ colori.

Il colore che si trova infra la parte ombrosa e l’illuminata de’ corpi ombrosi sarà di minor bellezza che quello che sarà interamente illuminato; adunque la prima bellezza de’ colori sarà ne’ principali lumi.

239. Da che nasce l’azzurro dell’aria.

L’azzurro dell’aria nasce dalla grossezza del corpo dell’aria illuminata, interposta fra le tenebre superiori e la terra. L’aria per sé non ha qualità d’odore, o di sapore, o di colore, ma in sé piglia le similitudini delle cose che dopo essa sono collocate, e tanto sarà di piú bell’azzurro quanto dietro ad essa saranno maggiori tenebre, non essendo essa di troppo spazio, né di troppa grossezza d’umidità; e vedesi ne’ monti che hanno piú ombre esser piú bell’azzurro nelle lunghe distanze, e così dove è piú illuminato, mostrare piú il colore del monte che dell’azzurro appiccatogli dall’aria che infra lui e l’occhio s’interpone.

240. De’ colori.

Infra i colori che non sono azzurri, quello in lunga distanza parteciperà piú d’azzurro, il quale sarà piú vicino al nero, e così di converso si manterrà per lunga distanza nel suo proprio colore quello il quale sarà piú dissimile al detto nero. Adunque il verde delle campagne si trasmuterà piú nell’azzurro che non fa il giallo o il bianco; e cosí di converso il giallo e il bianco si trasmuteranno meno che il verde ed il rosso.

241. De’ colori.

I colori posti nelle ombre parteciperanno tanto piú o meno della loro natural bellezza, quanto essi saranno in maggiore o minore oscurità. Ma se i colori saranno situati in spazio luminoso, allora essi si mostreranno di tanto maggior bellezza quanto il luminoso sarà di maggior splendore. – Avversario: Tante sono le varietà de’ colori delle ombre, quante sono le varietà de’ colori delle cose adombrate. – Risposta: I colori posti nelle ombre mostreranno infra loro tanto minor varietà quanto le ombre che vi sono situate saranno piú oscure, e di questo ne son testimoni quelli che dalle piazze guardano dentro le porte de’ tempî ombrosi, dove le pitture vestite di varî colori appariscono tuttora vestite di tenebre.

242. De’ campi delle figure de’ corpi dipinti.

Il campo che circonda le figure di qualunque cosa dipinta deve essere piú oscuro che la parte illuminata d’esse figure, e piú chiaro che la loro parte ombrosa.

243. Perché il bianco non è colore.

Il bianco non è colore, ma è in potenza ricettiva d’ogni colore. Quando esso è in campagna alta, tutte le sue ombre sono azzurre, e questo nasce per la quarta, che dice: la superficie d’ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque tal bianco essendo privato del lume del sole per interposizione di qualche obietto inframmesso fra il sole ed esso bianco, resta tutto il bianco, che vede il sole e l’aria partecipante del colore del sole e dell’aria, e quella parte che non è veduta dal sole (Nel codice: “che non è del sole.”) resta ombrosa partecipante del colore dell’aria; e se tal bianco non vedesse la verdura della campagna insino all’orizzonte, né ancora vedesse la bianchezza di tale orizzonte, senza dubbio esso bianco parrebbe essere del semplice colore del quale si mostra essere l’aria.

244. De’ colori.

Il lume del fuoco tinge ogni cosa in giallo; ma questo non apparirà esser vero, se non al paragone di cose illuminate dall’aria; e questo paragone si potrà vedere vicino al fine della giornata, o sí veramente dopo l’aurora, ed ancora dove, in una stanza oscura, dia sopra l’obietto uno spiracolo d’aria, ed ancora uno spiracolo di lume di candela, ed in tal luogo certamente saran vedute chiare e spedite le loro differenze. Ma senza tal paragone mai non sarà conosciuta la lor differenza, salvo ne’ colori che han piú similitudine, ma saran conosciuti, come bianco da giallo chiaro, verde dall’azzurro; perché, galleggiando il lume che illumina l’azzurro, è come mischiare insieme azzurro e giallo, i quali compongono un bel verde; e se mischi poi giallo con verde, esso si fa piú bello.

245. De’ colori de’ lumi incidenti e riflessi.

Quando due lumi mettono in mezzo a sé il corpo ombroso, non possono variarsi se non in due modi, cioè, o essi saranno d’egual potenza, o saranno ineguali, cioè parlando de’ lumi infra loro: e se saranno eguali, essi potranno variare in due altri modi il loro splendore sopra l’obietto, cioè con eguale splendore, o con disuguale: eguale sarà quando saranno in eguale distanza; disuguali nelle disuguali distanze. In eguale distanza si varieranno in due altri modi, cioè meno sarà l’obietto illuminato da eguali lumi in splendore, ed in distanza i lumi eguali in potenza ed eguali in distanza dall’obietto opposito. L’obietto situato con egual distanza fra due lumi, cioè eguali in colore ed in splendore, può essere illuminato da essi lumi in due modi, o egualmente d’ogni parte, o disugualmente. Egualmente sarà da essi lumi illuminato, quando lo spazio che resta intorno ai due lumi sarà d’egual colore e oscurità o chiarezza; disuguale sarà, quando essi spazi intorno ai due lumi saranno varî in oscurità.disegno Leonardo

246. De’ colori delle ombre.

Spesse volte accade le ombre ne’ corpi ombrosi non esser compagne de’ colori ne’ lumi, o saran verdeggianti le ombre, ed i lumi rosseggianti, ancoraché il corpo sia di colore eguale. Questo accade che il lume verrà da oriente sopra l’obietto, ed illuminerà l’obietto del colore del suo splendore, e da occidente sarà un altro obietto del medesimo lume illuminato, il quale sarà d’altro colore che il primo obietto, onde con i suoi raggi riflessi risalta verso levante e percuote con i suoi raggi nella parte del primo obietto a lui volta e gli si tagliano i suoi raggi e rimangono fermi insieme con il loro colore e splendore. Io ho spesse volte veduto a un obietto bianco i lumi rossi e le ombre azzurreggianti; e questo accade nelle montagne di neve, quando il sole tramonta e l’orizzonte si mostra infuocato.

247. Delle cose poste in campo chiaro, e perché tal uso è utile in pittura.

disegno LeonardoQuando il corpo ombroso terminerà in campo di color chiaro e illuminato, allora per necessità parrà spiccato e remoto da esso campo. Quel che è detto accade perché i corpi di curva superficie per necessità si fanno ombrosi nella parte opposita donde non sono percossi dai raggi luminosi, per esser tal luogo privato di tali raggi; per la qual cosa molto si varia dal campo; e la parte d’esso corpo illuminata non termina mai in esso campo illuminato con la sua prima chiarezza, anzi, fra il campo ed il primo lume del corpo s’interpone un termine del corpo, che è piú oscuro, del campo, o del lume del corpo rispettivo.

248. De’ campi.

De’ campi delle figure, cioè la chiara nell’oscuro, e l’oscura nel campo chiaro, del bianco col nero, o nero col bianco, pare piú potente l’uno per l’altro, e cosí i contrari l’uno per l’altro si mostrano sempre piú potenti.

249. De’ colori.

I colori che si convengono insieme sono il verde col rosso, o paonazzo, o biffa, e il giallo coll’azzurro.

250. De’ colori che risultano dalla mistione d’altri colori, i quali si dimandano specie seconda.

I semplici colori sono sei, de’ quali il primo è bianco, benché alcuni filosofi non accettino né il bianco né il nero nel numero de’ colori, perché l’uno è causa de’ colori, l’altro ne è privazione. Ma pure, perché il pittore non può far senza questi, noi li metteremo nel numero degli altri, e diremo il bianco in quest’ordine essere il primo ne’ semplici, il giallo il secondo, il verde il terzo, l’azzurro il quarto, il rosso il quinto, il nero il sesto; ed il bianco metteremo per la luce senza la quale nessun colore veder si può, ed il giallo per la terra, il verde per l’acqua, l’azzurro per l’aria, ed il rosso per il fuoco, ed il nero per le tenebre, che stan sopra l’elemento del fuoco, perché non v’è materia o grossezza dove i raggi del sole abbiano a percuotere, e per conseguenza illuminare. Se vuoi con brevità vedere le varietà di tutti i colori composti, prendi de’ vetri coloriti e per quelli guarda tutti i colori della campagna che dopo quelli si veggono, e così vedrai tutti i colori delle cose che dopo tal vetro si veggono, essere tutte miste col colore del predetto vetro, e vedrai qual sia il colore che con tal mistione s’acconci o guasti. Come: sia il predetto vetro di color giallo; dico che le specie degli obietti che per tal colore passano all’occhio possono così peggiorare come migliorare: e questo peggioramento in tal colore di vetro accadrà all’azzurro, al nero e al bianco sopra tutti gli altri, ed il miglioramento accadrà nel giallo e verde sopra tutti gli altri; e così andrai scorrendo con l’occhio le mistioni de’ colori, le quali sono infinite, ed a questo modo farai elezione di nuove invenzioni di colori misti e composti; ed il medesimo si farà con due vetri di varî colori anteposti all’occhio, e così per te potrai seguitare.

251. De’ colori.

L’azzurro ed il verde non è per sé semplice, perché l’azzurro è composto di luce e di tenebre, come è quello dell’aria, cioè nero perfettissimo e bianco candidissimo. Il verde è composto d’un semplice e d’un composto, cioè si compone d’azzurro e di giallo.

252. De’ colori specchiati sopra cose lustre di varî colori.

Sempre la cosa specchiata partecipa del colore del corpo che la specchia. Lo specchio si tinge in parte del colore da esso specchiato, e partecipa tanto piú l’uno dell’altro, quanto la cosa che si specchia è piú o meno potente che il colore dello specchio. E quella cosa parrà di piú potente colore nello specchio, che piú partecipa del colore d’esso specchio.

253. De’ colori del corpo.

Infra i colori del corpo quello sarà veduto in maggior distanza, che sarà di piú splendida bianchezza. Adunque si vedrà in minor longinquità quello che sarà di maggiore oscurità. Infra i corpi di egual bianchezza e distanza dall’occhio, quello si dimostrerà piú candido, che è circondato da maggiore oscurità: e per contrario quell’oscurità si dimostrerà piú tenebrosa, che sarà veduta in piú candida bianchezza.

254. De’ colori.

De’ colori di egual perfezione, quello si dimostrerà di maggior eccellenza che sarà veduto in compagnia del color retto contrario. Retto contrario è il pallido col rosso e il nero col bianco, benché né l’uno né l’altro sia colore; azzurro e giallo come oro, verde e rosso. Ogni colore si conosce meglio nel suo contrario che nel suo simile, come l’oscuro nel chiaro e il chiaro nell’oscuro.
Il bianco che termina con l’oscuro fa che in essi termini l’oscuro pare piú nero ed il bianco pare piú candido.
Quella cosa che sarà veduta in aria oscura e torbida essendo bianca parrà di maggior forma che non è. Questo accade perché, come ho detto di sopra, la cosa chiara cresce nel campo oscuro, per le ragioni dianzi assegnate.
Il mezzo che è fra l’occhio e la cosa vista trasmuta essa cosa nel suo colore, come: l’aria azzurra farà che le montagne lontane saranno azzurre; il vetro rosso fa che ciò che l’occhio vede dopo di esso pare rosso; il lume che fanno le stelle intorno ad esse è occupato per la tenebrosità della notte, che si trova infra l’occhio e l’illuminazione d’esse stelle.

255. Del vero colore.

Il vero colore di qualunque corpo si dimostrerà in quella parte che non sarà occupata da alcuna qualità d’ombra, né da lustro, se sarà un corpo pulito.

256. Del colore delle montagne.

Quella montagna distante dall’occhio si dimostrerà di piú bell’azzurro, che sarà da sé piú oscura; e quella sarà piú oscura, che sarà piú alta e piú boschereccia, perché tali boschi mostrano i loro arbusti dalla parte di sotto per essere forte alti, e la parte di sotto è scura perché non vede il cielo.
Ancora le piante selvatiche de’ boschi sono in sé piú oscure che le domestiche; molto piú oscure sono le quercie, faggi, abeti, cipressi e pini, che non sono gli alberi d’ulivi ed altri frutti. Quella lucidità che s’interpone infra l’occhio ed il nero, che sarà piú sottile nella gran sua cima, farà esso nero di piú bell’azzurro, e cosí di converso; e quella pianta manco pare di dividersi dal suo campo, che termina con un campo di colore piú simile al suo, e cosí di converso. Quella parte del bianco parrà piú candida, che sarà piú presso al confine del nero, e cosí parranno meno bianche quelle che piú saranno remote da esso scuro; e quella parte del nero parrà piú oscura, che sarà piú vicina al bianco, e cosí parrà manco oscura quella che sarà piú remota da esso bianco.

257. Come il pittore deve mettere in pratica la prospettiva de’ colori.

A voler mettere in pratica questa prospettiva del variare, perdere, ovvero diminuire la propria essenza de’ colori, piglierai di cento in cento braccia cose poste infra la campagna, come sono alberi, case, uomini e siti, ed in quanto al primo albero, avrai un vetro fermo bene e cosí sia fermo l’occhio tuo; ed in detto vetro disegna un albero sopra la forma di quello; di poi scostalo tanto per traverso che l’albero naturale confini quasi col tuo disegnato; poi colorisci il tuo disegno in modo che per colore e forma stia a paragone l’uno dell’altro, o che tutti due, chiudendo un occhio, paiano dipinti, e detto vetro sia d’una medesima distanza; e questa regola medesima fa degli alberi secondi e de’ terzi di cento in cento braccia, di mano in mano; e questi ti servono come tuoi adiutori e maestri sempre, operando nelle tue opere, dove appartengono, e faranno bene sfuggir l’opera. Ma io trovo per regola che il secondo diminuisce quattro quinti dal primo quando fosse lontano venti braccia dal primo.

258. Della prospettiva aerea.

disegno LeonardoEvvi un’altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperocché per la varietà dell’aria si possono conoscere le diverse distanze di varî edifici terminati ne’ loro nascimenti da una sola linea, come sarebbe il veder molti edifici di là da un muro che tutti appariscono sopra l’estremità di detto muro d’una medesima grandezza, e che tu volessi in pittura far parer piú lontano l’uno che l’altro; è da figurarsi un’aria un poco grossa. Tu sai che in simil aria le ultime cose vedute in quella, come son le montagne, per la gran quantità dell’aria che si trova infra l’occhio tuo e dette montagne, queste paiono azzurre, quasi del color dell’aria, quando il sole è per levante. Adunque farai sopra il detto muro il primo edificio del suo colore; il piú lontano fàllo meno profilato e piú azzurro, e quello che tu vuoi che sia piú in là altrettanto, fàllo altrettanto piú azzurro; e quello che tu vuoi che sia cinque volte piú lontano, fàllo cinque volte piú azzurro; e questa regola farà che gli edifici che sono sopra una linea parranno d’una medesima grandezza, e chiaramente si conoscerà quale è piú distante e quale è maggiore dell’altro.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

Primo volume
PARTE TERZA

DE’ VARI ACCIDENTI E MOVIMENTI DELL’UOMO E PROPORZIONE DI MEMBRA.
Capitoli da 259 a 330

259. Delle mutazioni delle misure dell’uomo pel movimento delle membra a diversi aspetti.

Variansi le misure dell’uomo in ciascun membro, piegando quelli piú o meno, ed a diversi aspetti, diminuendoli o crescendoli tanto piú o meno da una parte, quanto gli crescono o diminuiscono dal lato opposito.

260. Delle mutazioni delle misure dell’uomo dal nascimento al suo ultimo crescimento.

L’uomo nella sua prima infanzia ha la larghezza delle spalle eguale alla lunghezza del viso, ed allo spazio che è dalle spalle alle gomita, essendo spiegato il braccio ed è simile allo spazio che è dal dito grosso della mano al detto gomito piegato, ed è simile allo spazio che è dal nascimento della verga al mezzo del ginocchio, ed è simile allo spazio che è da essa giuntura del ginocchio alla giuntura del piede. Ma quando l’uomo è pervenuto all’ultima sua altezza, ogni predetto spazio raddoppia la lunghezza sua, eccetto la lunghezza del viso, la quale, insieme con la grandezza di tutto il capo, fa poca varietà; e per questo l’uomo che ha finito la sua grandezza, il quale sia bene proporzionato, è dieci de’ suoi volti, e la larghezza delle spalle è due d’essi volti: e cosí tutte le altre lunghezze sopradette son due d’essi volti; ed il resto si dirà nell’universale misura dell’uomo.

261. Come i puttini hanno le giunture contrarie agli uomini nelle loro grossezze.

I putti piccoli hanno tutti le giunture sottili, e gli spazi posti fra l’una e l’altra sono grossi; e questo accade perché la pelle sopra le giunture e sola senz’altra polpa che di natura di nervo, che cinge e lega insieme le ossa, e la carnosità umorosa si trova fra l’una e l’altra giuntura inclusa fra la pelle e l’osso; ma perché le ossa sono piú grosse nelle giunture che fra le giunture, la carne, nel crescere dell’uomo, viene a lasciare quella superfluità che stava fra la pelle e l’osso, onde la pelle s’accosta piú all’osso, e viene ad assottigliare le membra; sopra le giunture non v’essendo che la cartilaginosa e nervosa pelle, non può disseccare, e non disseccando, non diminuisce; per queste ragioni i puttini sono sottili nelle giunture, e grossi fra le giunture stesse, come si vede le giunture delle dita, braccia e spalle sottili, e con cavi fusi; (Nell’ edizione romana, 1817: “son detti composti quegli che una sola figura ti dimostra, come s’ella si vedrà con le gambe dinanzi,” ecc.) e gli uomini per lo contrario esser grossi in tutte le giunture, dita, braccia e gambe; e dove i puttini hanno in cavo, essi aver di rilievo.

262. Delle differenti misure che v’hanno fra i putti e gli uomini.

Fra gli uomini ed i puttini trovo gran differenza di lunghezze dall’una all’altra giuntura, imperocché l’uomo ha dalla giuntura della spalla al gomito, e dal gomito alla punta del dito grosso, e da un omero della spalla all’altra due teste per pezzo, ed il putto ne ha una, perché la natura compone prima la grandezza della casa dell’intelletto, che quella degli spiriti vitali.

263. Delle giunture delle dita.

Le dita della mano ingrossano le loro giunture per tutti i loro aspetti quando si piegano, e tanto piú s’ingrossano quanto piú si piegano, e cosí diminuiscono quanto piú le dita si addrizzano; il simile accade delle dita de’ piedi, e tanto piú si varieranno quanto esse saranno piú carnose.

264. Delle giunture delle spalle, e loro accrescimenti e diminuzioni.

Delle giunture delle spalle, e delle altre membra piegabili si dirà nel suo luogo nel Trattato della notomia, dove si mostrano le cause de’ moti di tutte le parti di che si compone l’uomo.<

265. Delle spalle.

Sono i moti semplici principali del piegamento fatto dalla giuntura della spalla, cioè quando il braccio a quella appiccato si move in alto o in basso, o in avanti o indietro, benché si potrebbe dire tali moti essere infiniti, perché se si volterà la spalla a una parete di muro, e si segnerà col suo braccio una figura circolare, si sarà fatto tutti i moti che sono in essa spalla; perché ogni quantità continua è divisibile in infinito, e tal cerchio è quantità continua fatta dal moto del braccio; il qual moto non produce quantità continua, se essa continuazione non la conduce. Adunque il moto d’esso braccio è stato per tutte le parti del cerchio; ed essendo il cerchio divisibile in infinito, infinite sono state le varietà della spalla.

266. Delle misure universali de’ corpi.

Dico che le misure universali de’ corpi si debbono osservare nelle lunghezze delle figure, e non nelle grossezze, perché delle laudabili e maravigliose cose che appariscono nelle opere della natura, è che nessuna sua opera, in qualunque specie per sé, l’un particolare con precisione si somiglia all’altro. Adunque tu, imitatore di tal natura, guarda ed attendi alla varietà de’ lineamenti. Piacemi bene che tu fugga le cose mostruose, come di gambe lunghe, busti corti, petti stretti e braccia lunghe; piglia dunque le misure delle giunture e le grossezze in che forte varia essa natura, e variale ancora tu. E se tu pure vorrai sopra una medesima misura fare le tue figure, sappi che non sidisegno Leonardo conosceranno l’una dall’altra, il che non si vede nella natura.

267. Delle misure del corpo umano e piegamenti di membra.

Necessità costringe il pittore ad aver notizia degli ossi sostenitori e dell’armatura della carne che sopra essi si posa, e delle giunture che accrescono e diminuiscono ne’ loro piegamenti; per la qual cosa la misura del braccio disteso non confà con la misura del braccio piegato c. Cresce il braccio e diminuisce infra la varietà dell’ultima sua estensione e piegamento l’ottava parte della sua lunghezza. L’accrescimento e l’accortamento del braccio viene dall’osso che avanza fuori della giuntura del braccio, il quale, come vedi nella figura ab, fa lungo tratto dalla spalla al gomito, essendo l’angolo d’esso gomito minore che retto; e tanto piú cresce quanto tal angolo diminuisce, e tanto piú diminuisce quanto il predetto angolo si fa maggiore. Tanto piú cresce lo spazio dalla spalla al gomito quanto l’angolo della piegatura d’esso gomito si fa minore che retto, e tanto piú diminuisce quanto esso è maggiore che retto.

268. Della proporzionalità delle membra.

Tutte le parti di qualunque animale sieno corrispondenti al suo tutto, cioè che quel che è corto e grosso debba avere ogni membro in sé corto e grosso, e quello che è lungo e sottile abbia le membra lunghe e sottili, ed il mediocre abbia le membra della medesima mediocrità; ed il medesimo intendo aver detto delle piante, le quali non sieno storpiate dall’uomo o dai venti, perché queste rimettono gioventù sopra vecchiezza, e cosí è distrutta la loro naturale proporzionalità.

269. Della giuntura della mano col braccio.

La giuntura del braccio con la mano diminuisce nello stringere della mano, ed ingrossa quando la mano si viene ad aprire; il contrario fa il braccio infra il gomito e la mano per tutti i suoi versi; e questo nasce che nell’aprir la mano i muscoli domestici si distendono, ed assottigliano il braccio infra il gomito e la mano, e quando la mano si stringe, i muscoli domestici e silvestri si ritirano ed ingrossano, ma i silvestri soli si discostano dall’osso, per esser tirati dal piegar della mano.

270. Delle giunture de’ piedi, e loro ingrossamenti e diminuzioni.

disegno Leonardo
Solo la diminuzione ed accrescimento della giuntura del piede è fatta nell’aspetto della sua parte silvestre def, la quale cresce quando l’angolo di tal giuntura si fa piú acuto, e tanto diminuisce quanto esso si fa piú ottuso, cioè dalla giuntura dinanzi acb, si parla.

271. Delle membra che diminuiscono quando si piegano, e crescono quando si distendono.

Infra le membra che hanno giunture piegabili, solo il ginocchio è quello che nel piegarsi diminuisce la sua grossezza, e nel distendersi ingrossa.

272. Delle membra che ingrossano nelle loro giunture quando si piegano.

Tutte le membra dell’uomo ingrossano ne’ piegamenti delle loro giunture, eccetto la giuntura della gamba.

273. Delle membra degli uomini ignudi.

Fra le membra degli uomini ignudi che s’affaticano in diverse azioni, scoprano i loro muscoli quelle sole che sostengono la maggior fatica dell’operazione, e le altre sieno piú o meno pronunziate ne’ loro muscoli, secondo che piú o meno s’affaticano.disegno Leonardo

274. De’ moti potenti delle membra dell’uomo.

Quel braccio sarà di piú potente e piú lungo moto, il quale, essendosi mosso dal suo naturale sito, avrà piú potente aderenza degli altri membri a ritirarlo nel sito dove esso desidera moversi. Come l’uomo a che muove il braccio col tratto c, e lo porta in contrario sito col moversi con tutta la persona in b.

275. De’ movimenti dell’uomo.

La somma e principal parte dell’arte è l’invenzione de’ componimenti di qualunque cosa; e la seconda parte è de’ movimenti che abbiano attenenza alle loro operazioni, le quali sieno fatte con prontitudine, secondo i gradi de’ loro operatori, cosí in pigrizia, come in disegno Leonardosollecitudine; e che la prontitudine di ferocità sia della somma qualità che si richiede all’operatore di quella. Come quando uno debba gittar dardi, o sassi, od altre simili cose, che la figura dimostri sua somma disposizione in tale azione, della quale qui sono due figure in azione ed in potenza; la prima in valetudine è la figura a, la seconda è il movimento b; ma l’a rimoverà piú da sé la cosa gittata che la b, perché, ancoraché l’una e l’altra mostrino di voler trarre il loro peso ad un medesimo aspetto, l’a avendo volto i piedi ad esso aspetto quando si torce, e si rimove da quello in contrario sito, dove esso apparecchia la disposizione della potenza, esso ritorna con velocità e comodità al sito dove esso lascia uscire il peso dalle sue mani. Ma in questo medesimo caso la figura b, avendo le punte de’ piedi volte in contrario sito al luogo dove essa vuol trarre il suo peso, si storce ad esso luogo con grande incomodità, e per conseguenza l’effetto è debole, ed il moto partecipa della sua causa, perché l’apparecchio della forza in ciascun movimento vuol essere con istorcimenti e piegamenti di gran violenza, ed il ritorno sia con agio e comodità, e cosí l’operazione ha buon effetto; perché il balestro che non ha disposizione violenta, il moto del mobile da lui rimosso sarà breve, o nullo; perché dove non è disfazione di violenza non è moto, e dove non è violenza, essa non può essere distrutta; e per questo l’arco che non ha violenza non può far moto se non acquista essa violenza, e nell’acquistarla non la caccia da sé. Così l’uomo che non si torce né si piega non ha acquistato potenza. Adunque, quando avrà tratto il suo dardo, si troverà essere storto e debole per quel verso dove esso ha tratto il mobile, ed acquistato una potenza, la quale sol vale a tornare in contrario moto.

276. Dell’attitudine e de’ movimenti delle membra.

Non sieno replicati i medesimi movimenti in una medesima figura nelle sue membra, o mani, o dita: né ancora si replichino le medesime attitudini in una istoria; e se l’istoria fosse grandissima, come una zuffa od uccisione di soldati, dove non è nel dare se non tre modi, cioè una punta, un rovescio e un fendente, in questo caso tu ti hai ad ingegnare che tutti i fendenti sieno fatti in varie vedute, come dire alcuno sia volto indietro, alcuno per lato ed alcuno dinanzi, e cosí tutti gli altri aspetti de’ medesimi tre movimenti sieno partecipanti di questi tre movimenti semplici; e per questo dimanderemo tutti gli altri partecipanti d’uno di questi. ( L’ edizione viennese aggiunge: “moti semplici.”) Ma i moti composti sono nelle battaglie di grande artificio e di grande vivacità e movimento; e sono detti composti quelli che una sola figura ti dimostra le gambe dinanzi, (Nell’ edizione romana, 1817: “son detti composti quegli che una sola figura ti dimostra, come s’ella si vedrà con le gambe dinanzi,” ecc.)> e parte del profilo della spalla. E di questi composti si dirà in altro luogo.

277. Delle giunture delle membra.

Delle giunture delle membra e varietà delle loro piegature è da considerare com’è il crescere della carne da un lato e mancare dall’altro; e questo s’ha da ricercare nel collo degli animali, perché i loro moti sono di tre nature, delle quali due ne sono semplici ed uno composto, che partecipa dell’uno e dell’altro semplice; de’ quali moti semplici l’uno è quando si piega all’una o all’altra spalla, o quando esso alza o abbassa la testa che sopra gli posa. Il secondo è quando esso collo si torce a destra o a sinistra senza incurvamento, anzi resta dritto, ma avrà il volto inverso una delle spalle. Il terzo moto, che è detto composto, è quando nel piegamento suo si aggiunge il suo torcimento, come quando l’orecchio s’inchina inverso una delle spalle, e il viso si volta inverso la medesima parte, o alla spalla opposita col viso volto al cielo.

278. Della membrificazione dell’uomo.

Misura in te la proporzione della tua membrificazione, e se la trovi in alcuna parte discordante, notala, e forte ti guarderai di non l’usare nelle figure che per te si compongono, perché questo è comun vizio de’ pittori di far cose simili a sé.

279. De’ membri.

Tutt’i membri esercitino quell’ufficio al quale furono destinati. Ne’ morti o dormienti nessun membro apparisca vivo o desto. Il piede, che riceve il peso dell’uomo, sia schiacciato e non con dita scherzanti, se già non posasse sopra il calcagno.

280. Delle membrificazioni degli animali.

Sian fatte le membra agli animali convenienti alle loro qualità. Dico che tu non ritragga una gamba di un gentile, o braccio, o altre membra; e le appicchi ad uno grosso di petto o di collo. E che tu non mischi membra di giovani con quelle di vecchi; e non membra prosperose e muscolose con le gentili e fievoli, e non quelle de’ maschi con quelle delle femmine.

281. De’ moti delle parti del volto.

I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali, sono molti; de’ quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare in diverse voci acute e gravi: ammirazione, ira, letizia, malinconia, paura, doglia di martirio e simili, delle quali si farà menzione. E prima del riso e del pianto, che sono molto simili nella bocca e nelle guancie e serramento d’occhi, ma solo si variano nelle ciglia e loro intervallo; e questo tutto diremo al suo luogo, cioè delle varietà che piglia il volto, le mani e tutta la persona per ciascuno d’essi accidenti de’ quali a te, pittore, è necessaria la cognizione, se no la tua arte dimostrerà veramente i corpi due volte morti. Ed ancora ti ricordo che i movimenti non sieno tanto sbalestrati e tanto mossi, che la pace paia battaglia o moresca d’ubriachi, e sopratutto che i circostanti al caso per il quale è fatta la storia sieno intenti a esso caso con atti che mostrino ammirazione, riverenza, dolore, sospetto, paura o gaudio, secondo che richiede il caso per il quale è fatto il congiunto, o vero concorso delle tue figure. E fa che le tue istorie non sieno l’una sopra l’altra in una medesima parete con diversi orizzonti, sicché essa paia una bottega di merciaio con le sue cassette fatte a quadretti.

282. De’ movimenti dell’uomo nel volto.

Gli accidenti mentali muovono il volto dell’uomo in diversi modi, de’ quali alcuno ride, alcuno piange, altri si rallegra, altri s’attrista, alcuno mostra ira, altri pietà, alcuno si maraviglia, altri si spaventano, altri si dimostrano balordi, altri cogitativi e speculanti. E questi tali accidenti debbono accompagnare le mani col volto, e cosí la persona.

283. Qualità d’arie de’ visi.

Fa che i visi non sieno di una medesima aria, come ne’ piú si vede operare; ma fa diverse arie, secondo le età e complessioni, e nature triste o buone.

284. De’ membri e descrizione d’effigie.

disegno LeonardoLe parti che mettono in mezzo il gobbo del naso si variano in otto modi: 1° cioè o esse sono egualmente dritte, o egualmente concave, o egualmente convesse; 2° ovvero sono disugualmente rette, concave e convesse; 3° ovvero sono nelle parti superiori rette e di sotto concave; 4° ovvero di sopra rette e di sotto convesse; 5° ovvero di sopra concave e di sotto rette; 6° o di sopra concave e di sotto convesse; 7° o di sopra convesse e di sotto rette; 8° o di sopra convesse e di sotto concave. L’appiccatura del naso col ciglio è di due ragioni, cioè, o che essa è concava, o che essa è dritta. La fronte ha tre varietà, o ch’essa è piana, o ch’essa è concava, o ch’essa colma; la piana si divide in due parti, cioè, o ch’essa è convessa nella parte di sopra, o nella parte di sotto, ovvero di sopra e di sotto, ovvero piana di sopra e di sotto.
disegno Leonardo

285. Del fare un’effigie umana in profilo dopo averlo guardato una sola volta.

In questo caso ti bisogna mettere a mente le varietà de’ quattro membri diversi in profilo, come sarebbe naso, bocca, mento e fronte. Diremo prima de’ nasi, i quali sono di tre sorta, cioè dritti, concavi e convessi. De’ dritti non ve n’è altro che quattro varietà, cioè lunghi, corti, alti con la punta, e bassi. I nasi concavi sono di tre sorta, de’ quali alcuni hanno la concavità nella parte superiore, alcuni nel mezzo ed alcuni nella parte inferiore. I nasi convessi ancora si variano in tre modi, cioè alcuni hanno il gobbo nella parte di sopra, alcuni nel mezzo ed altri di sotto; gli sporti che mettono in mezzo il gobbo del naso si variano in tre modi, cioè o sono dritti, o sono concavi, o sono convessi.

286. Modo di tener a mente la forma d’un volto.

Se tu vuoi avere facilità nel tenerti a mente un’aria d’un volto, impara prima a mente di molte teste, occhi, nasi, bocche, menti, gole, colli e spalle. Poniamo caso, i nasi sono di dieci ragioni: dritto, gobbo, cavo, col rilievo piú su o piú giù, che il mezzo, aquilino, pari, simo, tondo ed acuto: questi sono buoni in quanto al profilo. In faccia i nasi sono di undici ragioni: eguale, grosso in mezzo, sottile in mezzo, la punta grossa e sottile nell’appiccatura, sottile nella punta e grosso nell’appiccatura, di larghe narici e di strette, di alte e di basse, di buchi scoperti e di buchi occupati dalla punta. E cosí troverai diversità nelle altre particole, le quali cose tu dêi ritrarre di naturale e metterle a mente; ovvero, quando hai a fare un volto a mente, porta teco un piccolo libretto dove sieno notate simili fazioni, e quando hai dato un’occhiata al volto della persona che vuoi ritrarre, guarderai poi in parte qual naso o bocca se gli assomigli, e gli farai un piccol segno per riconoscerlo poi a casa e metterlo insieme. De’ visi mostruosi non parlo, perché senza fatica si tengono a mente.

287. Della bellezza de’ volti.

Non si facciano muscoli con aspra definizione, ma i dolci lumi finiscano insensibilmente nelle piacevoli e dilettevoli ombre, e di questo nasce grazia e formosità.

288. Di fisonomia e chiromanzia.

Della fallace fisonomia e chiromanzia non mi estenderò, perché in esse non è verità; e questo si manifesta perché tali chimere non hanno fondamenti scientifici. Vero è che i segni de’ volti mostrano in parte la natura degli uomini, i loro vizi e complessioni; ma nel volto i segni che separano le guancie dai labbri della bocca, e le nari del naso e le casse degli occhi sono evidenti, se sono uomini allegri e spesso ridenti; e quelli che poco li segnano sono uomini operatori della cogitazione; e quelli che hanno le parti del viso di gran rilievo e profondità sono uomini bestiali ed iracondi, con poca ragione; e quelli che hanno le linee interposte infra le ciglia forte evidenti sono iracondi, e quelli che hanno le linee trasversali della fronte forte lineate sono uomini copiosi di lamentazioni occulte e palesi. E cosí si può dire di molte parti. Ma della mano tu troverai grandissimi eserciti esser morti in una medesima ora di coltello, che nessun segno della mano è simile l’uno all’altro, e cosí in un naufragio.

289. Del porre le membra.

Le membra che durano fatica le farai muscolose, e quelle che non s’adoprano le farai senza muscoli e dolci.

290. Degli atti delle figure.

Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile.

291. Dell’attitudine.

La fontanella della gola cade sopra il piede, e gittando un braccio innanzi, la fontanella esce d’esso piede; e se la gamba gitta indietro, la fontanella va innanzi, e cosí si muta in ogni attitudine.

292. De’ movimenti delle membra, quando si figura l’uomo, che sieno atti propri.

Quella figura, il movimento della quale non è compagno dell’accidente ch’è finto essere nella mente di essa, mostra le membra non essere obbedienti al giudizio della detta figura, e il giudizio dell’operatore essere di poca valetudine.

293. Ogni moto della figura finta dev’essere fatto in modo che mostri effetto.

Quel movimento ch’è finto essere appropriato all’accidente mentale, ch’è nella figura, dev’esser fatto di gran prontitudine, e che mostri in essa grande affezione e fervore; altrimenti tal figura sarà detta due volte morta, com’è morta perché essa è finta, e morta un’altra volta quando essa non dimostra moto né di mente né di corpo.

294. De’ moti propri dimostratori del moto della mente del motore.

I moti ed attitudini delle figure vogliono dimostrare il proprio accidente mentale dell’operatore di tali moti in modo che nessun’altra cosa possano significare.

295. De’ moti propri operati da uomini di diverse età.

I moti propri saranno di tanto maggiore o minor prontitudine e dignità, secondo l’età, prosperità o dignità dell’operatore di tal moto; cioè i moti di un vecchio o quelli di un fanciullo non saranno pronti come quelli di un garzone fatto, ed ancora i moti di un re od altra dignità devono essere di maggiore gravità e reverenza, che quelli di un facchino od altro vil uomo.

296. De’ movimenti dell’uomo e d’altri animali.

I movimenti dell’uomo sopra un medesimo accidente sono infinitamente varî in se medesimi.
Provasi cosí: sia che uno dia una percussione sopra qualche obietto; dico che tale percussione è in due disposizioni, cioè, o ch’egli è in alzare la cosa, che deve discendere alla creazione della percussione, o ch’egli è nel moto, che discende. O sia l’uno, o sia l’altro modo, qui non si negherà che il moto non sia fatto in ispazio, e che lo spazio non sia quantità continua, e che ogni quantità continua non sia divisibile in infinito. Adunque è concluso: ogni moto della cosa che discende è variabile in infinito.

297. Di un medesimo atto veduto da varî siti.

Una medesima attitudine si dimostrerà variata in infinito, perché da infiniti luoghi può esser veduta; i quali luoghi hanno quantità continua, e la quantità continua è divisibile in infinito. Adunque infinitamente varî siti mostrano ogni azione umana in se medesima.

298. Della membrificazione de’ nudi e loro operazioni.

Le membra degl’ignudi debbono essere piú o meno evidenti negli scoprimenti de’ muscoli, secondo la maggiore o minor fatica de’ detti membri.

299. Degli scoprimenti o coprimenti de’ muscoli di ciascun membro nelle attitudini degli animali.

Ricordo a te, pittore, che ne’ movimenti che tu fingi esser fatti dalle tue figure tu scopra quei muscoli, i quali soli si adoprano nel moto ed azione della tua figura; e quel muscolo che in tal caso è piú adoperato, piú si manifesti, e quello ch’è meno adoperato, meno si spedisca; e quello che nulla adopera, resti lento e molle e con poca dimostrazione. E per questo ti persuado a intendere la notomia de’ muscoli, corde ed ossi, senza la qual notizia poco farai. E se tu ritrarrai di naturale, forse quello che tu eleggi mancherà di buoni muscoli in quell’atto che tu vuoi che faccia; ma sempre non avrai comodità di buoni nudi, né sempre li potrai ritrarre; meglio è per te e piú utile avere in pratica ed a mente tal varietà.

300. De’ movimenti dell’uomo ed altri animali.

I moti degli animali sono di due specie, cioè moto locale e moto azionale. Il moto locale è quando l’animale si muove da luogo a luogo; e il moto azionale è il moto che fa l’animale in se medesimo senza mutazione di luogo. Il moto locale è di tre specie, cioè salire, discendere ed andare per luogo piano. A questi tre se ne aggiungono due, cioè tardo e veloce, e due altri, cioè il moto retto ed il tortuoso, ed un altro appresso, cioè il saltare. Ma il moto azionale è in infinito insieme colle infinite operazioni, le quali non senza suo danno spesse volte si procaccia l’uomo. I moti sono di tre specie, cioè locale, azionale semplice, ed il terzo è moto composto d’azionale col locale.
Tardità e velocità non si debbono connumerare ne’ moti locali, ma negli accidenti di essi moti.
Infiniti sono i moti composti, perché in quelli è ballare, schermire, giuocolare, seminare, arare, remare; ma questo remare è di semplici azionali, perché il moto azionale fatto dall’uomo nel remare non si mischia col locale mediante il moto dell’uomo, ma mediante il moto della barca.

301. Del moto e corso dell’uomo ed altri animali.

Quando l’uomo od altro animale si muove con velocità o tardità, sempre quella parte che è sopra la gamba che sostiene il corpo sarà piú bassa che la parte opposita.

302. Quando è maggior differenza d’altezza delle spalle dell’uomo nelle sue azioni.

Quelle spalle o lati dell’uomo o d’altro animale avranno infra loro maggior differenza nell’altezza, delle quali il loro tutto sarà di piú tardo moto; seguita il contrario, cioè che quelle parti degli animali avranno minor differenza nelle loro altezze, delle quali il loro tutto sarà di piú veloce moto; e questo si prova per la nona del moto locale, dove dice: ogni grave pesa per la linea del suo moto; adunque, movendosi il tutto verso alcun luogo, la parte a quello unita seguita la linea brevissima del moto del suo tutto, senza dar di sé peso nelle parti laterali d’esso tutto.disegno Leonardo

303. Risposta contra.

Dice l’avversario, in quanto alla prima parte di sopra, non esser necessario che l’uomo che sta fermo, o che cammina con tardo moto, usi di continuo la predetta ponderazione delle membra sopra il centro della gravità che sostiene il peso del tutto, perché molte volte l’uomo non usa né osserva tal regola, anzi fa tutto il contrario, conciossiaché alcuna volta esso si piega lateralmente, stando sopra un sol piede, alcuna volta scarica parte del suo peso sopra la gamba che non è retta, cioè quella che si piega nel ginocchio, come si mostra nelle due figure b c. Rispondesi che quel che non è fatto dalle spalle nella figura c è fatto nel fianco, come sarà dimostrato a suo luogo.

304. Come il braccio raccolto muta tutto l’uomo dalla sua prima ponderazione quando esso braccio s’estende.

L’estensione del braccio raccolto muove tutta la ponderazione dell’uomo sopra il suo piede, sostentacolo del tutto, come si mostra in chi va con le braccia aperte sopra la corda senz’altro bastone.

305. Dell’uomo ed altri animali che nel muoversi con tardità non hanno il centro della gravità troppo remoto dal centro de’ sostentacoli.

Quell’animale avrà il centro delle gambe suoi sostentacoli tanto piú vicino al perpendicolo del centro della gravità, il quale sarà di piú tardi movimenti, e cosí di converso, quello avrà il centro de’ sostentacoli piú remoto dal perpendicolo del centro della gravità sua, il quale sarà di piú veloce moto.
disegno Leonardo

306. Dell’uomo che porta un peso sopra le spalle.

Sempre la spalla dell’uomo che sostiene il peso è piú alta che la spalla senza peso; e questo si dimostra nella figura posta in margine, per la quale passa la linea centrale di tutto il peso dell’uomo e del peso da lui portato: il qual peso composto se non fosse diviso con egual somma sopra il centro della gamba che posa, sarebbe necessità che tutto il composto rovinasse; ma la necessità provvede che tanta parte del peso naturale dell’uomo si gitti in un de’ lati, quanta è la quantità del peso accidentale che si aggiunge dall’opposito lato; e questo far non si può se l’uomo non si piega e non s’abbassa dal lato suo piú lieve con tanto piegamento che partecipi del peso accidentale da lui portato: e questo far non si può se la spalla del peso non si alza e la spalla lieve non s’abbassa: questo è il mezzo che l’artificiosa necessità ha trovato in tale azione.

307. Della ponderazione dell’uomo sopra i suoi piedi.

Sempre il peso dell’uomo che posa sopra una sola gamba sarà diviso con egual parte opposita sopra il centro della gravità ch’e’ sostiene.

308. Dell’uomo che si muove.

L’uomo che si muove avrà il centro della sua gravità sopra il centro della gamba che posa in terra.

309. Della bilicazione del peso di qualunque animale immobile sopra le sue gambe.

La privazione del moto di qualunque animale, il quale posa sopra i suoi piedi, nasce dalla privazione dell’inegualità che hanno infra loro gli oppositi pesi che si sostengono sopra i loro piedi.disegno Leonardo

310. De’ piegamenti e voltamenti dell’uomo.

Tanto diminuisce l’uomo nel piegamento dell’uno de’ suoi lati, quanto egli cresce nell’altro suo lato opposito, e tal piegatura sarà all’ultimo subdupla alla parte che si stende. E di questo si farà particolare trattato.

311. De’ piegamenti.

Tanto quanto l’uno de’ lati de’ membri piegabili si farà, piú lungo, tanto la sua parte opposita sarà diminuita. La linea centrale estrinseca de’ lati che non si piegano, de’ membri piegabili, mai diminuisce o cresce di sua lunghezza.

312. Della equiponderanza.

Sempre la figura che sostiene peso fuor di sé e della linea centrale della sua quantità, deve gittar tanto peso naturale od accidentale dall’opposita parte, che faccia equiponderanza de’ pesi intorno alla linea centrale che si parte dal centro della parte del piè che si posa, e passa per tutta la soma del peso sopra essa parte de’ piedi in terra posata. Vedesi naturalmente uno che piglia un peso dall’uno de’ bracci gittar fuori di sé il braccio opposito; e se quello non basta a far l’equiponderanza, vi porge tanto di peso di se medesimo piegandosi, che si fa sufficiente a resistere all’applicato peso. Si vede ancora in uno che sia per cadere riverso su l’uno de’ suoi lati laterali, che sempre getta fuori il braccio dall’opposita parte.

313. Del moto umano.

Quando tu vuoi fare l’uomo motore d’alcun peso, considera che i moti debbono esser fatti per diverse linee, cioè o di basso o in alto con semplice moto, come fa quello che chinandosi piglia il peso che rizzandosi vuole alzare, o quando vuole strascinarsi alcuna cosa dietro, ovvero spingere innanzi, o vuol tirare in basso con corda che passa per carrucola. Qui si ricorda che il peso dell’uomo tira tanto quanto il centro della gravità sua è fuori del centro del suo sostentacolo; a questo s’aggiunge la forza che fanno le gambe e la schiena piegate nel suo rizzarsi. Ma non si scende o sale, né mai si cammina per nessuna linea, che il piè di dietro non alzi il calcagno.

314. Del moto creato dalla distruzione del bilico.

Il moto è creato dalla distruzione del bilico, cioè dalla inegualità, imperocché nessuna cosa per sé si muove che non esca dal suo bilico, e quella si fa piú veloce, che piú si rimuove dal detto suo bilico.disegno Leonardo

315. Del bilico delle figure.

Se la figura posa sopra uno de’ suoi piedi, la spalla di quel lato che posa sarà sempre piú bassa che l’altra, e la fontanella della gola sarà sopra il mezzo della gamba che posa. Il medesimo accadrà per qualunque linea noi vedremo essa figura, essendo senza braccia sportanti non molto fuori della figura, o senza peso addosso, o in mano, o in ispalla, o sportamento della gamba che non posa innanzi o indietro.

316. Della grazia delle membra.

Le membra col corpo debbono essere accomodate con grazia al proposito dell’effetto che tu vuoi che faccia la figura; e se tu vuoi fare figura che mostri in sé leggiadria, devi far membri gentili e distesi, senza dimostrazione di troppi muscoli, e quei pochi che al proposito farai dimostrare, fàlli dolci, cioè di poca evidenza, con ombre non tinte, e le membra, e massimamente le braccia, disnodate, cioè che nessun membro stia in linea dritta col membro che si aggiunge seco. E se il fianco, polo dell’uomo, si trova, per lo posare fatto, che il destro sia piú alto del sinistro, farai la giuntura della spalla superiore piovere per linea perpendicolare sopra il piú eminente oggetto del fianco, e sia essa spalla destra piú bassa della sinistra, e la fontanella sia sempre superiore al mezzo della giuntura del piè di sopra che posa; e la gamba che non posa abbia il suo ginocchio piú basso che l’altro e presso all’altra gamba. Le attitudini della testa e braccia sono infinite, però non mi estenderò in darne alcuna regola. Pure dirò che esse sieno facili e grate con varî storcimenti, e di unire con le menti le giunture che vi son date, acciò non paiano pezzi di legno.

317. Della comodità delle membra.

In quanto alla comodità di esse membra, avrai a considerare che quando tu vuoi figurare uno che per qualche accidente si abbia a voltare indietro, o per canto, che tu non faccia muovere i piedi e tutte le membra in quella parte dove volta la testa, anzi, farai operare con partire esso svolgimento in quattro giunture, cioè quella del piede, del ginocchio, del fianco e del collo; e se poserà sulla gamba destra, farai il ginocchio della sinistra piegare indietro, ed il suo piede sia elevato alquanto di fuori, e la spalla sinistra sia alquanto piú bassa che la destra, e la nuca si scontri nel medesimo luogo dove è volta la noce di fuori del piè sinistro, e la spalla sinistra sarà sopra la punta del piè destro per perpendicolar linea. E sempre usa, che dove le figure hanno volta la testa non vi si volta il petto, che la natura per nostra comodità ci ha fatto il collo, che con facilità può servire a diverse bande, volendo l’occhio voltarsi in varî siti, ed a questo medesimo sono in parte obbedienti le altre giunture. E se fai l’uomo a sedere, e che le sue braccia s’avessero in qualche modo ad adoperare in qualche cosa traversa, fa che il petto si volga sopra la giuntura del fianco.

318. D’una figura sola fuori dell’istoria.

Ancora non replicare le membra ad un medesimo moto alla figura, la quale tu fingi esser sola, cioè che se la figura mostra di correr sola, che tu non le faccia tutte due le mani innanzi, ma una innanzi e l’altra indietro, perché altrimenti non può correre; e se il piè destro è innanzi, che il braccio destro sia indietro ed il sinistro innanzi; perché senza tal disposizione non si può correr bene. E se farai uno che sega, (Così il codice L’edizione viennese propone di dire: “uno che segga”; l’edizione romana, 1817, ha: “uno che lo seguiti.”) che abbia una gamba che si gitti alquanto innanzi, e fa che l’altra ritorni sotto la testa ed il braccio superiore scambi il moto e vada innanzi; e cosí di questo si dirà appieno nel libro de’ movimenti.

319. Quali sono le principali importanze che appartengono alla figura.

Fra le principali cose importanti che si richiedono nelle figurazioni degli animali, è situar bene la testa sopra le spalle, il busto sopra i fianchi, ed i fianchi e le spalle sopra i piedi.

320. Del bilicare il peso intorno al centro della gravità de’ corpi.

La figura che senza moto sopra i suoi piedi si sostiene, darà di sé eguali pesi oppositi intorno al centro del suo sostentacolo. Dico, che se la figura senza moto sarà posta sopra i suoi piedi, se gitta un braccio innanzi al suo petto, essa deve gittar tanto peso naturale indietro quanto ne gitta del naturale ed accidentale innanzi. Ed il medesimo dico di ciascuna parte che sporta fuori del suo tutto oltre il solito.

321. Delle figure che hanno a maneggiare o portar pesi.

Mai si leverà o porterà peso dell’uomo, ch’e’ non mandi di sé piú di altrettanto peso che quello che vuole levare, e lo porti in opposita parte a quella donde esso leva il detto peso.

322. Delle attitudini degli uomini.

Sieno le attitudini degli uomini con le loro membra in tal modo disposte, che con quelle si dimostri l’intenzione del loro animo.

323. Varietà d’attitudini.

Si pronunzino gli atti degli uomini secondo le loro età e dignità, e si variino secondo le specie, cioè de’ maschi e delle femmine.

324. Delle attitudini delle figure.

Dico che il pittore deve notare negli uomini le attitudini ed i moti nati da qualunque accidente immediate; siano notati o messi nella mente, e non aspettar che l’atto del piangere sia fatto fare a uno in prova senza gran causa di pianto, e poi ritrarlo, perché tale atto, non nascendo dal vero caso, non sarà né pronto né naturale; ma è ben buono averlo prima notato dal caso naturale, e poi far stare uno in quell’atto per vedere alcuna parte al proposito o poi ritrarlo.

325. Dell’attenzione de’ circostanti ad un caso notando.

Tutt’i circostanti di qualunque caso degno d’essere notato stanno con diversi atti ammirativi a considerare esso atto, come quando la giustizia punisce i malfattori; e se il caso è di cosa devota, tutt’i circostanti drizzino gli occhi con diversi atti di devozione a esso caso, come il mostrare l’ostia nel sagrificio, e simili; e s’egli è caso degno di riso o di pianto, in questo non è necessario che tutt’i circostanti voltino gli occhi ad esso caso, ma con diversi movimenti, e che gran parte di quelli si rallegrino o si dolgano insieme; e se il caso è pauroso, i visi spaventati di quelli che fuggono facciano gran dimostrazione di timore e di fuga, con varî movimenti, come si dirà nel quarto libro de’ moti.

326. Qualità de’ nudi.

Non far mai una figura che abbia del sottile con muscoli di troppo rilievo; imperocché gli uomini sottili non hanno mai troppa carne sopra le ossa, ma sono sottili per la carestia di carne, e dove è poca carne non può esser grossezza di muscoli.

327. Come i muscoli sono corti e grossi.

I muscolosi (Nel testo di riferimento è riportato “I muscoli hanno grosse le ossa” [Nota all’edizione elettronica per il Progetto Manuzio]) hanno grosse le ossa, e sono uomini grossi e corti, ed hanno carestia di grasso, imperocché le carnosità de’ muscoli per il loro accrescimento si restringono insieme, ed il grasso che infra loro si suole interporre non ha luogo, ed i muscoli in tali magri essendo in stretti contatti infra loro e non potendosi dilatare, crescono in grossezza, e piú crescono in quella parte che è piú remota da’ loro estremi, cioè inverso il mezzo della loro larghezza e lunghezza.

328. Come i grassi non hanno grossi muscoli.

Ancoraché i grassi sieno in sé corti e grossi, come gli anzidetti muscolosi, essi hanno sottilimuscoli, ma la loro pelle veste molta grassezza spugnosa e vana, cioè piena d’aria; e però essi grassi si sostengono piú sopra l’acqua che non fanno i muscolosi, che hanno la pelle ripiena ed entro ad essa minor quantità d’aria.

329. Quali sono i muscoli che spariscono ne’ movimenti diversi dell’uomo.

Nell’alzare ed abbassare delle braccia le poppe spariscono, od esse si fanno di piú rilievo: il simile fanno i rilievi de’ fianchi nel piegarsi in fuori o in dentro nei loro fianchi; e le spalle fanno piú varietà, e i fianchi, ed il collo, che nessun’altra giuntura, perché hanno i moti piú variabili; e di questo si farà un libro particolare.

330. De’ muscoli.

I membri non debbono aver nella gioventù pronunziazione di muscoli, perché ciò è segno di fortezza attempata, e ne’ giovanetti non è né tempo, né matura fortezza. Sieno i sentimenti delle membra pronunziati piú o meno evidenti, secondo che piú o meno saranno affaticati. Sempre saranno piú evidenti i muscoli di quelle membra che saranno in maggior fatica esercitati. Quei muscoli saranno manco scolpiti nelle membra, che saranno da minor fatica esercitati. Mai le linee centrali intrinseche de’ membri che si piegano stanno nella loro naturale lunghezza. I muscoli grossi e lati sieno fatti ai potenti con le membra concorrenti a tale disposizione.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)
Primo volume
PARTE TERZA Capitoli da 331 a 450

331. Di non far tutti i muscoli alle figure, se non sono di gran fatica.

Non voler fare evidenti tutt’i muscoli alle tue figure, perché ancora ch’essi sieno ai loro siti, e’ non si fanno di grande evidenza, se le membra dov’essi son situati non sono in grande forza o fatica, e le membra che restano senza esercizio siano senza dimostrazione di muscoli. E se altrimenti farai, piuttosto un sacco di noci che figura umana avrai imitato.

332. De’ muscoli degli animali.disegno Leonardo

Le concavità interposte infra i muscoli non debbono essere di qualità, che la pelle paia che vesta due bastoni posti in comune loro contatto, né ancora che paiano due bastoni alquanto rimossi da tal contatto, e che la pelle penda in vano con curvità lunga com’è f, ma che sia, com’è i, posata sopra il grasso spugnoso interposto negli angoli, com’è l’angolo mno, il quale angolo nasce dal fine del contatto de’ muscoli; e perché la pelle non può discendere in tale angolo, la natura ha riempiuto tale angolo di piccola quantità di grasso spugnoso, o vuo’ dire vescicoso, con vesciche minute piene d’aria, la quale in sé si condensa o si rarefà, secondo l’accrescimento o rarefazione della sostanza de’ muscoli. (Una nota del codice avverte che: “manca il fine” di questo paragrafo.)

333. Che il nudo figurato con grand’evidenza di muscoli sarà senza moto.

Il nudo figurato con grand’evidenza di tutti i suoi muscoli sarà senza moto, perché non si può muovere se una parte de’ muscoli non si allenta, quando gli oppositi muscoli tirano; e quelli che allentano mancano della loro dimostrazione, e quelli che tirano si scoprono forte e fannosi evidenti.

334. Che le figure ignude non debbono aver i loro muscoli ricercati affatto.

Le figure ignude non debbono essere ricercate integralmente con tutti i loro muscoli, perché riescono difficili e sgraziate. Tu hai ad intendere tutti i muscoli dell’uomo, e quelli pronunziare con poca evidenza dove l’uomo non si affatica nelle sue parti. Quel membro che sarà piú affaticato sarà Una nota del codice avverte che: “manca il fine” di questo paragrafo. quello che piú dimostrerà i suoi muscoli. Per quell’aspetto che il membro si volta alla sua operazione, per quel medesimo saranno i suoi muscoli piú spesso pronunziati. Il muscolo in sé pronunzia spesso le sue particole mediante l’operazione, in modo che senza tale operazione in esso prima non si dimostravano.

335. Che quelli che compongono grassezza aumentano assai di forza dopo la prima gioventú.

Quelli che compongono grassezza aumentano assai di forza dopo la prima gioventù, perché la pelle sempre sta tirata sopra i muscoli. Ma questi non son troppo destri ed agili ne’ loro movimenti, e perché tal pelle sta tirata, essi sono di gran potenza universale infusa per tutte le membra; e di qui nasce che chi manca della disposizione della predetta pelle si aiuta col portare strette le vestimenta sopra le sue membra e serrasi con diverse legature, acciocché nella condensazione de’ muscoli essi abbiano dove potere spingersi ed appoggiarsi. Ma quando i grassi vengono ad ismagrirsi, molto s’indeboliscono, perché la sgonfiata pelle resta vizza e grinzosa; e non trovando i muscoli dove appoggiarsi, non si possono condensare né farsi duri, onde restano di piccola potenza. La mediocre grassezza non mai sgonfiata per alcuna malattia fa che la pelle sta tirata sopra i muscoli, e questi mostrano pochi sentimenti nella superficie de’ loro corpi.

336. Come la natura attende occultare le ossa negli animali quanto può la necessità de’ membri loro.

La natura intende occultare le ossa negli animali quanto può la necessità dei membri loro, e questo fa piú in un corpo che in un altro. Farà piú ne’ corpi dov’essa non è impedita, che dov’è impedita. Adunque nel fiore della gioventù la pelle è tirata e stesa quanto essa può, essendo posta l’altezza de’ corpi che non hanno ad esser grossi o corpulenti; dipoi per l’operazione delle membra la pelle cresce sopra la piegatura delle giunture, e cosí stando poi le membra distese, la pelle cresciuta sopra le giunture s’aggrinza; dipoi nel crescere in età i muscoli s’assottigliano, e la pelle che li veste viene a crescere ed empirsi di grinze, ed a cascare e separarsi dai muscoli per gli umori interposti infra i muscoli e la pelle; e le ramificazioni de’ nervi, che collegano la pelle co’ muscoli, e le danno il sentimento, si vengono a spogliare delle parti de’ muscoli che li vestivano, ed in luogo di essi muscoli sono circondati da tristi umori; e per questo sono mal nutriti inabbondantemente; onde tal membrificazione, tra pel continuo peso della pelle e pel grande umore, si viene ad allungare e discostare la pelle dai muscoli e dalle ossa, e comporre diversi sacchi pieni di rappe e di grinze.

337. Com’è necessario al pittore sapere la notomia.

Necessaria cosa è al pittore, per essere buon membrificatore nelle attitudini e gesti che fare si possono per i nudi, di sapere la notomia di nervi, ossa, muscoli e lacerti, per sapere ne’ diversi movimenti e forze qual nervo o muscolo è di tal movimento cagione; e solo far quelli evidenti e questi ingrossati, e non gli altri per tutto, come molti fanno, che per parere gran disegnatori fanno i loro nudi legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un sacco di noci piú che superficie umana, ovvero un fascio di ravani, piuttosto che muscolosi nudi.

338. Dell’allargamento e raccorciamento de’ muscoli.

Il muscolo della coscia di dietro fa maggior varietà nella sua estensione ed attrazione che nessun altro muscolo che sia nell’uomo; il secondo è quello che compone la natica; il terzo è quello della schiena; il quarto è quello della gola; il quinto è quello delle spalle; il sesto è quello dello stomaco, che nasce sotto il pomo granato e termina nel pettignone, come si dirà di tutti.

339. Dove si trova corda negli uomini senza muscoli.

Dove il braccio termina con la palma della mano presso a quattro dita, si trova una corda, la maggiore che sia nell’uomo, la quale è senza muscolo, e nasce nel mezzo dell’uno de’ fucili del braccio, e termina nel mezzo dell’altro fucile, ed ha figura quadrata, ed è larga circa tre dita e grossa mezzo dito; e questa serve solo a tenere insieme stretti i due detti fucili del braccio, acciò non si dilatino.

340. Degli otto pezzi che nascono nel mezzo delle corde in varie giunture dell’uomo.

Nascono nelle giunture dell’uomo alcuni pezzi d’osso, i quali sono stabili nel mezzo delle corde che legano alcune giunture, come le rotelle delle ginocchia e quelle delle spalle, de’ petti de’ piedi, i quali sono in tutto otto, ché ve n’è una per spalla ed una per ginocchio, e due per ciascun piede sotto la prima giuntura de’ diti grossi verso il calcagno; e questi si fanno durissimi verso la vecchiezza dell’uomo.

341. Del muscolo che è infra il pomo granato ed il pettignone.

Nasce un muscolo presso il pomo granato e termina nel pettignone, il qual muscolo è di tre potenze, perché è diviso nella sua lunghezza da tre corde, cioè, prima il muscolo superiore, poi una corda larga come esso muscolo, poi seguita il secondo muscolo piú basso di questo, al quale si congiunge la seconda corda; alfine seguita il terzo muscolo con la terza corda, la qual corda è congiunta all’osso del pettine; e queste tre riprese di tre muscoli con tre corde sono fatte dalla natura per il gran moto che ha l’uomo nel suo piegarsi e distendersi con simile muscolo, il quale, se fosse d’un pezzo, farebbe troppa varietà nel suo dilatarsi e restringersi, nel piegarsi e distendersi dell’uomo e fa maggior bellezza nell’uomo aver poca varietà di tal muscolo nelle sue azioni, imperocché se il muscolo si ha da distendere nove dita, ed altrettante poi ritirarsi, ne tocca tre dita per ciascun muscolo, le quali fanno poca varietà nella loro figura e poco deformano la bellezza del corpo.disegno Leonardo

342. Dell’ultimo svoltamento che può far l’uomo nel vedersi a dietro.

L’ultimo svoltamento dell’uomo sarà nel dimostrarsi le calcagne in faccia, (Nell’edizione romana, 1817: “indietro.”) ed il viso in faccia; ma questo non si farà senza difficoltà, se non si piega la gamba ed abbassisi (L’edizione viennese, ricostruendo, sulle tracce del Poussin, la figura in modo da renderla piú corrispondente alla dizione del codice, propone la variante: “alzisi”.) la spalla che guarda la nuca; e la causa di tale svoltamento sarà dimostrata nella notomia, e quali muscoli primi ed ultimi si muovano.
disegno Leonardo

343. Quanto si può avvicinare l’un braccio con l’altro di dietro.

Delle braccia che si mandano di dietro, le gomita non si faranno mai piú vicine, che le piú lunghe dita passino le gomita dell’opposita mano, cioè che l’ultima vicinità che aver possano le gomita dietro alle reni sarà quantodisegno Leonardo è lo spazio che è dal suo gomito all’estremo del maggior dito della mano. Queste braccia fanno un quadrato perfetto.

344. Quanto si possano traversare le braccia sopra il petto, e che le gomita vengano nel mezzo del petto.

Queste gomita con le spalle e le braccia fanno un triangolo equilatero.

disegno Leonardo

345. Dell’apparecchio della forza nell’uomo che vuol generare gran percussione.

Quando l’uomo si dispone alla creazione del moto con la forza, esso si piega e torce quanto può nel moto contrario a quello dove vuol generare la percussione, e quivi s’apparecchia nella forza che a lui è possibile, la quale poi congiunge e lascia sopra della cosa da lui percossa con moto decomposto.

disegno Leonardo

346. Della forza composta dall’uomo, e prima si dirà delle braccia.

I muscoli che muovono il maggior fucile del braccio nell’estensione e retrazione del braccio, nascono circa il mezzo dell’osso detto adiutorio, l’uno dietro all’altro; di dietro è nato quello che estende il braccio, e dinanzi quello che lo piega. Se l’uomo è piú potente nel tirare che nello spingere, provasi per la nona de ponderibus, dove dice: infra i pesi di egual potenza, quello si dimostrerà piú potente, che sarà piú remoto dal polo della loro bilancia. Ne segue perciò che essendo nb muscolo e nc muscolo di potenza infra loro eguali, il muscolo dinanzi, nc, è piú potente che il muscolo di dietro, nb, perché esso è fermo nel braccio in c, sito piú remoto disegno Leonardodal polo del gomito a, che non è b, il quale è di là da esso polo, e cosí è concluso l’intento. Ma questa è forza semplice e non composta, come ci si propone di trattare, e dovemmo metter questa innanzi. Ma la forza composta sarà quella che, facendosi un’operazione con le braccia, vi s’aggiunge una seconda potenza del peso della persona e delle gambe, come nel tirare e nello spingere, che oltre alla potenza delle braccia vi s’aggiunge il peso della persona, e la forza della schiena e delle gambe, la quale è nel voler distendersi; come sarebbe di due ad una colonna, che uno la spingesse e l’altro la tirasse.

347. Quale è maggior potenza nell’uomo, quella del tirare o quella dello spingere.

Molto maggior potenza ha l’uomo nel tirare che nello spingere, perché nel tirare vi si aggiunge la potenza de’ muscoli delle braccia che sono creati solo al tirare, e non allo spingere, perché quando il braccio è dritto, i muscoli che muovono il gomito non possono avere alcuna azione nello spingere piú che si avesse l’uomo appoggiando la spalla alla cosa che egli vuole rimuovere dal suo sito, nella quale solo s’adoprano i nervi che drizzano la schiena incurvata, e quelli che drizzano la gamba piegata, e stanno sotto la coscia e nella polpa dietro alla gamba. E cosí è concluso al tirare aggiungersi la potenza delle braccia, e la potente estensione della schiena e delle gambe, insieme col peso dell’uomo nella qualità che richiede la sua obliquità; ed allo spingere concorre il medesimo, mancandogli la potenza delle braccia, perché tanto è a spingere con un braccio dritto senza moto, come è avere interposto un pezzo di legno fra la spalla e la cosa che si sospinge.

348. Delle membra che piegano, e che officio fa la carne che le veste in essi piegamenti.

La carne che veste le giunture delle ossa, e le altre parti ad esse vicine, crescono e diminuiscono nelle loro grossezze secondo il piegamento o estensione delle predette membra, cioè crescono dalla parte di dentro dell’angolo che si genera ne’ piegamenti de’ membri e s’assottigliano e si estendono dalla parte di fuori dell’angolo esteriore; ed il mezzo che s’interpone fra l’angolo convesso ed il concavo partecipa di tale accrescimento o diminuzione, ma tanto piú o meno quanto le parti sono piú vicine o remote dagli angoli delle dette giunture piegate.

349. Del voltare la gamba senza la coscia.

Impossibile è il voltar la gamba dal ginocchio in giù senza voltare la coscia con altrettanto moto, e questo nasce perché la giuntura dell’osso del ginocchio ha il contatto dell’osso della coscia internato e commesso con l’osso della gamba, e solo si può muovere tal giuntura innanzi o indietro, nel modo che richiede il camminare e l’inginocchiarsi; ma non si può mai muovere da quella lateralmente, perché i contatti che compongono la giuntura del ginocchio non lo comportano; imperocché se tal giuntura fosse piegabile e voltabile, come l’ossa dell’adiutorio che si commette nella spalla, e come quello della coscia che si commette nelle anche, l’uomo avrebbe sempre piegabili cosí le gambe per i loro lati come dalla parte dinanzi alla parte di dietro, e sempre tali gambe sarebbero torte; ed ancora tal giuntura non può preterire la rettitudine della gamba, ed è solo piegabile innanzi e non indietro, perché se si piegasse indietro, l’uomo non si potrebbe levare in piedi quando fosse inginocchiato, perché nel levarsi di ginocchioni, delle due ginocchia prima si dà il carico del busto sopra l’uno de’ ginocchi e scaricasi il peso dell’altro, ed in quel tempo l’altra gamba non sente altro peso che di se medesima, onde con facilità leva il ginocchio da terra, e mette la pianta del piede tutta posata alla terra; dipoi rende tutto il peso sopra esso piede posato, appoggiando la mano sopra il suo ginocchio, ed in un tempo distende il braccio, il quale porta il petto e la testa in alto, e cosí distende e drizza la coscia col petto e si fa dritto sopra esso piede posato insino che ha levato l’altra gamba.

350. Delle pieghe della carne.

Sempre la carne piegata è grinzita dall’opposita parte da che essa è tirata.

351. Del moto semplice dell’uomo.

Moto semplice nell’uomo è detto quello ch’e’ fa nel piegarsi semplicemente innanzi, o indietro, od in traverso.

352. Del moto composto fatto dall’uomo.

Il moto composto nell’uomo è detto quello che per alcuna operazione si richiede piegarsi in giù ed in traverso in un medesimo tempo. Adunque tu, pittore, fa i movimenti composti, i quali siano integralmente alle loro composizioni, cioè se uno fa un atto composto mediante la necessità di tale azione, che tu non l’imiti in contrario col fargli fare un atto semplice, il quale sarà poi remoto da essa azione.

353. De’ moti appropriati agli effetti degli uomini.

I moti delle tue figure debbono essere dimostrativi della qualità della forza, quale conviene da quelle usare a diverse azioni; cioè che tu non faccia dimostrare la medesima forza a quel che leva una bacchetta, la quale sia conveniente all’alzare d’un trave. Adunque fa loro diverse (Nel codice: “fa loro preparare.”) le dimostrazioni delle forze secondo la qualità de’ pesi da loro maneggiati.

354. De’ moti delle figure.

Non farai mai le teste dritte sopra le spalle, ma voltate in traverso, a destra o a sinistra, ancoraché esse guardino in su o in giú, o dritto, perché gli è necessario fare i lor moti che mostrino vivacità desta e non addormentata. E non fare i mezzi di tutta la persona dinanzi o di dietro, che mostrino le loro rettitudini sopra o sotto agli altri mezzi superiori o inferiori; e se pure li vuoi usare, fàllo ne’ vecchi: e non replicare i movimenti delle braccia o delle gambe, non che in una medesima figura, ma né anche nelle circostanti e vicine, se già la necessità del caso che si finge non ti costringesse.
In questi tali precetti di pittura si richiede il modo di persuadere la natura de’ moti, come agli oratori quella delle parole, le quali si comanda non essere replicate se non nelle esclamazioni; ma nella pittura non accade simil cosa; perché le esclamazioni sono fatte in varî tempi, e le replicazioni degli atti son vedute in un medesimo tempo.

355. De’ movimenti.

Fa i moti delle tue figure appropriati agli accidenti mentali di esse figure; cioè, che se tu la fingi essere irata, che il viso non dimostri in contrario, ma sia quello che in lui altra cosa che ira giudicarvi non si possa, ed il simile dell’allegrezza, malinconia, riso, pianto e simili.

356. De’ maggiori o minori gradi degli accidenti mentali.

Oltre di questo, che tu non faccia grandi movimenti ne’ piccoli o minimi accidenti mentali, né piccoli movimenti negli accidenti grandi.

357. De’ medesimi accidenti che accadono all’uomo di diverse età.

Un medesimo grado di alterazione non sta bene essere pronunziato mediante il moto delle membra in un atto feroce da un vecchio come da un giovane, ed un atto feroce non si deve figurare in un giovane come in un vecchio.

358. Degli atti dimostrativi.

Negli atti affezionati dimostrativi di cose propinque per tempo o per sito s’hanno a dimostrare con la mano non troppo remota da essi dimostratori; e se le predette cose saranno remote, remota dev’essere ancora la mano del dimostratore, e la faccia del viso volta a ciò che si dimostra.

359. Delle diciotto ( Nel codice: “otto.” ) operazioni dell’uomo.

Fermezza, movimento, corso, ritto, appoggiato, a sedere, chinato, ginocchioni, giacente, sospeso, portare, esser portato, spingere, tirare, battere, esser battuto, aggravare ed alleggerire.

360. Della disposizione delle membra secondo le figure.

Alle membra che sono in operazione fa che s’ingrossino i muscoli, in modo conveniente alle fatiche loro, e quelle che non sono in operazione restino semplici.

361. Della qualità delle membra secondo l’età.

Ne’ giovani non ricercherai muscoli o lacerti, ma dolce carnosità con semplici piegature, e rotondità di membra.

362. Della varietà de’ visi.

Sia variata l’aria de’ visi secondo gli accidenti dell’uomo in fatica, in riposo, in pianto, in riso, in gridare, in timore, e cose simili; ed ancora le membra della persona insieme con tutta l’attitudine debbono rispondere all’effigie alterata.

363. Della membrificazione degli animali.

Tutte le parti di qualunque animale debbono essere corrispondenti all’età del suo tutto, cioè che le membra de’ giovani non sieno ricercate con pronunziati muscoli, corde o vene, come fanno alcuni, i quali, per mostrare artificioso e gran disegno, guastano il tutto, mediante le scambiate membra. Il medesimo fanno altri, che per mancamento di disegno fanno ai vecchi membra di giovani.

364. Come la figura non sarà laudabile s’essa non mostra la passione dell’animo.

Quella figura non sarà laudabile s’essa, il piú che sarà possibile, non esprimerà coll’atto la passione dell’animo suo.

365. Come le mani e le braccia in tutte le loro operazioni hanno da dimostrare l’intenzione del loro motore il piú che si può.

Le mani e le braccia in tutte le operazioni hanno da dimostrare l’intenzione del loro motore quanto sarà possibile, perché con quelle, chi ha affezionato giudizio, si accompagna gl’intenti mentali in tutti i suoi movimenti. E sempre i bravi oratori, quando vogliono persuadere agli uditori qualche cosa, accompagnano le mani e le braccia con le loro parole, benché alcuni insensati non si curino di tale ornamento, e paiano nel loro tribunale statue di legno, per la bocca delle quali passi per condotto la voce di alcun uomo che sia nascosto in tal tribunale. E questa tale usanza è gran difetto ne’ vivi, e molto piú nelle figure finte, le quali, se non sono aiutate dal loro creatore con atti pronti ed accomodati all’intenzione che tu fingi essere in tal figura, allora essa figura sarà giudicata due volte morta, cioè morta perché essa non è viva, e morta nella sua azione. Ma per tornare al nostro intento, qui di sotto si figurerà e dirà di piú accidenti, cioè del moto dell’irato, del dolore, della paura, dello spavento subito, del pianto, della fuga, del desiderio, del comandare, della pigrizia e della sollecitudine, e simili. (Nota nel codice: “Ma nota, lettore, che ancoraché messer Leonardo prometta di trattare di tutti i sopradetti accidenti, che per questo non ne parla, come io credo, per smenticanza, o per qualche altro disturbo, come si può vedere all’originale, che dietro a questo capitolo scrive l’argomento di un altro senza il suo capitolo, ed è il seguente: Del figurare l’irato ed in quante parti si divida tale accidente.”).

366. De’ moti appropriati alla mente del mobile.

Sono alcuni moti mentali senza il moto del corpo, ed alcuni col moto del corpo. I moti mentali senza il moto del corpo lasciano cadere le braccia, le mani ed ogni altra parte che mostri vita; ma i moti mentali con il moto del corpo tengono il corpo con le sue membra con moto appropriato al moto della mente; e di questo tal discorso si dirà molte cose. Evvi un terzo moto che è partecipante dell’uno e dell’altro, ed un quarto che non è né l’uno né l’altro; e questi ultimi sono insensati, ovvero disensati; e si metteranno nel capitolo della pazzia, o de’ buffoni nelle loro moresche.

367. Come gli atti mentali muovano la persona in primo grado di facilità e comodità.

Il moto mentale muove il corpo con atti semplici e facili, non in qua né in là, perché il suo obietto è nella mente, la quale non muove i sensi, quando in se medesima è occupata.

368. Del moto nato dalla mente mediante l’obietto.

Se il moto dell’uomo è causato mediante l’obietto, o tale obietto nasce immediate, o no: se nasce immediate, quel che si muove torce prima all’obietto il senso piú necessario, ch’è l’occhio, lasciando stare i piedi al primo luogo, e solo muove le coscie insieme con i fianchi ed i ginocchi verso quella parte dove si volta l’occhio, e cosí in tali accidenti si farà gran discorso.

369. De’ moti comuni.

Tanto sono varî i movimenti degli uomini, quante sono le varietà degli accidenti che discorrono per le loro menti; e ciascun accidente in sé muoverà piú o meno essi uomini, secondo che saranno di maggiore o di minor potenza, e secondo l’età; perché altro moto farà sopra un medesimo caso un giovane che un vecchio.

370. Del moto degli animali.

Ogni animale di due piedi abbassa nel suo moto piú quella parte ch’è sopra il piede che alza, che quella ch’è sopra il piede che posa in terra; e la sua parte suprema fa il contrario; e questo si vede ne’ fianchi e nelle spalle dell’uomo quando cammina, e negli uccelli il medesimo con la testa e con la groppa

371. Che ogni membro per sé sia proporzionato a tutto il suo corpo.

Fa che ogni parte d’un tutto sia proporzionata al suo tutto: come se un uomo è di figura grossa e corta, fa che il medesimo sia in sé ogni suo membro, cioè braccia corte e grosse, mani larghe, grosse e corte, e dita con le giunture nel sopradetto modo, e cosí il rimanente. Ed il medesimo intendo aver detto degli universi animali e piante, cosí nel diminuire le proporzionalità delle grossezze, come dell’ingrossarle.

372. Che se le figure non esprimono la mente sono due volte morte.

Se le figure non fanno atti pronti i quali colle membra esprimano il concetto della mente loro, esse figure sono due volte morte, perché morte sono principalmente ché la pittura in sé non è viva, ma esprimitrice di cose vive senza vita, e se non le si aggiunge la vivacità dell’atto, essa rimane morta la seconda volta. Sicché dilettatevi studiosamente di vedere in quei che parlano, insieme co’ moti delle mani, se potrete accostarli e udirli, che causa fa loro fare tali movimenti. Molto bene saranno vedute le minuzie degli atti particolari appresso de’ mutoli, i quali non sanno disegnare, benché pochi sieno che non si aiutino e che non figurino col disegno. Imparate adunque da’ muti a fare i moti delle membra che esprimano il concetto della mente de’ parlatori. Considerate quelli che ridono e quelli che piangono, guardate quelli che con ira gridano, e cosí tutti gli accidenti delle menti nostre. Osservate il decoro, e considerate che non si conviene né per sito né per atto operare il signore come il servo, né l’infante come l’adolescente, ma eguale al vecchio che poco si sostiene.
Non fate al villano l’atto che si deve ad un nobile ed accostumato, né il forte come il debole, né gli atti delle meretrici come quelli delle oneste donne, né de’ maschi come delle femmine.

373. Dell’osservanza del decoro.

Osserva il decoro, cioè la convenienza dell’atto, vesti, sito, e circonspetti della dignità o viltà delle cose che tu vuoi figurare; cioè che il re sia di barba, aria ed abito grave, ed il sito ornato, ed i circostanti stiano con riverenza, ammirazione ed abiti degni e convenienti alla gravità d’una corte reale, ed i vili disornati, infinti ed abietti, ed i loro circostanti abbiano similitudine con atti vili e presuntuosi, e tutte le membra corrispondano a tal componimento; e che gli atti d’un vecchio non sieno simili a quelli d’un giovane, e quelli d’una femmina a quelli d’un maschio, né quelli d’un uomo a quelli d’un fanciullo.

374. Dell’età delle figure.

Non mischiare una quantità di fanciulli con altrettanti vecchi, né giovani con infanti, né donne con uomini, se già il caso che vuoi figurare non li legasse insieme misti.

375. Qualità d’uomini ne’ componimenti delle istorie.

Per l’ordinario ne’ componimenti comuni delle istorie usa di fare rari vecchi, e separati dai giovani, perché i vecchi sono rari, ed i lor costumi non si convengono con i costumi de’ giovani, e dove non è conformità di costumi non si fa amicizia, e dove non è amicizia si genera separazione. E dove tu farai componimenti d’istorie apparenti di gravità e consiglio, fagli pochi giovani, perché i giovani volentieri fuggono i consigli ed altre cose nobili.

376. Del figurare uno che parli infra piú persone.

Userai di far quello che tu vuoi che parli fra molte persone in atto di considerare la materia ch’egli ha da trattare, e di accomodare in lui gli atti appartenenti ad essa materia; cioè, se la materia è persuasiva, che gli atti sieno al proposito, e se è materia di dichiarazione di diverse ragioni, fa che quello che parla pigli con i due diti della mano destra un dito della sinistra, avendone serrato i due minori, e col viso pronto volto verso il popolo; con la bocca alquanto aperta, che paia che parli; e se egli siede, che paia che si sollevi alquanto ritto, e con la testa innanzi; e se lo fai in piedi, fàllo alquanto chinarsi col petto e la testa verso il popolo, il quale figurerai tacito ed attento a riguardare l’oratore in viso con atti ammirativi; e fa la bocca d’alcun vecchio per maraviglia delle udite sentenze chiusa, e negli estremi bassi tirarsi indietro molte pieghe delle guancie; e con le ciglia alte nelle giunture le quali creino molte pieghe per la fronte. Alcuni a sedere con le dita delle mani insieme tessute, tenendovi dentro il ginocchio stanco; altri con un ginocchio sopra l’altro, sul quale tenga la mano, che dentro a sé riceva il gomito, la mano del quale vada a sostenere il mento barbuto di qualche vecchio chinato.

377. Come si deve fare una figura irata.

Alla figura irata farai tenere uno per i capelli col capo storto a terra, e con uno de’ ginocchi sul costato, e col braccio destro levare il pugno in alto; questo abbia i capelli elevati, le ciglia basse e strette, ed i denti stretti e i due estremi daccanto della bocca arcati, il collo grosso, e dinanzi, per il chinarsi al nemico, sia pieno di grinze.

378. Come si figura un disperato.

Al disperato farai darsi d’un coltello, e con le mani aversi stracciato i vestimenti, e sia una d’esse mani in opera a stracciar la ferita, e lo farai con i piè distanti, e le gambe alquanto piegate, e la persona similmente verso terra con capelli stracciati e sparsi.

379. Delle convenienze delle membra.

E ti ricordo ancora che tu abbia grande avvertenza nel dare le membra alle figure, che paiano, dopo l’essere concordanti alla grandezza del corpo, ancor similmente all’età; cioè i giovani con pochi muscoli nelle membra, e vene di delicata superficie, e membra rotonde di grato colore. Agli uomini sieno nervose e piene di muscoli. Ai vecchi sieno con superficie a grinze ruvide e venose, ed i nervi molto evidenti.

380. Del ridere e del piangere e differenza loro.

Da quel che ride a quel che piange non si varia né occhi, né bocca, né guancie, ma solo la rigidità delle ciglia che s’aggiunge a chi piange, e levasi a chi ride. A colui che piange s’aggiunge ancora l’atto di stracciarsi con le mani i vestimenti ed i capelli, e con le unghie stracciarsi la pelle del volto, il che non accade a chi ride. Non farai il viso di chi piange con eguali movimenti di quel che ride, perché spesso si somigliano, e perché il vero modo si è di variare siccome è variato l’accidente del pianto dall’accidente del riso, imperocché, per piangere, le ciglia e la bocca si variano nelle varie cause del pianto, perché alcuno piange con ira, alcuno con paura, alcuno per tenerezza ed allegrezza, alcuno per sospetto, alcuno per doglia e tormento ed alcuno per pietà e dolore de’ parenti o amici persi: de’ quali piangenti alcuno si mostra disperato, alcuno mediocre, alcuno grida, alcuno sta con il viso al cielo e con le mani in basso, avendo le dita di quelle insieme tessute; altri timorosi con le spalle innalzate alle orecchie; e cosí seguono secondo le predette cause. Quel che versa il pianto alza le ciglia nelle loro giunture, e le stringe insieme, e compone grinze di sopra, e in mezzo ai canti della bocca in basso; e colui che ride li ha alti e le ciglia aperte e spaziose.

381. De’ posati d’infanti.

Negl’infanti e ne’ vecchi non debbono essere atti pronti fatti mediante le loro gambe.

382. De’ posati di femmine e di giovanetti.

Nelle femmine e ne’ giovanetti non debbono essere atti di gambe sbarrate o troppo aperte, perché dimostrano audacia, o al tutto privazione di vergogna; e le strette dimostrano timore di vergogna.

383. Del rizzarsi l’uomo da sedere di sito piano.

Stando l’uomo a sedere sul pavimento, la prima cosa che fa nel suo levarsi è che trae a sé il piede, e posa la mano in terra da quel lato che si vuol levare, e gitta la persona sopra il braccio che posa, e mette il ginocchio in terra da quel lato che si vuol levare. ( Nota nel codice: “Trovo scritto appresso al capitolo di sopra il soggetto del suo contrario, ma poi non ne parla niente, ed è questo: Del cadere l’uomo a sedere in sito piano.” )

384. Del saltare, e che cosa aumenta il salto.

Natura insegna ed opera senza alcun discorso del saltatore, che quando vuol saltare, egli alza con impeto le braccia e le spalle, le quali, seguitando l’impeto, si muovono insieme con gran parte del corpo, e levansi in alto, sino a tanto che il loro impeto in sé si consumi; il qual impeto è accompagnato dalla estensione subita del corpo incurvato nella schiena e nelle giunture delle coscie, delle ginocchia e de’ piedi; la qual estensione è fatta per obliquo, cioè innanzi ed all’insú; e cosí il moto dedicato all’andare innanzi porta innanzi il corpo che salta, ed il moto d’andare all’insú alza il corpo, e gli fa fare grand’arco ed aumenta il salto.

385. Del moto delle figure nello spingere o tirare.

Lo spingere e tirare sono di una medesima azione, conciossiaché lo spingere è solo un’estensione di membra, ed il tirare è un’attrazione di esse membra; ed all’una e all’altra potenza si aggiunge il peso del motore contro alla cosa sospinta o tirata, e non vi è altra differenza senonché l’uno spinge e l’altro tira: quello che spinge stando in piedi ha il mobile sospinto dinanzi a sé, e quello che tira lo ha di dietro a sé. Lo spingere e il tirare può esser fatto per diverse linee intorno al centro della potenza del motore, il qual centro in quanto alle braccia sarà nel luogo dove il nervo dell’omero della spalla, e quel della poppa, e quello della patella dell’opposita alla poppa si giungono coll’osso della spalla superiore.disegno Leonardo

386. Dell’uomo che vuol trarre una cosa fuor di sé con grand’impeto.

L’uomo il quale vorrà trarre un dardo, o pietra, od altra cosa con impetuoso moto, può essere figurato in due modi principali, cioè o potrà esser figurato quando si prepara alla creazione del moto, o veramente quando il moto d’esso è finito. Ma se tu lo figurerai per la creazione del moto, allora il lato di dentro del piede sarà con la medesima linea del petto, ma avrà la spalla contraria sopra il piede, cioè se il piede destro sarà sotto il peso dell’uomo, la spalla sinistra sarà sopra la punta d’esso piede destro.

387. Perché quello che vuol ficcare tirando il ferro in terra, alza la gamba opposita incurvata.

Colui che col trarre vuol ficcare o trarre il calmone (Cosí il codice. Forse “calamo.”) in terra, alza la gamba opposita al braccio che trae, e quella piega nel ginocchio; e questo fa per bilicarsi sopra il piede che posa in terra, senza il qual piegamento o storcimento di gamba far non si potrebbe, né potrebbe trarre, se tal gamba non si distendesse.

388. Ponderazione de’ corpi che non si muovono.

disegno LeonardoLe ponderazioni ovvero bilichi degli uomini si dividono in due parti, cioè semplice e composto. Bilicazione semplice è quella che è fatta dall’uomo sopra i suoi piedi immobili, sui quali esso uomo, aprendo le braccia con diverse distanze dal suo mezzo, o chinandosi stando sopra uno o i due piedi, sempre il centro della sua gravità sta per linea perpendicolare sopra il centro d’esso piede che posa; e se posa sopra i due piedi egualmente, allora il peso dell’uomo avrà il suo centro perpendicolare nel mezzo della linea che misura lo spazio interposto infra i centri d’essi piedi.
Il bilico composto s’intende esser quello che fa un uomo che sostiene sopra di sé un peso per diversi moti; com’è nel figurare Ercole che scoppia Anteo, il quale, sospendendolo da terra infra il petto e le braccia, che tu gli faccia tanto la sua figura di dietro alla linea centrale de’ suoi piedi, quanto Anteo ha il centro della sua gravità dinanzi ai medesimi piedi.

389. Dell’uomo che posa sopra i suoi due piedi, che dà di sé piú peso all’uno che all’altro.

Quando per lungo stare in piedi l’uomo ha stancata la gamba dove posa, esso manda parte del peso sopra l’altra gamba; ma questo tal posare ha da essere usato dall’età decrepita, o dall’infanzia, o veramente in uno stanco, perché mostra stanchezza o poca valetudine di membra; e però sempre si vede un giovane, che sia sano e gagliardo, posarsi sopra l’una delle gambe, e se dà alquanto di peso all’altra gamba, esso l’usa quando vuol dar principio necessario al suo movimento, senza il quale si nega ogni moto, perché il moto si genera dall’inegualità.

390. De’ posati delle figure.

Sempre le figure che posano debbono variare le membra, cioè che se un braccio va innanzi, che l’altro stia fermo o vada indietro; e se la figura posa sopra una gamba, che la spalla che è sopra essa gamba sia piú bassa che l’altra; e questo si usa dagli uomini di buoni sensi, i quali sempre attendono per natura a bilicare l’uomo sopra i suoi piedi, acciocché non rovini; perché, posando sopra un piede, l’opposita gamba non sostiene esso uomo, stando piegata, la quale in sé è come se fosse morta; onde necessità fa che il peso che è dalle gambe insú mandi il centro della sua gravità sopra la giuntura della gamba che lo sostiene.

391. Della ponderazione dell’uomo nel fermarsi sopra i suoi piedi.

L’uomo che si ferma sopra i suoi piedi, o si caricherà con egual peso sopra ciascun piede, o si caricherà con pesi ineguali. Se si caricherà egualmente sopra essi piedi, egli si caricherà con peso naturale misto con peso accidentale, o si caricherà con semplice peso naturale. Se si caricherà con peso naturale misto con peso accidentale, allora gli estremi oppositi de’ membri non saranno egualmente distanti dai poli delle giunture de’ piedi; ma se si caricherà con peso naturale semplice, allora tali estremi di membri oppositi saranno egualmente distanti dalla giuntura del piede. E cosí di questa ponderazione si farà un libro particolare.

392. Del moto locale piú o meno veloce.

Il moto locale fatto dall’uomo o da altro animale sarà di tanto maggiore o minor velocità, quanto il centro della loro gravità sarà piú remoto o propinquo al centro del piede dove si sostengono.
disegno Leonardo

393. Degli animali da quattro piedi, e come si muovono.

La somma altezza degli animali da quattro piedi si varia piú negli animali che camminano, che in quelli che stanno saldi; e tanto piú o meno quanto essi animali son di maggiore o minor grandezza: e questo è causato dall’obliquità delle gambe che toccano terra, che innalzano il corpo di esso animale quando tali gambe disfanno la loro obliquità, quando si pongono perpendicolari sopra la terra.

394. Delle corrispondenze che ha la metà dell’uomo con l’altra metà.

Mai l’una metà della grossezza e larghezza dell’uomo sarà eguale all’altra, se le membra a quella congiunte non faranno eguali e simili moti.

395. Come nel saltare dell’uomo in alto vi si trovano tre moti.

Quando l’uomo salta in alto, la testa è tre volte piú veloce del calcagno del piede, innanzi che la punta del piede si spicchi da terra, e due volte piú veloce che i fianchi; e questo accade perché si disfanno in un medesimo tempo tre angoli, de’ quali il superiore è quello dove il busto si congiunge con le coscie dinanzi; il secondo è quello dove le coscie di dietro si congiungono con le gambe di dietro; il terzo è dove la gamba dinanzi si congiunge con l’osso del piede.
disegno Leonardo

396. Che è impossibile che una memoria riserbi tutti gli aspetti e le mutazioni delle membra.

Impossibile è che alcuna memoria possa riserbare tutti gli aspetti o mutamenti d’alcun membro di qualunque animale si sia. Questo caso lo esemplificheremo con la dimostrazione d’una mano. E perché ogni quantità continua è divisibile in infinito, il moto dell’occhio che riguarda la mano, e si muove dall’a al b, si muove per uno spazio ab, il quale ancor esso è quantità continua, e per conseguenza divisibile in infinito, ed in ogni parte di moto varia l’aspetto e la figura della mano nel suo vedere, e cosí farà movendosi in tutto il cerchio; ed il simile farà la mano che s’innalza nel suo moto, cioè passerà per ispazio che è quantità.

397. Delle prime quattro parti che si richiedono alla figura.

L’attitudine è la prima parte piú nobile della figura; non che la buona figura dipinta in trista attitudine abbia disgrazia, ma la viva in somma bontà di bellezza perde di riputazione, quando gli atti suoi non sono accomodati all’ufficio ch’essi hanno a fare. Senza alcun dubbio essa attitudine è di maggiore speculazione che non è la bontà in sé della figura dipinta; conciossiaché tale bontà di figura si possa fare per imitazione della viva, ma il movimento di tal figura bisogna che nasca da grande discrezione d’ingegno; la seconda parte nobile è l’avere rilievo; la terza è il buon disegno; la quarta il bel colorito.

398. Discorso sopra il pratico.

E tu, pittore, studia di fare le tue opere che abbiano a tirare a sé i loro veditori, e quelli fermare con grande ammirazione e diletto, e non attirarli e poi scacciarli, come fa l’aria a quel che ne’ tempi notturni salta ignudo del letto a contemplare la qualità di essa aria nubilosa o serena, che immediate, scacciato dal freddo di quella, ritorna nel letto, donde prima si tolse; ma fa le opere tue simili a quell’aria, che ne’ tempi caldi tira gli uomini dai lor letti, e li ritiene con diletto a prendere l’estivo fresco; e non voler essere prima pratico che dotto, e che l’avarizia vinca la gloria che di tale arte meritamente si acquista. Non vedi tu che infra le umane bellezze il viso bellissimo ferma i viandanti e non i loro ricchi ornamenti? E questo dico a te che con oro od altri ricchi fregi adorni le tue figure.
Non vedi tu isplendenti bellezze della gioventù diminuire di loro eccellenza per gli eccessivi e troppo culti ornamenti? Non hai tu visto le montanare involte negl’inculti e poveri panni acquistare maggior bellezza, che quelle che sono ornate? Non usare le affettate acconciature o capellature di teste, dove appresso de’ goffi cervelli un sol capello posto piú da un lato che dall’altro, colui che lo tiene se ne promette grande infamia credendo che i circostanti abbandonino ogni lor primo pensiero, e solo di quel parlino e solo quello riprendano; e questi tali hanno sempre per lor consigliero lo specchio ed il pettine, ed il vento è loro capital nemico sconciatore degli azzimati capelli. Fa tu adunque alle tue teste i capelli scherzare insieme col finto vento intorno ai giovanili volti, e con diverso rivoltare graziosamente ornarli. E non far come quelli che li impiastrano con colle, e fanno parere i visi come se fossero invetriati; umane pazzie in aumentazione, delle quali non bastano i naviganti a condurre dalle orientali parti le gomme arabiche, per riparare che il vento non varii l’egualità delle loro chiome, che di piú vanno ancora investigando.

399. Della pratica cercata con gran sollecitudine dal pittore.

E tu, pittore, che desideri grandissima pratica, hai da intendere, che se tu non la fai sopra buon fondamento delle cose naturali, farai opere assai con poco onore e men guadagno; e se la farai buona, le opere tue saranno molte e buone, con tuo grande onore e molta utilità.

400. Del giudicare il pittore le sue opere e quelle d’altrui.

Quando l’opera sta pari col giudizio, quello è tristo segno in tal giudizio; e quando l’opera supera il giudizio, questo è pessimo, come accade a chi si maraviglia d’aver sí bene operato; e quando il giudizio supera l’opera, questo è perfetto segno; e se vi è giovane in tal disposizione, senza dubbio questo sarà eccellente operatore, ma sarà componitore di poche opere, le quali saranno di qualità che fermeranno gli uomini con ammirazione a contemplar le loro perfezioni.

401. Del giudicare il pittore la sua pittura.

Noi sappiamo che gli errori si conoscono piú nelle altrui opere che nelle proprie, e spesso riprendendo gli altrui piccoli errori, non vedrai i tuoi grandi. Per fuggire simile ignoranza, fa che tu sia prima buon prospettivo, di poi che tu abbia intera notizia delle misure dell’uomo e d’altri animali, e che tu sia ancora buon architettore, cioè in quanto s’appartiene alla forma degli edifici e delle altre cose, che sono sopra la terra, che sono d’infinite forme; e di quante piú avrai notizia, piú sarà laudata la tua operazione, ed in quelle che tu non hai pratica, non ricusare di ritrarle di naturale.
Ma per tornare alla promessa di sopra, dico che nel tuo dipingere tu devi tenere uno specchio piano, e spesso riguardarvi dentro l’opera tua, la quale lí sarà veduta per lo contrario, e ti parrà di mano d’altro maestro, e giudicherai meglio gli errori tuoi che altrimenti. Ed ancora sarà buono levarsi spesso e pigliarsi qualche sollazzo, perché nel ritornare tu migliorerai il giudizio; ché lo star saldo nell’opera ti farà forte ingannare. È buono ancora lo allontanarsi, perché l’opera pare minore, e piú si comprende in un’occhiata, e meglio si conoscono le discordanti e sproporzionate membra ed i colori delle cose, che d’appresso.

402. Come lo specchio è il maestro de’ pittori.

Quando tu vuoi vedere se la tua pittura tutta insieme ha conformità con la cosa ritratta di naturale, abbi uno specchio, e favvi dentro specchiare la cosa viva, e paragona la cosa specchiata con la tua pittura, e considera bene se il subietto dell’una e dell’altra similitudine abbiano conformità insieme. Sopratutto lo specchio si deve pigliare per maestro, intendo lo specchio piano imperocché sulla sua superficie le cose hanno similitudine con la pittura in molte parti; cioè, tu vedi la pittura fatta sopra un piano dimostrare cose che paiono rilevate, e lo specchio sopra un piano fa il medesimo; la pittura è una sola superficie, e lo specchio è quel medesimo; la pittura è impalpabile in quanto che quello che pare tondo e spiccato non si può circondare con le mani, e lo specchio fa il simile. Lo specchio e la pittura mostrano la similitudine delle cose circondata da ombre e lume, e l’una e l’altra pare assai di là dalla sua superficie. E se tu conosci che lo specchio per mezzo de’ lineamenti ed ombre e lumi ti fa parere le cose spiccate, ed avendo tu fra i tuoi colori le ombre ed i lumi piú potenti che quelli dello specchio, certo, se tu li saprai ben comporre insieme, la tua pittura parrà ancor essa una cosa naturale vista in un grande specchio.

403. Come si deve conoscere una buona pittura e che qualità deve avere per essere buona.

Quello che prima si deve giudicare per voler conoscere una buona pittura è che il moto sia appropriato alla mente del motore; secondo, che il maggiore o minor rilievo delle cose ombrose sia accomodato secondo le distanze; terzo, che le proporzioni delle membra corrispondano alla proporzionalità del loro tutto; quarto, che il decoro del sito sia corrispondente al decoro de’ suoi atti; quinto, che le membrificazioni sieno accomodate alla condizione de’ membrificati, cioè ai gentili membra gentili, ai grossi grosse membra ed ai grassi grasse similmente.

404. Come la vera pittura stia nella superficie dello specchio piano.

Lo specchio di piana superficie contiene in sé la vera pittura in essa superficie; e la perfetta pittura, fatta nella superficie di qualunque materia piana, è simile alla superficie dello specchio; e voi, pittori, trovate nella superficie degli specchi piani il vostro maestro, il quale v’insegna il chiaro e l’oscuro e lo scorto di qualunque obietto; ed i vostri colori ne hanno uno che è piú chiaro che le parti illuminate del simulacro di tale obietto, e similmente in essi colori se ne trova alcuno che è piú scuro che alcuna oscurità di esso obietto; donde nasce che tu, pittore, farai le tue pitture simili a quelle di tale specchio, quando è veduto da un solo occhio, perché i due occhi circondano l’obietto minore dell’occhio.

405. Qual pittura è piú laudabile.

Quella pittura è piú laudabile, la quale ha piú conformità con la cosa imitata. Questo propongo a confusione di quei pittori i quali vogliono racconciare le cose di natura, come sono quelli che imitano un figliuolino d’un anno, la testa del quale entra cinque volte nella sua altezza, ed essi ve la fanno entrare otto; e la larghezza delle spalle è simile alla testa, e questi la fanno dupla, e cosí vanno riducendo un piccolo fanciullo d’un anno alla proporzione di un uomo di trent’anni: e tante volte hanno usato e visto usare tal errore, che l’hanno converso in usanza, la quale usanza è tanto penetrata e stabilita nel lor corrotto giudizio, che fan credere a loro medesimi che la natura, o chi imita la natura, faccia grandissimo errore a non fare come essi fanno.

406. Qual è il primo obietto intenzionale del pittore.

La prima intenzione del pittore è fare che una superficie piana si dimostri un corpo rilevato e spiccato da esso piano; e quello che in tale arte eccede piú gli altri, quello merita maggior laude, e questa tale investigazione, anzi corona di tale scienza, nasce dalle ombre e dai lumi, o vuoi dire chiaro e scuro. Adunque chi fugge le ombre fugge la gloria dell’arte appresso i nobili ingegni, e l’acquista appresso l’ignorante volgo, il quale nulla piú desidera che bellezza di colori, dimenticando al tutto la bellezza e maraviglia del dimostrare di rilievo la cosa piana.

407. Quale è piú importante, nella pittura, o le ombre o i loro lineamenti.

Di molto maggiore investigazione e speculazione sono le ombre nella pittura che i loro lineamenti; e la prova di questo s’insegna che i lineamenti si possono lucidare con veli, o vetri piani interposti fra l’occhio e la cosa che si deve lucidare; ma le ombre non sono comprese da tale regola, per l’insensibilità de’ loro termini, i quali il piú delle volte sono confusi, come si dimostra nel libro delle ombre e de’ lumi.

408. Come si deve dare il lume alle figure.

Il lume deve essere usato secondo che darebbe il naturale sito dove fingi essere la tua figura; cioè, se la fingi al sole, fa le ombre oscure, e gran piazze di lumi, e stampavi le ombre di tutti i circostanti corpi in terra. E se la figura è in tristo tempo, fa poca differenza dai lumi alle ombre, e senza farle alcun’ombra ai piedi; e se la figura sarà in casa, fa gran differenza dai lumi alle ombre, ed ombra per terra; e se tu vi figuri finestra impannata ed abitazione bianca, fa poca differenza dai lumi alle ombre; e se essa è illuminata dal fuoco, fa i lumi rosseggianti e potenti, e scure le ombre, e lo sbattimento delle ombre per i muri o per terra sia terminato; e quanto piú l’ombra si allontana dal corpo, tanto piú si faccia ampia e magna; e se detta figura fosse illuminata parte dal fuoco e parte dall’aria, fa che il lume causato dall’aria sia piú potente, e quello del fuoco sia quasi rosso, a similitudine del fuoco. E sopratutto fa che le tue figure dipinte abbiano il lume grande e da alto, cioè quel vivo che tu ritrarrai, imperocché le persone che tu vedi per le strade tutte hanno il lume di sopra; e sappi che non vi è tuo gran conoscente che, dandogli il lume di sotto, tu non duri fatica a riconoscerlo.
disegno Leonardo

409. Dove deve star quello che risguarda la pittura.

Poniamo che ab sia la pittura veduta, e che d sia il lume. Dico che se tu ti porrai infra c ed e, comprenderai male la pittura, e massime se sarà fatta ad olio, o veramente verniciata, perché avrà lustro, e sarà quasi di natura di specchio, e per questa cagione quanto piú ti accosterai al punto c, meno vedrai, perché quivi risaltano i raggi del lume mandato dalla finestra alla pittura; e se ti porrai infra e e d, quivi sarà bene operata la tua vista e massime quanto piú t’appresserai al punto d, perché quel luogo è meno partecipante di detta percussione de’ raggi riflessi.

410. Come si deve porre alto il punto.

Il punto dev’essere all’altezza dell’occhio di un uomo comune, e l’ultimo orizzonte della pianura che confina col cielo dev’esser fatto all’altezza d’esso termine della terra piana col cielo, salvo le montagne, che sono libere.

411. Che le figure piccole non debbono per ragione esser finite.

Dico che se le cose appariranno di minuta forma, ciò nascerà dall’essere dette cose lontane dall’occhio; essendo cosí, conviene che infra l’occhio e la cosa sia molt’aria, e la molt’aria impedisce l’evidenza della forma d’essi obietti, onde le minute particole d’essi corpi saranno indiscernibili e non conosciute. Adunque tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite, e se altrimenti farai, sarà contro gli effetti della natura tua maestra. La cosa rimane piccola per la distanza grande che è fra l’occhio e la cosa; la distanza grande rinchiude dentro di sé molt’aria, la molt’aria fa in sé grosso corpo, il quale impedisce e toglie all’occhio le minute particole degli obietti.

412. Che campo deve usare il pittore alle sue opere.

Poiché per esperienza si vede che tutti i corpi sono circondati da ombra e lume, voglio che tu, pittore, accomodi quella parte che è illuminata, sicché termini in cosa oscura, e cosí la parte del corpo ombrata termini in cosa chiara. E questa regola darà grande aiuto a rilevare le tue figure.

413. Precetto di pittura.

Dove l’ombra confina col lume, abbi rispetto dov’è piú chiara o scura e dov’essa è piú o meno sfumosa inverso il lume. E sopratutto ti ricordo che ne’ giovani tu non faccia le ombre terminate come fa la pietra, perché la carne tiene un poco del trasparente, come si vede a guardare in una mano che sia posta infra l’occhio ed il sole, che la si vede rosseggiare e trasparire luminosa; e se tu vuoi vedere qual ombra si richiede alla tua carne, vi farai su un’ombra col tuo dito, e secondo che tu la vuoi piú chiara o scura, tieni il dito piú presso o piú lontano dalla tua pittura e quella contraffà.

414. Del fingere un sito selvaggio.

Gli alberi e le erbe che sono piú ramificati di sottili rami debbono aver minore oscurità d’ombre, e quegli alberi e quelle erbe che avranno maggiori foglie saranno cagione di maggior ombra.

415. Come devi far parere naturale un animale finto.

Tu sai non potersi fare alcun animale, il quale non abbia le sue membra, e che ciascuno per sé non sia a similitudine con qualcuno degli altri animali. Adunque, se vuoi far parere naturale un animal finto, dato, diciamo, che sia un serpente, per la testa pigliane una di un mastino o bracco, e ponile gli occhi di gatto, e le orecchie d’istrice, ed il naso di veltro, e le ciglia di leone, e le tempie di gallo vecchio, ed il collo di testuggine d’acqua.
disegno Leonardo

416. De’ siti che si debbono eleggere per fare le cose che abbiano rilievo con grazia.

Nelle strade volte a ponente, stante il sole a mezzodí, le pareti sieno in modo alte, che quella che è volta al sole non abbia a riverberare ne’ corpi ombrosi, e buona sarebbe l’aria senza splendore; allora saranno veduti i lati de’ volti partecipare dell’oscurità delle pareti a quella opposite; e cosí i lati del naso; e tutta la faccia volta alla bocca della strada sarà illuminata. Per la qual cosa l’occhio che sarà nel mezzo della bocca di tale strada vedrà tal viso con tutte le faccie a lui volte essere illuminate, e quei lati che sono volti alle pareti de’ muri essere ombrosi. A questo s’aggiungerà la grazia d’ombre con grato perdimento, private integralmente d’ogni termine spedito; e questo nascerà per causa della lunghezza del lume che passa infra i tetti delle case e penetra infra le pareti, e termina sopra il pavimento della strada, e risalta per moto riflesso ne’ luoghi ombrosi de’ volti, e quelli alquanto rischiara. E la lunghezza del già detto lume del cielo stampato dai termini de’ tetti con la sua fronte, che sta sopra la bocca della strada, illumina quasi insino vicino al nascimento delle ombre che stanno sotto gli oggetti del volto; e cosí di mano in mano si va mutando in chiarezza, insino che termina sopra del mento con oscurità insensibile per qualunque verso. Come se tal lume fosse ae, vedi la linea fe del lume che illumina fino sotto il naso, e la linea cf solo illumina infin sotto il labbro; e la linea ah si estende fino sotto il mento; e qui il naso rimane forte luminoso, perché è veduto da tutto il lume abcde.

417. Del dividere e spiccare le figure dai loro campi.

Tu hai a mettere la tua figura scura in campo chiaro; e se sarà chiara, mettila in campo scuro; e se è chiara e scura, metti la parte scura nel campo chiaro e la parte chiara nel campo scuro.

418. Della differenza delle figure in ombre e lumi, poste in diversi siti.

I lumi piccoli fanno grandi e terminate ombre sopra i corpi ombrosi. I lumi grandi fanno sopra i corpi ombrosi piccole ombre e di confusi termini. Quando sarà incluso il piccolo e potente lume nel grande e meno potente, come è il sole nell’aria, allora il meno potente resterà in luogo d’ombra sopra de’ corpi da esso illuminati.

419. Del fuggire l’improporzionalità delle circostanze.

Grandissimo vizio si dimostra presso di molti pittori, cioè di fare l’abitazione degli uomini ed altre circostanze in tal modo, che le porte delle città non danno alle ginocchia de’ loro abitatori, ancoraché esse sieno piú vicine all’occhio del riguardatore che non è l’uomo che in quella mostri voler entrare. Abbiamo veduto i portici carichi d’uomini, e le colonne di quelli sostenitrici essere nel pugno ad un uomo che ad una di esse si appoggiava ad uso di sottil bastone; e cosí altre simili cose sono molto da essere schivate.

420. Corrispondano i corpi, sì per grandezza come per ufficio, alla cosa di cui si tratta.

Questa proposizione è prima definita che proposta; adunque leggerai di sopra.

421. De’ termini de’ corpi detti lineamenti, ovvero contorni.

Sono i termini de’ corpi di tanto minima evidenza, che in ogni piccolo intervallo che s’interpone infra la cosa e l’occhio, esso occhio non comprende l’effigie dell’amico o parente, e non lo conosce,se non per l’abito, e per il tutto riceve notizia del tutto insieme con la parte.

422. Degli accidenti superficiali che prima si perdono per le distanze.

Le prime cose che si perdono nel discostarsi dai corpi ombrosi sono i termini loro; secondariamente in piú distanza si perdono le ombre che dividono le parti de’ corpi che si toccano; terzo, la grossezza delle gambe da piè, e cosí successivamente si perdono le parti piú minute, di modo che a lunga distanza solo rimane una massa ovale di confusa figura.

423. Degli accidenti superficiali che prima si perdono nel discostarsi de’ corpi ombrosi.

La prima cosa che de’ colori si perde nelle distanze è il lustro, loro parte minima, e lume de’ lumi; la seconda è il lume, perché è minore dell’ombra; la terza sono le ombre principali; e rimane nell’ultimo una mediocre oscurità confusa.

disegno Leonardo

424. Della natura de’ termini de’ corpi sopra gli altri corpi.

Quando i corpi di convessa superficie termineranno sopra altri corpi di egual colore, il termine del convesso parrà piú oscuro che il corpo che col convesso termine terminerà. Il termine delle aste equigiacenti parrà in campo bianco di grande oscurità, ed in campo oscuro parrà piú che altra sua parte chiaro, ancoraché il lume che sopra le aste discende sia sopra esse aste di egual chiarezza.disegno Leonardo

425. Della figura che va contro il vento.

Sempre la figura che si muove infra il vento per qualunque linea non osserva il centro della sua gravità con debita disposizione sopra il centro del suo sostentacolo.

426. Delle finestre dove si ritraggono le figure.

Sia la finestra delle stanze de’ pittori fatta d’impannate senza tramezzi, ed occupata di grado in grado inverso i suoi termini di gradi di scurito di nero, in modo che il termine del lume non sia congiunto col termine della finestra.
disegno Leonardo

427. Perché misurando un viso e poi dipingendolo in tale grandezza esso si dimostrerà maggiore del naturale.

ab è la larghezza del sito, ed è posta nella distanza della carta cf, dove sono le guancie; essa avrebbe a stare indietro tutto ac, ed allora le tempie sarebbero portate nella distanza or delle linee af e bf, sicché vi è la differenza co ed rd; si conclude che la linea cf e la linea df, per essere piú corte, hanno da andare a trovare la carta dov’è disegnata l’altezza tutta, cioè le linee af e bf dov’è la verità, e si fa la differenza, com’è detto, di co e di rd.

428. Se la superficie d’ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto.disegno Leonardo

Tu hai da intendere, se sarà messo un obietto bianco infra due pareti, delle quali una sia bianca e l’altra nera, che tu troverai tal proporzione infra la parte ombrosa e la parte luminosa del detto obietto, qual sarà quella delle predette pareti; e se l’obietto sarà di colore azzurro, farà il simile; onde, avendo da dipingere, farai come seguita: togli il nero per ombrare l’obietto azzurro che sia simile al nero, ovvero ombra della parete che tu fingi che abbia a riverberare nel tuo obietto, e volendolo fare con certa e vera scienza, userai fare in questo modo: quando tu fai le tue pareti di qual colore si voglia, piglia un piccolo cucchiaro, poco maggiore che quello da orecchie, e maggiore o minore secondo le grandi o piccole opere in che tale operazione s’ha da esercitare; e questo cucchiaro abbia i suoi estremi labbri di eguale altezza, e con questo misurerai i gradi delle quantità de’ colori che tu adopri nelle tue mistioni: come sarebbe, quando nelle dette pareti che tu avessi fatto la prima ombra di tre gradi d’oscurità e d’un grado di chiarezza, cioè tre cucchiari rasi, come si fanno le misure del grano, e questi tre cucchiari fossero di semplice nero, ed un cucchiaro di biacca, tu avresti fatto una composizione di qualità certa senza alcun dubbio. Ora tu hai fatto una parete bianca ed una oscura, ed hai a mettere un obietto azzurro infra loro, il qual obietto vuoi che abbia la vera ombra e lume che a tal azzurro si conviene; adunque poni da una parte quell’azzurro che tu vuoi che resti senz’ombra, e poni da canto il nero; poi togli tre cucchiari di nero, e componilo con un cucchiaro d’azzurro luminoso, e metti con esso la piú oscura ombra. Fatto questo, vedi se l’obietto è sferico, colonnale, o quadrato, o come si sia; e se egli è sferico, tira le linee dagli estremi della parete oscura al centro di esso obietto sferico, e dove esse linee si tagliano nella superficie di tale obietto, quivi infra tanto terminano le maggiori ombre infra eguali angoli; poi comincia a rischiarare, come sarebbe in no, che lascia tanto dell’oscuro quanto esso partecipa della parete superiore ad; il qual colore mischierai con la prima ombra di ab con le medesime distinzioni.

429. Del moto e corso degli animali.

disegno Leonardo
Quella figura si dimostrerà di maggior corso la quale stia piú per rovinare innanzi.

430. De’ corpi che per sé si muovono o veloci o tardi.

Il corpo che per sé si muove sarà tanto piú veloce quanto il centro della sua gravità è piú distante dal centro del suo sostentacolo. Questo è detto per il moto degli uccelli, i quali senza battimento d’ale o favor di vento per se medesimi si muovono: e questo accade quando il centro della loro gravità è fuori del centro del loro sostentacolo, cioè fuori del mezzo della resistenza delle loro ale, perché se il mezzo delle ale sarà piú indietro che il mezzo, ovvero centro della detta gravità di tutto l’uccello, allora esso uccello si muoverà innanzi ed in basso; ma tanto piú o meno innanzi che in basso, quanto il centro della detta gravità sarà piú remoto o propinquo al mezzo delle sue ale, cioè che il centro della gravità remoto dal mezzo delle ale fa il discenso dell’uccello molto obliquo, e se esso centro sarà vicino al mezzo delle ale, il discenso di tale uccello sarà di poca obliquità.

431. Per fare una figura che si dimostri esser alta braccia quaranta in spazio di braccia venti ed abbia membra corrispondenti, e stia dritta in piedi. (Le abbreviazioni che precedono i numeri 10 nella figura incisa significano “braccia.”)

In questo ed in ogni altro caso non deve dar noia al pittore come si stia il muro, ovvero parete dove esso dipinge, e massime avendo l’occhio che riguarda tal pittura a vederla da una finestra, o da altro spiracolo; perché l’occhio non ha da attendere alla planizie ovvero curvità di esse pareti, ma solo alle cose che di là da tal parete si hanno a dimostrare per diversi luoghi della finta campagna. Ma meglio si farebbe tal figura nella curvità frg, perché in essa non sono angoli.
disegno Leonardo

432. Per fare una figura nel muro di dodici braccia, che apparisca d’altezza di ventiquattro braccia.

Se vuoi fare una figura od altra cosa che apparisca d’altezza di ventiquattro braccia, farai in questa forma: figura prima la parete mn con la metà dell’uomo che vuoi fare; di poi l’altra metà farai nella volta mr. Ma prima di fare la figura nella volta, fa sul piano d’una sala la parete della forma che sta il muro con la volta dove tu hai a fare la tua figura, dipoi farai dietro ad essa parete la figura disegnata in profilo di che grandezza ti piace, e tira tutte le sue linee al punto t; e nel modo ch’esse si taglino sulla parete rn, cosí la figurerai sul muro, che ha similitudine con la parete, ed avrai tutte le altezze e sporti della figura; e le larghezze, ovvero grossezze che si trovano nel muro dritto mn, le farai in propria forma, perché nel fuggir del muro la figura diminuisce per se medesima. La figura che va nella volta ti bisogna diminuirla, come se essa fosse dritta, la quale diminuzione ti bisogna fare in su una sala ben piana; e lí sarà la figura che leverai dalla parete nr con le sue vere grossezze, e ridiminuirle in una parete di rilievo sarà buon modo.

433. Pittura e sua membrificazione e componitori.

Luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete. Di queste dieci parti dell’ufficio dell’occhio la pittura ne ha sette, delle quali la prima è luce, tenebre, colore, figura, sito, remozione, propinquità. Io ne levo il corpo, il moto e la quiete; e restano cioè luce e tenebre, che vuol dire ombra e lume, o vuoi dire chiaro e scuro, e colore; il corpo non ci metto, perché la pittura è in sé cosa superficiale, e la superficie non ha corpo, com’è definito in geometria. A dir meglio, ciò ch’è visibile, è connumerato nella scienza della pittura. Adunque i dieci predicamenti dell’occhio detti di sopra, ragionevolmente sono i dieci libri in che io parto la mia pittura; ma luce e tenebre sono un sol libro, che tratta di lume ed ombra, e fassene un medesimo libro perché l’ombra è circondata, ovvero in contatto del lume. E il simile accade al lume coll’ombra, e sempre ne’ confini si mischiano insieme lume ed ombra. E tanto piú l’ombra derivativa si mischia col lume, quanto essa è piú distante dal corpo ombroso. Ma il colore non si vedrà mai semplice. Provasi per la nona, che dice: la superficie d’ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, ancoraché essa sia superficie di corpo trasparente, come aria, acqua e simili; perché l’aria piglia la luce dal sole, e le tenebre nascono dalla privazione d’esso sole. Adunque l’aria si tinge in tanti varî colori quanti son quelli onde essa s’interpone infra l’occhio e loro, perché l’aria in sé non ha colore piú che n’abbia l’acqua, ma l’umido che si mischia con essa dalla mezza regione in giù è quello che la ingrossa, e, ingrossando, i raggi solari che vi percuotono l’illuminano, e l’aria che è da detta mezza regione in su resta tenebrosa; e perché luce e tenebre compongono colore azzurro, questo è l’azzurro in che si tinge l’aria, con tanta maggiore o minore oscurità quanto l’aria è mista con minore o maggiore umidità.
disegno Leonardo

434. Pittura e sua definizione.

La pittura è composizione di luce e di tenebre, insieme mista colle diverse qualità di tutti i colori semplici e composti.

435. Pittura a lume universale.

Usa sempre nelle moltitudini d’uomini e d’animali di fare le parti delle loro figure, ovvero corpi, tanto piú oscure quanto esse sono piú basse e quanto esse sono piú vicine al mezzo della loro moltitudine, ancoraché essi sieno in sé d’uniforme colore; e questo è necessario, perché minor quantità del cielo, illuminatore dei corpi, si vede ne’ bassi spazi interposti fra i detti animali, che nelle parti supreme de’ medesimi spazi. Provasi per la figura qui posta, dove abcd è posto per l’arco del cielo, universale illuminatore de’ corpi ad esso interiori; n m sono i corpi che terminano lo spazio sfrh infra loro interposto, nel quale spazio si vede manifestamente che il sito t (essendo solo illuminato dalla parte del cielo cd) è illuminato da minor parte del cielo che il sito e, il quale è veduto dalla parte del cielo ab che è tre tanti maggiore che il cielo cd; adunque sarà piú illuminata tre tanti in e che in t.

436. De’ campi proporzionati ai corpi che in essi campeggiano, e prima delle superficie piane d’uniforme colore.

I campi di qualunque superficie piana e di colore e lume uniformi non parranno separati da essa superficie, essendo del medesimo colore e lume. Adunque, per il converso parranno separati, se seguita conclusione conversa.

437. Pittura: di figura e corpo.

I corpi regolari sono di due sorta, l’uno de’ quali è vestito di superficie curva, ovale o sferica, l’altro è circondato di superficie laterata, regolare o irregolare. I corpi sferici, ovvero ovali, paiono sempre separati dai loro campi, ancoraché esso corpo sia del colore del suo campo, ed il simile accadrà de’ corpi laterati; e questo accade per essere disposti alla generazione delle ombre da qualcuno de’ loro lati, il che non può accadere nelle superficie piane.

438. Pittura: mancherà prima di notizia la parte di quel corpo che sarà di minor quantità.

Delle parti di quei corpi che si rimuovono dall’occhio, quella mancherà prima di notizia la quale sarà di minor figura; ne segue che la parte di maggior quantità sarà l’ultima a mancare di sua notizia. Adunque, tu, pittore, non finire i piccoli membri di quelle cose che sono molto remote dall’occhio, ma seguita la regola data nel sesto. Quanti sono quelli che nel figurar le città ed altre cose remote dall’occhio fanno i termini notissimi degli edifici non altrimenti che se fossero in vicinissime propinquità; e questo è impossibile in natura, perché nessuna potentissima vista è quella che in sí vicina propinquità possa vedere i predetti termini con vera notizia, perché i termini d’essi corpi sono termini delle loro superficie, ed i termini delle superficie sono linee, le quali linee non sono parte alcuna della quantità di essa superficie, né anche dell’aria che di sé veste tal superficie. Adunque quello che non è parte d’alcuna cosa è invisibile, come è provato in geometria. E se tu, pittore, farai essi termini spediti e noti, come è in usanza, e’ non sarà da te figurata sí remota distanza, che per tale difetto ( Nell’edizione romana, 1817: “effetto.”) non si dimostri vicinissima. Ancora gli angoli degli edifici son quelli che nelle distanti città non si debbono figurare, perché d’appresso è impossibile vederli, conciossiaché essi angoli sono il concorso di due linee in un punto, ed il punto non ha parte, adunque è invisibile.

439. Perché una medesima campagna si dimostra alcuna volta maggiore o minore ch’essa non è.

Mostransi le campagne alcuna volta maggiori o minori che esse non sono, per l’interposizione dell’aria piú grossa o sottile del suo ordinario, la quale s’interpone infra l’orizzonte e l’occhio che lo vede. Infra gli orizzonti di egual distanza dall’occhio, quello si dimostrerà esser piú remoto, il quale sarà veduto infra l’aria piú grossa, e quello si dimostrerà piú propinquo, che si vedrà in aria piú sottile. Una medesima cosa, veduta in distanze eguali, parrà tanto maggiore o minore, quanto l’aria interposta fra l’occhio e la cosa sarà piú grossa o sottile. E s’è la cosa veduta nel termine di cento miglia di distanza, le quali miglia sieno aria conforme e sottile, e che la medesima cosa sia veduta nel termine di esse cento miglia, le quali sieno di aria uniforme e grossa con grossezza quadrupla all’aria antidetta, senza dubbio le medesime cose vedute nella prima aria sottile, e poi vedute nella grossa, parranno quattro tanti maggiori che nella sottile. Le cose ineguali, vedute in distanze eguali parranno eguali; se la grossezza dell’aria interposta infra l’occhio ed esse cose sarà ineguale, cioè l’aria grossa interposta infra la cosa minore; e questo si prova mediante la prospettiva de’ colori, che fa che una gran montagna, parendo piccola alla misura, pare maggiore che una piccola vicino all’occhio, come spesso si vede che un dito vicino all’occhio copre una gran montagna discosta dall’occhio.

440. Pittura.

Fra le cose di eguale oscurità, magnitudine, figura e distanza dall’occhio, quella si dimostrerà minore, che sarà veduta in campo di maggior splendore o bianchezza. Questo c’insegna il sole veduto dietro alle piante senza foglie, che tutte le loro ramificazioni che si trovano a riscontro del corpo solare sono tanto diminuite, che esse restano invisibili. Il simile farà un’asta interposta fra l’occhio e il corpo solare. I corpi paralleli posti per lo dritto, essendo veduti infra la nebbia, s’hanno a dimostrar piú grossi da capo che da piedi. Provasi per la nona, che dice: la nebbia o l’aria grossa penetrata dai raggi solari si mostrerà tanto piú bianca, quanto essa è piú bassa. Le cose vedute da lontano sono sproporzionate, e questo nasce perché la parte piú chiara manda all’occhio il suo simulacro con piú vigoroso raggio che non fa la parte sua oscura. Ed io vidi una donna vestita di nero con panno bianco in testa, che si mostrava due tanti maggiore che la grossezza delle sue spalle, le quali erano vestite di nero.
disegno Leonardo

441. Delle città ed altre cose vedute all’aria grossa.

Gli edifici delle città veduti sotto l’occhio ne’ tempi delle nebbie e delle arie ingrossate dai fumi de’ loro fuochi, od altri vapori, sempre saranno tanto meno noti quanto e’ sono in minor altezza, e per il converso saranno tanto piú spediti e noti quanto si vedranno in maggior altezza. Provasi per la quarta di questo, che dice: l’aria esser tanto piú grossa quanto è piú bassa, e tanto piú sottile quanto è piú alta. E questo si dimostra per essa quarta posta in margine; e diremo la torre af esser veduta dall’occhio n nell’aria grossa, la quale si divide in quattro gradi, tanto piú grossi, quanto sono piú bassi. Quanto minor quantità d’aria s’interpone fra l’occhio e la cosa veduta, tanto meno il colore d’essa cosa parteciperà del colore di tale aria. Seguita che quanto maggior quantità sarà d’aria interposta infra l’occhio e la cosa veduta, tanto piú la cosa parteciperà del colore dell’aria interposta. Dimostrasi: essendo l’occhio n al quale concorrono le cinque specie delle cinque parti della torre af, cioè abcdef, dico che se l’aria fosse d’uniforme grossezza, tal proporzione avrebbe la partecipazione del colore dell’aria che acquista il piè della torre, f, con la partecipazione del colore dell’aria che acquista la parte della torre b, quale è la proporzione che ha la lunghezza della linea fm con la linea bs. Ma per la passata, che prova l’aria non essere uniforme nella sua grossezza, ma tanto piú grossa quanto essa è piú bassa, egli è necessario che la proporzione de’ colori in che l’aria tinge di sé le parti della torre b ed f sieno di maggior proporzione che la proporzione sopradetta, conciossiaché la linea mf, oltre all’essere piú lunga che la linea sb, passa per l’aria, che ha grossezza uniformemente disforme.

442. De’ raggi solari che penetrano gli spiracoli de’ nuvoli.disegno Leonardo

I raggi solari penetratori degli spiracoli interposti infra le varie densità e globosità de’ nuvoli, illuminano tutti i siti dove si tagliano, ed illuminano anche le tenebre, e tingono di sé tutti i luoghi oscuri che sono dopo loro, le quali oscurità si dimostrano infra gli intervalli di essi raggi solari.

443. Delle cose che l’occhio vede sotto sé miste infra nebbia ed aria grossa.

Quanto l’aria sarà piú vicina all’acqua o alla terra, tanto si farà piú grossa. Provasi per la diciannovesima del secondo, che dice: quella cosa meno si leverà che avrà in sé maggior gravezza; ne seguita che la piú lieve piú s’innalza che la grave; adunque è concluso il nostro proposito.
disegno Leonardo

444. Degli edifici veduti nell’aria grossa.

Quella parte dell’edificio sarà manco evidente, che si vedrà in aria di maggior grossezza; e cosí di converso sarà piú nota quella che si vedrà in aria piú sottile. Adunque l’occhio n, vedendo la torre ad, ne vedrà in ogni grado di bassezza parte manco nota e piú chiara, ed in ogni grado d’altezza parte piú nota e meno chiara.

445. Della cosa che si mostra da lontano.

Quella cosa oscura si dimostrerà piú chiara, la quale sarà piú remota dall’occhio. Seguita per il converso che la cosa oscura si dimostrerà di maggiore oscurità la quale si troverà piú vicina all’occhio. Adunque le parti inferiori di qualunque cosa posta nell’aria grossa parranno piú remote da piedi che nelle loro sommità, e per questo la vicina base del monte parrà piú lontana che la cima del medesimo monte, la quale in sé è piú remota.

446. Della veduta di una città in aria grossa.

L’occhio che sotto di sé vede la città in aria grossa, vede le sommità degli edifici piú oscure e piú note che il loro nascimento, e vede le dette sommità in campo chiaro, perché le vede nell’aria bassa e grossa; e questo avviene per la passata.

447. De’ termini inferiori delle cose remote.

I termini inferiori delle cose remote saranno meno sensibili che i loro termini superiori; e questo accade assai alle montagne e ai colli, le cime de’ quali si facciano campi de’ lati delle altre montagne che sono dopo loro; ed a queste si vedono i termini di sopra piú spediti che le loro basi, perché il termine di sopra è piú oscuro, per esser meno occupato dall’aria grossa, la quale sta ne’ luoghi bassi; e questa è quella che confonde i detti termini delle basi de’ colli: ed il medesimo accade negli alberi e negli edifici ed altre cose che s’innalzano infra l’aria; e di qui nasce che spesso le alte torri vedute in lunga distanza paiono grosse da capo e sottili da piedi, perché la parte di sopra mostra gli angoli de’ lati che terminano con la fronte, perché l’aria sottile non te li cela, come la grossa a quelli da piedi; e questo accade per la settima del primo, che dice: dove l’aria grossa s’interpone infra l’occhio e il sole, è piú lucente in basso che in alto; e dove l’aria è piú bianca, essa occupa all’occhio piú le cose oscure che se tale aria fosse azzurra, come si vede in lunga distanza i merli delle fortezze avere gli spazi loro eguali alla larghezza de’ merli, e pare assai maggiore lo spazio che il merlo; ed in distanza piú remota lo spazio occupa e cuopre tutto il merlo, e tal fortezza sol mostra il muro dritto e senza merli.

448. Delle cose vedute da lontano.

I termini di quell’obietto saranno manco noti, che saranno veduti in maggior distanza.

449. Dell’azzurro di che si mostrano essere i paesi lontani.

Delle cose remote dall’occhio, le quali sieno di che color si voglia, quella si dimostrerà di colore piú azzurro, la quale sarà di maggiore oscurità naturale o accidentale. Naturale è quella che è oscura da sé; accidentale è quella che è oscurata mediante l’ombra che le è fatta da altri obietti.

450. Quali sono quelle parti de’ corpi delle quali per distanza manca la notizia.

Quelle parti de’ corpi che saranno di minor quantità saranno le prime delle quali per lunga distanza si perde la notizia. Questo accade perché le specie delle cose minori in pari distanza vengono all’occhio con minor angolo che le maggiori, e la cognizione delle cose remote è di tanto minor notizia quanto esse sono di minor quantità. Seguita dunque, che quando la quantità maggiore in lunga distanza viene all’occhio per angolo minimo, e quasi si perde di notizia, la quantità minore del tutto manca della sua cognizione.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE TERZA

Capitoli da 451 a 516

451. Perché le cose quanto più si rimuovono dall’occhio manco si conoscono.

Quella cosa sarà manco nota, la quale sarà più remota dall’occhio. Questo accade perché prima si perdono le parti che sono più minute, e le seconde, meno minute, sono perse nella maggior distanza; e cosí successivamente seguitando a poco a poco, consumandosi le parti, si consuma la notizia della cosa remota, in modo che alla fine si perdono tutte le parti insieme col tutto; e manca ancora il colore per causa della grossezza dell’aria che s’interpone infra l’occhio e la cosa veduta.

452. Perché le torri parallele paiono nelle nebbie più strette da piedi che da capo.

Le torri parallele nella nebbia si dimostrano in lunga distanza più sottili da piedi che da capo, perché la nebbia che loro fa campo è più spessa e più bianca da basso che da alto; onde per la terza di questo che dice: la cosa scura posta in campo bianco diminuisce all’occhio la sua grandezza, e il converso che dice: la cosa bianca posta in campo scuro si dimostra più grossa che in campo chiaro, seguita che la bassezza della torre oscura avendo per campo la bianchezza della bassa e folta nebbia, essa nebbia cresce in dimostrazione sopra i termini inferiori di tale torre e li diminuisce; il che far non può tal nebbia ne’ termini superiori della torre dove la nebbia è più sottile.

453. Perché i volti da lontano paiono oscuri.

Noi vediamo chiaro che tutte le similitudini delle cose evidenti che ci sono per obietto, cosí grandi come piccole, entrano al senso per la piccola luce dell’occhio. Se per sí piccola entrata passala similitudine della grandezza del cielo e della terra, essendo il volto dell’uomo infra sí grandi similitudini di cose quasi niente, per la lontananza che lo diminuisce, occupa sí poco d’essa luce, che rimane incomprensibile; ed avendo da passare dalla superficie all’impressiva per un mezzooscuro, cioè il nervo vuoto, che pare oscuro, quella specie, non essendo di color potente, si tinge in quella oscurità della via, e giunta alla impressiva pare oscura. Altra cagione non si può in nessun modo integrare. Se quel punto è nero, che sta nella luce, è perché egli è pieno d’un umore trasparente a guisa d’aria, e fa l’ufficio che farebbe un buco fatto in un’asse, che a riguardarlo par nero, e le cose vedute per l’aria chiara e scura si confondono nell’oscurità.

454. Perché l’uomo visto a certa distanza non è conosciuto.

La prospettiva diminuita ci dimostra, che quanto la cosa è più lontana, più si fa piccola. E se tu riguarderai un uomo che sia distante da te una balestrata, e ti parrà la finestra di una piccola agucchia appresso all’occhio, potrai vedere per quella molti uomini mandare le loro similitudini all’occhio, e in un medesimo tempo tutte capiranno in detta finestra. Adunque, se l’uomo lontano una balestrata manda la sua similitudine all’occhio, che occupa una piccola parte di una finestra d’agucchia, come potrai tu in sí piccola figura scorgere o vedere il naso, o bocca, od alcuna particola di esso corpo? E non vedendosi, non potrai conoscere l’uomo che non mostra le membra, le quali fanno gli uomini di diverse forme.

455. Quali sono le parti che prima si perdono di notizia ne’ corpi che si rimuovono dall’occhio, e quali più si conservano.

Quella parte del corpo che si rimuove dall’occhio è quella che meno conserva la sua evidenza, la quale è di minor figura. Questo accade ne’ lustri de’ corpi sferici o colonnali, e nelle membra più sottili de’ corpi, come il cervo, che prima si rimane di mandar all’occhio le specie, ovvero similitudini delle sue gambe e corna che il suo busto, il quale, per esser più grosso, più si conserva nelle sue specie. Ma la prima cosa che si perde in distanza sono i lineamenti, che terminano le superficie e figure de’ corpi.

456. Della prospettiva lineare.

La prospettiva lineale si estende nell’ufficio delle linee visuali a provare per misura quanto la cosa seconda è minore che la prima, e la terza che la seconda, e cosí di grado in grado insino al fine delle cose vedute. Trovo per esperienza che la cosa seconda, se sarà tanto distante dalla prima quanto la prima è distante dall’occhio tuo, che, benché infra loro sieno di pari grandezza, la seconda sarà minore che la prima; e se la terza cosa sarà di pari grandezza della seconda e prima innanzi ad essa, sarà lontana dalla seconda quanto la seconda dalla prima, sarà di un terzo della grandezza della prima; e cosí, di grado in grado, per pari distanza faranno sempre diminuzione proporzionata la seconda dalla prima, purché l’intervallo non passi dentro al numero di venti braccia; e infra dette venti braccia la figura simile a te perderà due quarti di sua grandezza, ed infra quaranta perderà tre quarti e poi cinque sesti in sessanta braccia, e cosí di mano in mano farà sua diminuzione, facendo la parete lontana da te due volte la tua grandezza, ché il farla una sola fa gran differenza dalle prime braccia alle seconde.

457. De’ corpi veduti nella nebbia.

Quelle cose le quali saranno vedute nella nebbia si dimostreranno maggiori assai che la loro vera grandezza; e questo nasce perché la prospettiva del mezzo interposto infra l’occhio e tale obietto non accorda il color suo con la magnitudine di esso obietto, perché tal nebbia è simile alla confusa aria interposta infra l’occhio e l’orizzonte in tempo sereno, ed il corpo vicino all’occhio veduto dopo la vicina nebbia si mostra essere alla distanza dell’orizzonte, nel quale una grandissima torre si dimostrerebbe minore che il predetto uomo, stando vicino.

458. Delle altezze degli edifici visti nelle nebbie.

Quella parte del vicino edificio si mostra più confusa, la quale è più remota da terra; e questo nasce perché più nebbia è infra l’occhio e la cima dell’edificio, che non è dall’occhio alla sua base. La torre parallela veduta in lunga distanza infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto essa sarà più vicina alla sua base. Questo nasce per la passata, che dice: la nebbia si dimostra tanto più bianca e più spessa, quanto essa è più vicina alla terra, e per la seconda di questo, che dice: la cosa oscura parrà di tanto minor figura quanto essa sarà veduta in campo di più potente bianchezza. Adunque, essendo più bianca la nebbia da piedi che da capo, è necessario che l’oscurità di tal torre si dimostri più stretta da piedi che da capo.

459. Delle città ed altri edifici veduti la sera o la mattina nella nebbia.

Negli edifici veduti in lunga distanza da sera o da mattina nella nebbia od aria grossa, solo si dimostra la chiarezza delle loro parti illuminate dal sole, che si trova inverso l’orizzonte, e le parti de’ detti edifici che non sono vedute dal sole restano quasi del colore di mediocre oscurità di nebbia.
disegno Leonardo

460. Perché le cose più alte poste nella distanza sono più oscure che le basse, ancoraché la nebbia sia uniforme in grossezza.

Delle cose poste nella nebbia, od altra aria grossa, o per vapore, o per fumo, o per distanza, quella sarà tanto più nota, che sarà più alta; e delle cose di eguale altezza quella parrà più oscura, che campeggia in più profonda nebbia, come accade all’occhio h, che vedendo a b c torri di eguale altezza infra loro, vede c, sommità della prima torre, in r, bassezza di due gradi di profondità nella nebbia, e vede la sommità della torre di mezzo b in un sol grado di nebbia; adunque c sommità si dimostra più oscura che la sommità della torre b.
disegno Leonardo

461. Delle macchie delle ombre che appariscono ne’ corpi da lontano.

Sempre la gola od altra perpendicolare dirittura che sopra di sé abbia alcuno sporto sarà più oscura che la faccia perpendicolare di esso sporto; ne seguita che quel corpo si dimostrerà più illuminato, che da maggior somma di un medesimo lume sarà veduto. Vedi in a che non v’illumina parte alcuna del cielo fk, ed in b vi illumina il cielo ik, ed in c il cielo hk, ed in d il cielo gk, ed in e il cielo fk integralmente; adunque il petto sarà di pari chiarezza della fronte, naso e mento. Ma quello che io ti ho a ricordare de’ volti, è che tu consideri in quelli come in diverse distanze si perdono diverse qualità d’ombre, e solo restano quelle prime macchie, cioè della incassatura dell’occhio ed altre simili, e nel fine il viso rimane oscuro, perché in quello si consumano i lumi, i quali sono piccola cosa a comparazione delle ombre mezzane, per la qual cosa a lungo andare si consuma qualità e quantità de’ lumi ed ombre principali, e si confonde ogni qualità in un’ombra mezzana. E questa è la causa che gli alberi ed ogni corpo a certa distanza si dimostrano farsi in sé più oscuri che essendo quelli medesimi vicini all’occhio; la quale oscurità nell’aria che s’interpone infra l’occhio e la cosa fa che essa cosa si rischiara e pende in azzurro; ma piuttosto azzurreggia nelle ombre che nelle parti luminose, dove si mostra più la verità de’ colori.
disegno Leonardo

462. Perché sul far della sera le ombre de’ corpi generate in bianca parete sono azzurre.

Le ombre de’ corpi generate dal rossore del sole vicino all’orizzonte sempre saranno azzurre; e questo nasce per l’undecima, dove si dice: la superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque, essendo la bianchezza della parete privata al tutto d’ogni colore, si tinge del colore de’ suoi obietti, i quali sono in questo caso il sole ed il cielo, perché il sole rosseggia verso la sera, ed il cielo dimostra azzurro; e dove è l’ombra non vede il sole, per l’ottava delle ombre, che dice: il luminoso non vede mai le ombre da esso figurate; (Nel codice: «Nessun luminoso non vede mai,» ecc. Nell’ edizione romana, 1817: «Nessun luminoso non vide mai le ombre del corpo da lui illuminato; quivi è veduto,» ecc.) e dove in tal parete non vede il sole, quivi è veduto dal cielo; adunque per la detta undecima, l’ombra derivativa avrà la percussione nella bianca parete di colore azzurro, ed il campo d’essa ombra veduto dal rossore del sole parteciperà del color rosso.

463. Dove è più chiaro il fumo.

Il fumo veduto infra il sole e l’occhio sarà chiaro e lucido più che alcun’altra parte del paese dove nasce; il medesimo fanno la polvere e la nebbia, le quali, se tu sarai ancora infra il sole e loro, ti parranno oscure.

464. Della polvere.

La polvere che si leva per il corso d’alcun animale, quanto più si leva, più è chiara, e cosí più è oscura, quanto meno s’innalza, stante essa infra il sole e l’occhio.

465. Del fumo.

Il fumo è più trasparente ed oscuro inverso gli estremi delle sue globulenze che inverso i loro mezzi. Il fumo si muove con tanto maggiore obliquità, quanto il vento suo motore è più potente. Sono i fumi di tanti varî colori, quante sono le varietà delle cose che li generano. I fumi non fanno ombre terminate, ed i loro confini sono tanto meno noti, quanto essi sono più distanti dalle loro cause; e le cose poste dopo loro sono tanto meno evidenti, quanto i gruppi del fumo sono più densi; e tanto più son bianchi, quanto sono più vicini al principio, e più azzurri inverso il fine. Il fuoco parrà tanto più scuro, quanto maggior somma di fumo s’interporrà infra l’occhio ed esso fuoco. Dove il fumo è più remoto, le cose sono da esso meno occupate. Fa il paese con fumo ad uso di spessa nebbia, nella quale si vedano fumi in diversi luoghi con le loro fiamme ne’ principî illuminatrici delle più dense globulenze d’essi fumi; ed i monti più alti, più sieno evidenti che le loro radici, come fare si vede nelle nebbie. (Nota del codice: «Era sotto di questo capitolo un rompimento di montagna, per dentro dalla quali rotture scherzavano)

466. Pittura.

La superficie di ogni opaco partecipa del colore del suo obietto, e tanto più, quanto tal superficie si avvicina a maggior bianchezza. La superficie d’ogni opaco partecipa del colore del mezzo trasparente interposto infra l’occhio ed essa superficie: e tanto più, quanto esso mezzo è più denso, o con maggiore spazio s’interpone infra l’occhio e la detta superficie. I termini de’ corpi opachi saranno meno noti quanto saranno più distanti dall’occhio che li vede.

467. Della parte del corpo opaco.

Quella parte del corpo opaco sarà più ombrata o illuminata, che sarà più vicina all’ombroso che l’oscura, o al luminoso che l’illumina.
La superficie d’ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, ma con tanto maggiore o minore impressione quanto esso obietto è più vicino o remoto, o di maggiore o minor potenza. Le cose vedute infra il lume e le ombre si dimostreranno di maggior rilievo che quelle che sono nel lume o nelle ombre.

468. Precetto di pittura.

Quando tu farai nelle lunghe distanze le cose cognite e spedite, esse cose non distanti ma propinque si dimostreranno. Adunque, nella tua imitazione fa che le cose abbiano quella parte della cognizione che mostrano le distanze; e se la cosa che ti sta per obietto sarà di termini confusi e dubbiosi, ancora tu farai il simile nel tuo simulacro. Le cose distanti per due diverse cause si dimostrano di confusi e dubbiosi termini; l’una delle quali è che viene per tanto piccolo angolo all’occhio, ch’essa diminuisce tanto, che fa l’ufficio delle cose minime, che, ancoraché esse sieno vicine all’occhio, l’occhio non può comprendere di che figura si sia tal corpo, come sono le unghie delle dita delle formiche e simili cose. La seconda è, che infra l’occhio e le cose distanti s’interpone tanto d’aria che essa si fa spessa e grossa; per la sua bianchezza essa tinge le ombre e le vela della sua bianchezza, e le fa oscure d’un colore il quale è tra nero e bianco, quale è l’azzurro. Benché per le lunghe distanze si perda la cognizione dell’essere di molte cose, nondimeno quelle che saranno illuminate dal sole si renderanno di più certa dimostrazione, e le altre nelle confuse nebbie parranno involte. Perché in ogni grado di bassezza l’aria acquista parte di grossezza, le cose che saranno più basse si dimostreranno più confuse, e così di converso. Quando il sole fa rosseggiare i nuvoli dell’orizzonte, le cose che per la distanza si vestivano d’azzurro saranno partecipanti di tal rossore, onde si farà una mistione infra azzurro e rosso, la quale renderà la campagna molto allegra e gioconda; e tutte le cose che saranno illuminate da tal rossore, che sono dense, saranno molto evidenti, e rosseggieranno; e l’aria per esser trasparente avrà in sé per tutto infuso tal rosseggiamento, onde si dimostrerà del color del fiore de’ gigli. fiamme di fuoco, disegnate di penna ed ombrate di acquarella, da vedere cosa mirabile e viva.» Sempre quell’aria che sta infra il sole e la terra, quando si leva o pone, sarà più occupatrice delle cose che sono dopo essa che nessun’altra parte d’aria; e questo nasce dall’essere essa più biancheggiante.

469. De’ termini della cosa bianca.

Non sian fatti profili ne’ termini di un corpo che campeggi sopra un altro, ma solo esso corpo per sé si spiccherà. Se il termine della cosa bianca si scontrerà sopra altra cosa bianca, se esso sarà curvo, creerà termine oscuro per sua natura, e sarà la più oscura parte che abbia la parte luminosa, e se campeggierà in luogo oscuro, esso termine parrà la più chiara parte che abbia la parte luminosa. Quella cosa parrà più remota e spiccata dall’altra che campeggierà in campo più vario da sé. Nelle distanze si perdono prima i termini de’ corpi che hanno colori simili, e che il termine dell’uno sia sopra dell’altro, come il termine d’una quercia sopra un’altra quercia simile. Secondo, in maggior distanza si perderanno i termini dei corpi di colori mezzani terminati l’uno sopra dell’altro, com’è verde, cioè alberi, terreno lavorato, muraglie, od altre rovine di monti o di sassi. Per ultimo si perderanno i termini de’ corpi, terminati il chiaro nell’oscuro e l’oscuro nel chiaro.

disegno Leonardo470. Precetto.

Infra le cose di eguale altezza che sopra l’occhio sieno situate, quella che sarà più remota dall’occhio parrà più bassa. E se sarà situata sotto l’occhio, la più vicina ad esso occhio parrà più bassa; e le laterali parallele concorreranno in un punto. Manco sono evidenti ne’ siti lontani le cose che sono d’intorno ai fiumi, che quelle che da tali fiumi o paduli sono remote. Infra le cose di eguale spessitudine, quelle che saranno più vicine all’occhio parranno più rare, e le più remote si mostreranno più spesse. L’occhio che sarà di maggior pupilla vedrà l’obietto di maggior figura. Questo si dimostra nel guardare un corpo celeste per un piccolo spiracolo fatto con l’ago nella carta, che per non poter operare di essa luce se non una piccola parte, esso corpo pare diminuire tanto della sua grandezza, disegno Leonardoquanto la parte della luce che lo vede è mancante del suo tutto. L’aria che è ingrossata, e s’interpone infra l’occhio e la cosa, ti rende essa cosa d’incerti e confusi termini, e fa esso obietto parere di maggior figura che non è. Questo nasce perché la prospettiva lineale non diminuisce l’angolo che porta le sue specie all’occhio, e la prospettiva de’ colori la spinge e rimuove in maggior distanza che essa non è; sicché l’una la rimuove dall’occhio, e l’altra le conserva la sua magnitudine. Quando il sole è in occidente, le nebbie che ricadono ingrossano l’aria e le cose che non sono vedute dal sole restano oscure e confuse, e quelle che dal sole sono illuminate rosseggiano e galleggiano, secondo che il sole si dimostra all’orizzonte. Ancora le cose che da questo sono illuminate sono forte evidenti, e massime gli edifici e le case delle città e ville, perché le loro ombre sono oscure, e pare che tale loro certa dimostrazione nasca di confusi ed incerti fondamenti; perché ogni cosa è d’un colore, se non è veduta da esso sole. Quando il sole è in occidente, i nuvoli che infra esso e te si trovano sono illuminati di sotto, ché vedono il sole, e gli altri di qua sono oscuri, ma di scuro rosseggiante, ed i trasparenti hanno poche ombre. La cosa illuminata dal sole è ancora illuminata dall’aria, in modo che si creano due ombre, delle quali quella sarà più oscura, che avrà la sua linea centrale dritta al centro del sole. Sempre la linea centrale del lume primitivo e derivativo sarà con la linea centrale delle ombre primitive o derivative. Bello spettacolo fa il sole quando è in ponente, il quale illumina tutti gli alti edifici delle città e castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge del suo colore; disegno Leonardoe tutto il resto da lí in giù rimane di poco rilievo, perché, essendo solamente illuminato dall’aria, hanno poca differenza le ombre dai lumi, e per questo non spiccano troppo; e le cose che infra queste più s’innalzano sono tocche dai raggi solari, e, come si è detto, si tingono nel loro colore; onde tu hai a torre del colore di che tu fai il sole, e ne hai a mettere in qualunque color chiaro con il quale tu illumini essi corpi. Ancora spesse volte accade che un nuvolo parrà oscuro senza avere ombra da altro nuvolo da esso separato; e questo accade secondo il sito dell’occhio, perché dell’uno vicino vede solo la parte ombrosa, e degli altri vede l’ombrosa e la luminosa. Infra le cose di eguale altezza, quella che sarà più distante dall’occhio parrà più bassa. Vedi che il nuvolo primo, ancoraché sia più basso che il secondo, pare più alto di questo, come ti dimostra nella parete il tagliamento della piramide del primo nuvolo basso in no, e nel secondo più alto in nm, sotto on. Questo nasce quando ti par vedere un nuvolo oscuro più alto che un nuvolo chiaro per i raggi del sole o in oriente o in occidente.

471. Perché la cosa dipinta, ancoraché essa venga all’occhio per quella medesima grossezza disegno Leonardod’angolo che quella che è più remota di essa, non pare tanto remota quanto quella della remozione naturale.

Diciamo: io dipingo sulla parete ab una cosa che abbia a parere distante un miglio, e dipoi io gliene metto allato una che ha la vera distanza di un miglio, le quali due cose sono in modo ordinate, che la parete ac taglia le piramidi con egual grandezza; nientedimeno mai con due occhi parranno di egual distanza.

472. Pittura.

Principalissima parte della pittura sono i campi delle cose dipinte, ne’ quali campi i termini de’ corpi naturali che hanno in essi curvità convessa sempre si conoscono le figure di tai corpi in essi campi, ancoraché i colori de’ corpi sieno del medesimo colore del predetto campo. E questo nasce perché i termini convessi de’ corpi non sono illuminati nel medesimo modo che dal medesimo lume è illuminato il campo, perché tal termine molte volte è più chiaro o più oscuro che esso campo. Ma se tal termine è del colore di tal campo, senza dubbio tal parte di pittura proibirà la notizia della figura di tal termine, e questa tale elezione di pittura è da essere schivata dagl’ingegni de’ buoni pittori, conciossiaché l’intenzione del pittore è di far parere i suoi corpi di qua dai campi; e nel sopradetto caso accade il contrario, non che in pittura, ma nelle cose di rilievo.

473. Del giudizio ch’hai da fare sopra un’opera d’un pittore.

Prima è che tu consideri le figure, se hanno il rilievo qual richiede il sito ed il lume che le illumina, e che le ombre non sieno quelle medesime negli estremi dell’istoria che nel mezzo, perché altra cosa è l’essere circondato dall’ombra, ed altra è l’aver l’ombra da un sol lato. Quelle sono circondate dalle ombre, che sono inverso il mezzo dell’istoria, perché sono adombrate dalle figure interposte infra esse ed il lume: e quelle sono adombrate da un solo lato, le quali sono interposte infra il lume e l’istoria, perché dove non vede il lume, vede l’istoria, e vi rappresenta l’oscurità d’essa istoria, e dove non vede l’istoria, vede lo splendore del lume, e vi si rappresenta la sua chiarezza. Secondaria è che il seminamento, ovvero compartizione delle figure, sia secondo il caso del quale tu vuoi che sia essa istoria. Terza, che le figure sieno con prontitudine intente al loro particolare.

474. Del rilievo delle figure remote dall’occhio.

Quel corpo opaco si dimostrerà essere di minor rilievo, il quale sarà più distante dall’occhio; e questo accade perché l’aria interposta fra l’occhio ed esso corpo opaco, per esser essa cosa chiara più che l’ombra di tal corpo, corrompe essa ombra, e la rischiara, e le toglie la potenza della sua oscurità, la qual cosa è causa di farle perdere il suo rilievo.

475. De’ termini de’ membri illuminati.

Il termine di quel membro illuminato parrà più oscuro, che sarà veduto in campo più chiaro, e cosí parrà più chiaro quello che sarà veduto in campo più oscuro; e se tal termine sarà piano e veduto in campo chiaro simile alla chiarezza sua, il termine sarà insensibile.

476. De’ termini.

I termini delle cose seconde non saranno mai cogniti come i primi. Adunque tu, pittore, non terminare immediate le cose quarte con le quinte, come le prime con le seconde, perché il termine d’una cosa in un’altra è di natura di linea matematica, ma non linea; perché il termine d’un colore è principio d’un altro colore, e non ha da essere però detto linea, perché nessuna cosa s’interpone infra il termine di un colore che sia anteposto ad un altro colore, se non è il termine, il quale è cosa insensibile d’appresso; adunque tu, pittore, non lo pronunziare nelle cose distanti.

477. Delle incarnazioni e figure remote dall’occhio.

Devesi per lo pittore porre nelle figure e cose remote dall’occhio solamente le macchie, non terminate, ma di confusi termini; e sia fatta l’elezione di tali figure quando è nuvolo, o in sulla sera, e sopratutto guardisi, come ho detto, dai lumi ed ombre terminate, perché paiono poi tinte quando si vedono da lontano, e riescono poi opere difficili e senza grazia. E ti hai a ricordare che mai le ombre sieno di qualità, che per la loro oscurità tu abbia a perdere il colore ove si causano, se già il luogo dove i corpi sono situati non fosse tenebroso; e non far profili, non disfilar capelli, non dar lumi bianchi, se non nelle cose bianche, e che essi lumi abbiano a dimostrare la prima bellezza del colore dove si posano.

478. Pittura.

I termini e la figura di qualunque parte de’ corpi ombrosi male si conoscono nelle ombre e ne’ lumi loro; ma nelle parti interposte infra i lumi e le ombre le parti di essi corpi sono in primo grado di notizia.

479. Discorso di pittura.

La prospettiva, la quale si estende nella pittura, si divide in tre parti principali, delle quali la prima è della diminuzione che fanno le quantità de’ corpi in diverse distanze; la seconda parte è quella che tratta della diminuzione de’ colori di tali corpi; la terza è quella che diminuisce la notizia delle figure e de’ termini che hanno essi corpi in varie distanze.

480. Pittura.

L’azzurro dell’aria è di color composto di luce e di tenebre; la luce dico per causa dell’aria illuminata nelle particole dell’umidità infra essa aria infusa; per le tenebre dico l’aria pura, la quale non è divisa in atomi, cioè particole d’umidità, nella quale s’abbiano a percuotere i raggi solari. E di questo si vede l’esempio nell’aria che s’interpone infra l’occhio e le montagne ombrose per le ombre della gran copia degli alberi che sopra esse si trovano, ovvero ombrose in quella parte che non è percossa dai raggi solari, la quale aria si fa azzurra, e non si fa azzurra nella parte sua luminosa, e peggio nella parte coperta di neve. Fra le cose egualmente oscure e di egual distanza, quella si dimostrerà esser più oscura, che terminerà in più bianco campo, e cosí di converso. Quella cosa che sarà dipinta di bianco e nero apparirà di miglior rilievo che alcun’altra. Però ricordati, pittore, di vestire le tue figure di colori più chiari che tu puoi: ché se le farai di colore oscuro, saranno di poco rilievo e di poca evidenza da lontano, e questo perché le ombre di tutte le cose sono oscure; e se farai una veste oscura, poco divario sarà dal lume alle ombre; e ne’ colori chiari vi sarà gran differenza.

481. Perché di due cose di pari grandezza parrà maggiore la dipinta che quella di rilievo.

Questa ragione non è di facile dimostrazione, come molte altre, ma pure mi ingegnerò di satisfare, se non in tutto, almeno in quel tanto che più potrò. La prospettiva diminuita ci dimostra per ragione che le cose, quanto più son lontane dall’occhio, più diminuiscono, e queste ragioni ben son confermate dall’esperienza; adunque le linee visuali che si trovano infra l’obietto e l’occhio, quando s’estendono alla superficie della pittura, tutte si tagliano a un medesimo termine, e le linee che si trovano infra l’occhio e la scultura sono di varî termini e lunghezze. Quella linea è più lunga che s’estende sopra un membro più lontano che gli altri, e però quel membro pare minore, essendovi molte linee più lunghe che le altre; e per cagione che vi sono molte particole più lontane l’una che l’altra, ed essendo più lontane, conviene ch’appariscano minori; apparendo minori, vengono a fare, pel loro diminuire, minore tutta la somma dell’obietto. E questo non accade nella pittura. Per le linee terminate ad una medesima distanza, conviene che sieno senza diminuzione; adunque le particole non diminuite non diminuiscono la somma dell’obietto; e per questo non diminuisce la pittura come la scultura.

482. Perché le cose perfettamente ritratte di naturale non paiono del medesimo rilievo qual pare esso naturale.

disegno LeonardoImpossibile è che la pittura, imitata con somma perfezione di lineamenti, ombra, lume, colore, possa parere del medesimo rilievo qual pare il naturale, se già tal naturale in lunga distanza non è veduto da un sol occhio. Provasi, e sieno gli occhi a b i quali veggano l’obietto c col concorso delle linee centrali degli occhi ac e bc, le quali linee concorrono a tale obietto nel punto c; e le altre linee laterali di essa centrale vedono dietro a tal obietto lo spazio gd, e l’occhio a vede tutto lo spazio fd e l’occhio b vede tutto lo spazio ge. Adunque i due occhi vedono di dietro all’obietto c tutto lo spazio fe; per la qual cosa tal obietto c resta trasparente, secondo la definizione della trasparenza, dietro la quale niente si nasconde; il che intervenir non può a quello che vede con un sol occhio un obietto maggiore di esso occhio; né intervenire potrebbe a quell’occhio che vede obietti assai minori della sua pupilla, come in margine si dimostra. E per quello che si è detto possiamo conchiudere il nostro quesito: perché una cosa dipinta occupa tutto lo spazio che ha dietro a sé, e per nessuna via è possibile veder parte alcuna del campo ch’è dentro alla linea sua circonferenziale di dietro a sé.

disegno Leonardo

483. Qual pare più rilevato, o il rilievo vicino all’occhio, o il rilievo remoto da esso occhio.

Quel corpo opaco si dimostrerà di maggior rilievo, il quale sarà più vicino all’occhio; e per conseguenza la cosa più remota si dimostrerà di minor rilievo, cioè meno spiccata dal suo campo. Provasi, e sia p la fronte dell’obietto ph, ch’è più vicino all’occhio a che non è n, fronte dell’obietto nm, ed il campo dp è quello che si deve vedere dopo i primi due detti obietti dall’occhio a. Ora noi vediamo l’occhio a, che vede di là dall’obietto ph tutto il campo df, e non vede dopo il secondo obietto nm, se non la parte del campo dg. Adunque diremo, che tal proporzione sarà da dimostrazione a dimostrazione del rilievo de’ due obietti, qual è da campo a campo, cioè dal campo dg al campo df.
disegno Leonardo

484. Precetto.

Le cose di rilievo d’appresso viste con un sol occhio parranno simili ad una perfetta pittura. Se vedrai con gli occhi a b il punto c, ti parrà esso c in d f; e se lo guardi coll’occhio solo g, ti parrà h in m; e la pittura non avrà mai in sé queste due varietà.

485. Di far che le cose paiano spiccate da’ lor campi, cioè dalla parete dove sono dipinte.

Molto più rilievo mostreranno le cose nel campo chiaro e illuminato che nell’oscuro. La ragione di quel che si propone è, che se tu vuoi dar rilievo alla tua figura, tu la fai che quella parte del corpo che è più remota dal lume manco partecipi di esso lume; onde viene a rimanere più oscura, e terminando poi in campo scuro, viene a cadere in confusi termini; per la qual cosa, se non vi accade riflesso, l’opera resta senza grazia, e da lontano non appariscono se non le parti luminose, onde conviene che le oscure paiano esser del campo medesimo; onde le cose paiono tagliate e rilevate tanto meno del dovere, quanto è l’oscuro.

486. Precetto.

Le figure hanno più grazia poste ne’ lumi universali che ne’ particolari e piccoli, perché i gran lumi, non potenti, abbracciano i rilievi de’ corpi, e le opere fatte in tali lumi appariscono da lontano con grazia; e quelle che sono ritratte a lumi piccoli pigliano gran somma d’ombra, e simili opere fatte con tali ombre mai appariscono dai luoghi lontani altro che tinte.

487. Come le figure spesso somigliano ai loro maestri.

Questo accade, che il giudizio nostro è quello che muove la mano alle creazioni de’ lineamenti di esse figure per diversi aspetti insino a tanto ch’esso si satisfaccia; e perché esso giudizio è una delle potenze dell’anima nostra, con il quale essa compose la forma del corpo, dov’essa abita, secondo il suo volere, onde, avendo colle mani a rifare un corpo umano, volentieri rifà quel corpo, di ch’essa fu prima inventrice. E di qui nasce che chi s’innamora, volentieri s’innamora di cose a sé somiglianti.

488. Del figurare le parti del mondo.

Sarai avvertito ancora, che ne’ luoghi marittimi, o vicini a quelli volti alle parti meridionali, non farai il verno figurato negli alberi o prati come nelle parti remote da essi mari e settentrionali faresti, eccetto che negli alberi i quali ogni anno gittano le foglie.

489. Del figurare le quattro cose de’ tempi dell’anno, o partecipanti di quelle.

Nell’autunno farai le cose secondo l’età di tal tempo, cioè nel principio cominciano ad impallidir le foglie degli alberi ne’ più vecchi rami, più o meno secondo che la pianta è in luogo sterile o fertile, ed ancora più pallide e rosseggianti a quelle specie d’alberi, i quali furono i primi a fare i loro frutti; e non fare come molti fanno, tutte le sorta degli alberi, ancoraché da te sieno egualmente distanti, di una medesima qualità di verde. Così dicendo de’ prati, come delle piante ed altre qualità di terreni e sassi, e pedali delle predette piante, varia sempre, perché la natura è variabile in infinito, non che nelle specie, ma nelle medesime piante troverà varî colori, cioè nelle vimene son più belle e maggiori le foglie che negli altri rami. Ed è tanto dilettevole natura e copiosa nel variare, che infra gli alberi della medesima natura non si troverebbe una pianta che appresso somigliasse all’altra, e non che le piante, ma i rami, o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli a un altro; sicché abbi tu avvertenza, e varia quanto più puoi.

490. Del vento dipinto.

Nella figurazione del vento, oltre al piegar de’ rami ed al rovesciar foglie inverso l’avvenimento del vento, si deve raffigurare i rannugolamenti della sottil polvere mista con l’intorbidata aria.

491. Del principio di una pioggia.

La pioggia cade infra l’aria, quella oscurando con livida tintura, pigliando dall’uno de’ lati il lume del sole, e l’ombra dalla parte opposita, come si vede fare alle nebbie; ed oscurasi la terra, a cui da tal pioggia è tolto lo splendor del sole; e le cose vedute di là da essa sono di confusi ed inintelligibili termini, e le cose che saranno più vicine all’occhio saranno più note; e più note saranno le cose vedute nella pioggia ombrosa, che quelle della pioggia illuminata. E questo accade perché le cose vedute nelle ombrose pioggie solo perdono i lumi principali; ma le cose che si vedono nelle luminose perdono il lume e le ombre, perché le parti luminose si mischiano con la luminosità dell’illuminata aria, e le parti ombrose sono rischiarate dalla medesima chiarezza della detta aria illuminata. (Nota nel codice: “Era a mezzo questo capitolo una città in iscorto, sopra della quale cadeva una pioggia rischiarata a loco a loco dal sole, tocca d’acquarella, cosa bellissima da vedere, pur di man propria dell’autore.”)

492. Della disposizione di una fortuna di venti e di pioggia.

disegno LeonardoVedesi l’aria tinta di oscura nuvolosità negli apparecchi delle procelle, ovvero fortune del mare, le quali sono mischie di pioggie e di venti con serpeggiamenti de’ tortuosi corsi delle minaccianti folgori celesti; e le piante piegate a terra colle rovesciate foglie sopra i declinanti rami, le quali paiono voler fuggire dai lor siti, come spaventate dalle percussioni degli orribili e spaventosi voli de’ venti, fra i quali s’infondono i revertiginosi corsi della turbolenta polvere ed arena de’ liti marini; l’oscuro orizzonte del cielo si fa campo di fumolenti nuvoli, i quali, percossi dai solari raggi penetrati per le opposite rotture de’ nuvoli, percuotono la terra, quella illuminando sotto le loro percussioni; i venti persecutori della polvere, quella con gruppolenti globosità levano a balzo infra l’aria con colore cineruleo mista con i rosseggianti raggi solari di quella penetratori. Gli animali, senza guida spaventati, discorrono a rote per diversi siti; i tuoni creati nelle globulose nuvole scacciano da sé le infuriate saette, la luce delle quali illumina le ombrose campagne in diversi luoghi.

493. Delle ombre fatte da’ ponti sopra la loro acqua.

Le ombre de’ ponti non saranno mai vedute sopra le loro acque, se prima l’acqua non perde l’ufficio dello specchiare per causa di torbidezza. E questo si prova, perché l’acqua chiara è di superficie lustra e pulita, e specchia il ponte in tutti i luoghi interposti infra eguali angoli infra l’occhio ed il ponte, e specchia l’aria sotto il ponte, dove deve essere l’ombra di tal ponte, il che non può far l’acqua torbida, perché non specchia, ma ben riceve l’ombra, come farebbe una strada polverente.

494. De’ simulacri chiari o scuri che s’imprimono sopra i luoghi ombrosi e luminati posti infra la superficie ed il fondo delle acque chiare.

Quando i simulacri degli obietti oscuri o luminosi s’imprimono sopra le parti oscure o illuminate de’ corpi interposti infra il fondo delle acque e la superficie, allora le parti ombrose di essi corpi si faranno più scure, che saranno coperte dai simulacri ombrosi; ed il simile faranno le loro parti luminose; ma se sopra le parti ombrose e luminose disegno Leonardos’imprimeranno i simulacri luminosi, allora le parti illuminate de’ predetti corpi si faranno di maggior chiarezza, e le loro ombre perderanno la loro grande oscurità; e questi tali corpi si dimostreranno di minor rilievo, che i corpi percossi dai simulacri oscuri. E questo accade, perché, com’è detto, i simulacri ombrosi aumentano le ombre de’ corpi ombrosi, i quali, ancoraché sieno veduti dal sole, che penetra la superficie dell’acqua, e facciansi colle loro ombre forte differenti dai lumi di essi corpi, s’aggiunge ad essi l’ombra coll’oscurità del simulacro oscuro, che si specchia nella pelle delle acque; e cosí si aumenta l’ombra di questi corpi facendosi più oscura. Ed ancoraché tale simulacro oscuro tinga di sé le parti illuminate di tali corpi sommersi, non gli manca la chiarezza che gli dà la percussione de’ raggi solari, la quale, ancora ch’essa sia alquanto alterata da esso simulacro oscuro, poco nuoce, perché gli è tanto il giovamento ch’esso dà alle parti ombrose, che i corpi sommersi hanno più rilievo assai che quelli che sono alterati dal simulacro luminoso; il quale, ancoraché rischiari le loro parti illuminate siccome le ombrose, le alterazioni di esse parti ombrose sono di tanta chiarezza, che tali corpi sommersi in tal sito si dimostrano di poco rilievo. Sia che il pelago nmtv abbia ghiaia, o erbe, o altri corpi ombrosi nel fondo della chiarezza della sua acqua, la quale pigli i suoi lumi dai raggi solari ch’escono dal sole d, e che una parte di ghiaia abbia sopra di sé il simulacro, il quale si specchia nella superficie di tale acqua, e che un’altra parte di ghiaia abbia sopra di sé il simulacro dell’aria bcsm, dico che la ghiaia coperta dal simulacro oscuro sarà più visibile che la ghiaia ch’è coperta dalla chiarezza del simulacro chiaro; e la cagione si è che la parte percossa dal simulacro oscuro è più visibile che quella ch’è percossa dal simulacro illuminato, perché la virtú visiva è superata ed offesa dalla parte illuminata dell’acqua, per l’aria che in essa si specchia, e cosí è aumentata tal virtú visiva dalla parte oscurata di essa acqua, ed in questo caso la pupilla dell’occhio non è d’uniforme virtù, perché da un lato è offesa dal troppo lume e dall’altro aumentata dall’oscuro.
Adunque quel ch’è detto di sopra non nasce se non da cause remote da tali acque e da tali simulacri, perché solo tal cosa nasce dall’occhio, il quale è offeso dallo splendore del simulacro dell’aria, ed è aumentato dall’altra parte dal simulacro oscuro.

495. Dell’acqua chiara è trasparente il fondo fuori della superficie.

disegno LeonardoDell’acqua che per la sua trasparenza si vede il fondo, si dimostrerà tanto più spedito esso fondo, quanto l’acqua sarà di più tardo moto; e questo accade perché le acque che son di tardo moto hanno la superficie senz’onde; per la sua planizie superficiale si vedono le vere figure delle ghiaie ed arena poste in fondo di esse acque; e questo intervenire non può all’acqua di veloce moto, per causa delle onde che si generano nella superficie; per le quali onde avendo a passare i simulacri delle varie figure delle ghiaie, non le possono portare all’occhio, perché le varie obliquità de’ lati e fronti delle onde, e curvità, e lor sommità, ed intervalli, trasportano i simulacri fuori del retto nostro vedere, e tortesi le rette linee de’ loro simulacri a diversi aspetti, ci mostrano confusamente le lor figure. E questo è dimostrato negli specchi flessuosi, cioè specchi misti di rettitudine, convessità e concavità.

496. Della schiuma dell’acqua.

La schiuma dell’acqua si dimostrerà di minor bianchezza, la quale sarà più remota dalla superficie dell’acqua. E questo si prova per la quarta di questo, che dice: il natural colore della cosa sommersa si trasmuterà più nel colore verde dell’acqua, la quale ha maggior somma di acqua sopra di sé.
disegno Leonardo

497. Precetto di pittura.

La prospettiva è briglia e timone della pittura. La grandezza della figura dipinta dovrebbe mostrare a che distanza essa è veduta. Se tu vedi una figura grande al naturale, sappi che essa si dimostra essere appresso all’occhio.
disegno Leonardo

498. Precetto.

Sempre l’umbilico è nella linea centrale del peso che è da esso umbilico in su, e cosí tien conto del peso accidentale dell’uomo, come del suo peso naturale. Questo si dimostra nel distendere il braccio, che il pugno posto nel suo estremo fa l’ufficio che far si vede al contrappeso posto nell’estremo della stadera; onde per necessità si gitta tanto peso di là dall’umbilico, quanto è il peso accidentale del pugno; ed il calcagno da quel lato convien che s’innalzi.

499. De’ dieci uffici dell’occhio, tutti appartenenti alla pittura.

La pittura si estende in tutti i dieci uffici dell’occhio, cioè: tenebre, luce, corpo, colore, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete, de’ quali uffici sarà intessuta questa mia piccola opera, ricordando al pittore con che regola e modo deve imitare colla sua arte tutte queste cose, opera di natura ed ornamento del mondo.

500. Della statua.

Se vuoi fare una figura di marmo, fanne prima una di terra, la quale, finita che l’hai e secca, mettila in una cassa che sia ancora capace, dopo la figura tratta d’esso luogo, a ricevere il marmo che vuoi scolpirvi dentro la figura a similitudine di quella di terra. Poi messa la figura di terra dentro ad essa cassa, abbi bacchette, che entrino appunto per i suoi buchi, e spingile dentro tanto per ciascun buco, che ciascuna bacchetta bianca tocchi la figura in diversi luoghi, e la parte d’esse bacchette che resta fuori della cassa tingi di nero, e fa il contrassegno alla bacchetta ed al suo buco, in modo che a tua posta si scontri. E trarrai dalla cassa la figura di terra, e metterai il tuo pezzo di marmo, e tanto leverai dal marmo, che tutte le tue bacchette si nascondano sino al loro segno in detti buchi; e per poter far meglio questo, fa che tutta la cassa si possa levare in alto, ed il fondo d’essa cassa resti sempre sotto al marmo, ed a questo modo ne potrai levare con i ferri con gran facilità

501. Per fare una pittura d’eterna vernice.

Dipingi la tua pittura sopra della carta tirata in telaio, ben delineata (Nel codice: “delicata.”) e piana, e poi da’ una buona e grossa imprimitura di pece e mattone ben pesti; di poi da’ l’imprimitura di biacca e giallorino, poi colorisci, e vernicia d’olio vecchio chiaro e sodo, ed appiccalo al vetro ben piano. Ma sarà meglio fare un quadro di terra ben vetriato e ben piano, e poi dar sopra esso vetriato l’imprimitura di biacca e giallorino; poi colorisci e vernicia, poi appicca il vetro cristallino con la vernice ben chiara ad esso vetro; ma fa prima ben seccare in istufa oscura esso colorito, e poi vernicialo con olio di noce ed ambra, ovvero olio di noce rassodato al sole. Se vuoi fare vetri sottili e piani, gonfia le bocce infra due tavole di bronzo o di marmo lustrate, e tanto le gonfia che tu le scoppi col fiato; e saranno piani e sí sottili, che tu piegherai il vetro, il quale poi sarà appiccato colla vernice alla pittura. E questo vetro per essere sottile non si romperà per alcuna percussione. Puossi ancora tirare in lungo ed in largo una piastra infocata sopra infocato fornello.

502. Modo di colorire in tela.

Metti la tua tela in telaro, e dàlle colla debole, e lascia seccare, e disegna, e da’ le incarnazioni con pennelli di setole, e cosí fresca farai l’ombra sfumata a tuo modo. L’ incarnazione sarà biacca, lacca e giallorino: e l’ombra sarà nero e maiorica e un poco di lacca, o vuoi lapis duro. Sfumato che tu hai, lascia seccare, poi ritocca a secco con lacca e gomma, stata assai tempo con l’acqua gommata insieme liquida, che è migliore, perché fa l’ufficio suo senza lustrare. Ancora per fare le ombre più oscure, togli la lacca gommata sopradetta ed inchiostro, e con questa ombra puoi ombrare molti colori, perché è trasparente; e puoi ombrare azzurro, lacca; di verso le ombre, dico, perché di verso i lumi ombrerai di lacca semplice gommata sopra la lacca senza tempera, perché senza tempera si vela sopra il cinabro temperato e secco. ( Nell’edizione viennese: “a secco.”)

503. De’ fumi delle città.

I fumi sono veduti meglio e più spediti nelle parti orientali che nelle occidentali, stando il sole all’oriente; e questo nasce per due cause: La prima è che il sole traspare co’ suoi raggi nelle particole di tal fumo, e le rischiara e le fa evidenti; La seconda è che i tetti delle case veduti all’oriente in tal tempo sono ombrosi, perché la loro obliquità non può essere illuminata dal sole. Ed il simile accade nella polvere, e l’una e l’altra è tanto più luminosa, quanto essa è più densa, ed è più densa inverso il mezzo.

504. Del fumo e della polvere.

Stando il sole all’oriente, il fumo delle città non sarà veduto all’occidente, perché esso non è veduto penetrato dai raggi solari, né veduto in campo oscuro, perché i tetti delle case mostrano all’occhio quella medesima parte che si mostra al sole, e per questo campo chiaro tal fumo poco si vede. Ma la polvere in simile aspetto si dimostra oscura più che il fumo, per esser essa di materia più densa che il fumo, ch’è materia umida.

505. Precetto di prospettiva in pittura.

Quando tu non conoscerai varietà di chiarezza o di oscurità infra l’aria, allora la prospettiva delle ombre sarà scacciata dalla tua imitazione, e solo ti hai a valere della prospettiva della diminuzione de’ corpi e della prospettiva del diminuire dei colori e del diminuire delle cognizioni delle cose all’occhio contrapposte; e questa tal operazione fa parere una medesima cosa più remota, cioè la perdita della cognizione della figura di qualunque obietto. L’occhio non avrà mai per la prospettiva lineare, senza suo moto, cognizione della distanza che è fra l’obietto che s’interponga infra esso occhio ed un’altra cosa, se non mediante la prospettiva de’ colori.

506. L’occhio posto in alto che vede degli obietti bassi.

disegno LeonardoQuando l’occhio posto in alto sito vedrà le alte cime de’ monti insieme colle loro basi, allora i colori delle cime de’ monti parranno più distanti che i colori delle loro basi. Provasi per la quarta di questo, che dice: infra i colori di eguale natura il più remoto si tinge più del colore del mezzo interposto infra esso e l’occhio che lo vede. Seguita, che, essendo le basi de’ monti vedute per più grossa aria che le loro cime, esse basi parranno più remote dall’occhio che esse cime, le quali sono vedute dal medesimo occhio per l’aria più sottile. Sia dunque l’occhio posto nell’altezza a, il quale vede la sommità del monte b dopo la interposizione dell’aria ab, e vede la base d del medesimo monte dopo l’aria ad, spazio più breve che l’ab ; per essere essa aria ad più grossa che l’aria ab, la base del monte, com’è detto, parrà più distante che la sua cima.

507. L’occhio posto in basso che vede degli obietti bassi ed alti.

disegno LeonardoMa quando l’occhio posto in basso sito vedrà le basi de’ monti e le loro cime, allora i colori di esso monte saranno assai men noti che quelli degli antecedenti; e questo accade perché tale cima e base di monte è veduta di tanta maggiore grossezza che le anzidette, quanto l’occhio che la vede è situato in più basso luogo. Il quale occhio sia n, e la cima e la base del monte siano o c. Adunque, essendo la linea visuale cn nella seconda figura più bassa che la visuale della prima figura da, egli è necessario che il colore della base della seconda dimostrazione sia più variato dal suo naturale colore che quello della base della prima dimostrazione ed il medesimo s’intende aver detto delle cime de’ monti.

508. Perché si dà il concorso di tutte le specie che vengono all’occhio ad un sol punto.

disegno LeonardoDelle cose di egual grandezza in varie distanze situate, la più remota sarà veduta sotto minore angolo; bd è eguale al ce, ma ce viene all’occhio per tanto minore angolo che bd, quanto esso è più remoto dal punto a, come mostra l’angolo cae al rispetto dell’angolo bad.

509. Delle cose specchiate nell’acqua.

Delle cose specchiate nell’acqua quella sarà più simile in colore alla cosa specchiata, la quale si specchia in acqua più chiara.

510. Delle cose specchiate in acqua torbida.

Sempre le cose specchiate in acqua torbida partecipano del colore di quella cosa che intorbida tale acqua.

511. Delle cose specchiate in acqua corrente.

Delle cose specchiate in acqua corrente, il simulacro di quella cosa si dimostrerà tanto più lungo e di confusi termini, il quale s’imprimerà in acqua di più veloce corso.

512. Della natura del mezzo interposto infra l’occhio e l’obietto.

Il mezzo interposto infra l’occhio e l’obietto è di due quantità: cioè o esso ha superficie come l’acqua e il cristallo, od altra cosa trasparente, od esso è senza superficie comune, com’è l’aria che si appoggia alla superficie de’ corpi che dentro ad essa s’inchiudono, la quale aria non ha in sé superficie continua se non nel termine inferiore e superiore.

513. Effetti del mezzo circondato da superficie comune.

disegno LeonardoIl mezzo circondato da superficie comune non rende mai all’occhio l’obietto, che sta dopo sé, nel suo vero sito. Provasi, e sia il cristallo di superficie parallele o r, per il quale l’occhio a vede la metà dell’obietto ng che sta dopo di esso, cioè nm, per la parte del cristallo bo, e vede il rimanente dell’obietto, mg, per l’aria che sta sotto il cristallo; e per la settima del quarto la linea della parte superiore dell’obietto n si piega nell’introito del cristallo e fa la linea nba; e la linea della parte inferiore mg è veduta nel suo vero sito per la settima del quarto, come si mostra nelle linee che passano per l’aria sotto il cristallo in mga. Adunque l’una metà dell’obietto nm cresce nel cristallo bo e l’altra metà diminuisce nell’aria che sta sotto il cristallo in op.

514. Degli obietti.

Quella parte dell’obietto sarà più illuminata, che sarà più propinqua al luminoso che l’illumina. La similitudine e la sostanza delle cose in ogni grado di distanza perdono i gradi di potenza, cioè, quanto la cosa sarà più remota dall’occhio, sarà tanto meno penetrabile infra l’aria con la sua similitudine.

515. Delle diminuzioni de’ colori e corpi.

Sia osservata la diminuzione delle qualità de’ colori insieme con la diminuzione de’ corpi ove si applicano.

516. Delle interposizioni de’ corpi trasparenti infra l’occhio e l’obietto.

Quanto maggiore sarà la interposizione trasparente infra l’occhio e l’obietto, tanto più si trasmuterà il colore dell’obietto nel colore del trasparente interposto. Quando l’obietto s’interpone infra l’occhio ed il lume, per la linea centrale che si estende fra il centro del lume e l’occhio, allora tal obietto sarà totalmente privato di lume.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE QUARTA

DE’ PANNI E MODO DI VESTIR LE FIGURE CON GRAZIA E DEGLI ABITI E NATURE DE’ PANNI.
Capitoli da 517 a 532

517. De’ panni che vestono le figure.

I panni che vestono le figure debbono mostrare di essere abitati da esse figure. Con breve circuizione mostrare l’attitudine e moto di tali figure e fuggire le confusioni di molte pieghe, e massime sopra i rilievi, acciocché sieno cogniti.

518. Delle maniere rotte o salde de’ panni che vestono le figure.

I panni che vestono le figure debbono avere le pieghe salde o rotte secondo la qualità del panno sottile o grosso che tu vuoi figurare; e puoi usare ne’ componimenti delle istorie dell’una e dell’altra sorta per satisfare a diversi giudizi.

519. Del vestire le figure con grazia.

Usa ne’ tuoi panni che quella parte che circonda la figura mostri il modo dell’attitudine di essa figura, e quelle parti che restano fuori di quella adornale a modo volante e sparso, come si dirà.

520. De’ panni che vestono le figure, e pieghe loro.

I panni che vestono le figure debbono avere le loro pieghe accomodate a cingere le membra da loro vestite in modo che nelle parti illuminate non si pongano pieghe d’ombre oscure, e nelle parti ombrose non si facciano pieghe di troppa chiarezza, e che i lineamenti di esse pieghe vadano in qualche parte circondando le membra da loro coperte, e non con lineamenti che taglino le membra, né con ombre che sfondino piú dentro che non è la superficie del corpo vestito. Ed in effetto il panno sia in modo adattato, che non paia disabitato, cioè che non paia un aggruppamento di panno spogliato dall’uomo, come si vede fare a molti, i quali s’innamorano tanto de’ varî aggruppamenti di varie pieghe, che n’empiono tutta una figura, dimenticandosi l’effetto per che tal panno è fatto, cioè per vestire e circondare con grazia le membra, dov’essi si posano, e non empire in tutto di ventri o vesciche sgonfiate sopra i rilievi illuminati de’ membri. Non nego già che non si debba fare alcuna bella falda, ma sia fatta in parte della figura dove le membra infra essa e il corpo raccolgono e ragunano tal panno. E sopratutto varia i panni nelle istorie, com’è nel fare in alcuni le pieghe con rotture affacciate, e questo è ne’ panni densi; ed alcun panno abbia i piegamenti molli, e le loro volte non laterate, ma curve; e questo accade nelle saie e rasce ed altri panni rari, come tele, veli e simili. E farai ancora de’ panni di poche e gran pieghe, come ne’ panni grossi, come si vede ne’ feltri e schiavine ed altri copertoi da letto. E questi ricordi non do ai maestri, ma a quelli i quali non vogliono insegnare, ché certo questi non sono maestri, perché chi non insegna ha paura che gli sia tolto il guadagno, e chi stima il guadagno abbandona lo studio, il quale si contiene nelle opere di natura, maestra de’ pittori, delle quali le imparate si mettono in oblivione, e quelle che non sono state imparate piú non s’imparano.

521. Del modo di vestire le figure.

Osserva il decoro con che tu vesti le figure secondo i loro gradi e le loro età; e sopratutto che i panni non occupino il movimento, cioè le membra, e che le dette membra non sieno tagliate dalle pieghe, né dalle ombre de’ panni. Ed imita quanto puoi i Greci e i Latini col modo dello scoprire le membra, quando il vento appoggia sopra di loro i panni. E fa poche pieghe; fanne solo assai negli uomini vecchi togati e di autorità.

522. De’ vestimenti.

I vestimenti debbono essere diversificati di varie nature di falde, mediante la loro qualità; cioè, s’egli è panno grosso e raro, farà pieghe maccaronesche e rare, e s’egli è di mediocre grossezza e denso, farà le pieghe affacciate e di piccoli angoli; e sopratutto ti ricorda in ogni qualità di panno di fare le pieghe infra l’una rompitura e l’altra grosse in mezzo e sottili dai lati, e la minore grossezza di essa piega sia nel mezzo dell’angolo rotondo della piega.

523. De’ panni volanti o stabili.

I panni di che son vestite le figure sono di tre sorta, cioè sottili, grossi e mezzani; i sottili sono piú agili ed atti a movimenti; adunque, quando la figura corre, considera i moti di essa figura, perché essa si spiega ora a destra, ora a sinistra, e sul posare la gamba destra il panno da quella parte s’alza da piè, riflettendo la percussione della sua onda; ed in quel tempo la gamba che resta indietro fa il simile col panno che di sopra le si appoggia, e la parte dinanzi tutta con diverse pieghe si appoggia sopra il petto, corpo, coscie e gambe, e di dietro tutto si scosta, salvo la gamba che resta indietro; ed i panni mezzani fanno minori movimenti, ed i grossi quasi niente, se già il vento non li aiuterà a muovere. Gli estremi de’ panni, o in alto o in basso, secondo i piegamenti, e che s’accostino da piedi secondo il posare, o piegare, o storcere, o percuotervi dentro delle gambe, e che s’accostino o discostino dalle giunture secondo il passo, o corso, o salto, ovver che il vento da sé li percuota, senz’altro moto della figura; e che le pieghe sieno accomodate alle qualità de’ panni trasparenti od opachi.
disegno Leonardo

524. Operazioni de’ panni e loro pieghe, che sono di tre nature.

Molti sono quelli che amano le piegature delle falde de’ panni con angoli acuti, crudi e spediti; altri con angoli quasi insensibili, altri senz’alcun angolo, ma in luogo di quelli fanno curvate. Di queste tre sorta, alcuno vuol panni grossi e di poche pieghe, altri sottili e di gran numero di pieghe, altri piglia la parte di mezzo. E di questi tre tu seguiterai le opinioni, mettendone di ciascuna sorta nella tua istoria, aggiungendovi di quelli che paiono vecchi pezzati, e nuovi abbondanti di panno, ed alcuni miseri, secondo le qualità di chi tu vesti, e cosi fa de’ loro colori.

disegno Leonardo525. Delle nature delle pieghe de’ panni.

Quella parte della piega che si trova piú lontana da’ suoi costretti estremi, si ridurrà piú in sua prima natura. Naturalmente ogni cosa desidera mantenersi in suo essere; il panno perché è di eguale densità e spessitudine, sí nel suo rovescio come nel suo diritto desidera di stare piano; onde, quando esso è da qualche piega o falda costretto a lasciare essa planizie, osserva la natura della forza in quella parte di sé dov’esso è piú costretto, e quella parte ch’è piú lontana ad essi costringimenti troverai ridursi piú alla prima sua natura, cioè dello stare disteso ed ampio. Esempio: sia abc la piega del panno detto di sopra; ac sia il luogo dov’esso panno è piegato e costretto; io ti proposi che quella parte del panno ch’era piú lontana ai costretti estremi si ridurrebbe piú nella sua prima natura; adunque c trovandosi piú lontano da ab, la piega sarà piú larga in b che in alcun altro suo luogo.

526. Come si devono dare le pieghe ai panni.

Ad un panno non si deve dare confusione di molte pieghe, anzi farne solamente dove colle mani o braccia sono ritenute, ed il resto sia lasciato cadere semplicemente dove lo tira la sua natura, e non sia intraversata la figura da troppi lineamenti o rompimenti di pieghe. I panni si debbono ritrarre di naturale, cioè se vorrai fare panno lano, usa le pieghe secondo quello, e se sarà seta, o panno fino, o da villani, o di lino, o di velo, a ciascuno le sue pieghe va diversificando, e non fare abito come molti fanno sopra i modelli coperti di carte, o corami sottili, ché t’inganneresti forte.

527. Delle poche pieghe de’ panni.

Le figure essendo vestite di mantello non debbono tanto mostrare il nudo, che il mantello paia in sulle carni, se già tu non volessi che il mantello fosse sulle carni; imperocché tu devi pensare che tra il mantello e le carni sono altre vesti che impediscono lo scoprire la forma delle membra sopra il mantello; e quella forma di membra che fai discoprire, falla in modo grossa, che appariscano sotto al mantello altri vestimenti; solo farai scoprire la quasi vera grossezza delle membra ad una ninfa o ad un angelo, i quali si figurino vestiti di sottili vestimenti, sospinti o impressi dal soffiare de’ venti; a questi tali e simili si potrà benissimo fare scoprire la forma delle membra.

disegno Leonardo528. Delle pieghe de’ panni in iscorto.

  circondate da pieghe spesse e giranti intorno ad esse. Esempio: a sia dove sta l’occhio; mn manda il mezzo di alcuni circoli piú lontani dall’occhio che i loro fini; no li mostra diritti, perché si trova a riscontro; pq li manda per contrario. Sicché usa questa discrezione nelle pieghe che circondano le braccia, le gambe od altro.

529. De’ modi del vestire le figure, ed abiti diversi.

Gli abiti delle figure sieno accomodati all’età ed al decoro, cioè, che il vecchio sia togato, il giovane ornato di abito che manco occupi il collo dagli omeri delle spalle in su, eccetto quelli che fan professione in religione. E si fugga il piú che si può gli abiti della sua età, eccetto che quando si riscontrassero essere de’ sopradetti; e non si debbono usare se non nelle figure che hanno a somigliare a quelli che son sepolti per le chiese, acciocché si riservi riso ne’ nostri successori delle pazze invenzioni degli uomini, ovvero che lascino loro ammirazione della loro degnità e bellezza. Ed io a’ miei giorni non mi ricordo aver visto nella mia puerizia gli uomini piccoli e grandi avere tutti gli estremi de’ vestimenti frappati in tutte le parti sí da capo come da piè e da lato; ed ancora parve tanto bella invenzione a quella età, che frappavano ancora le dette frappe, e portavano i cappucci in simile modo, e le scarpe e le creste frappate che uscivano dalle principali cuciture de’ vestimenti di varî colori. Dipoi vidi le scarpe, berrette, scarselle, armi, che si portano per offendere, i collari de’ vestimenti, gli estremi de’ giupponi da piedi, le code de’ vestimenti, ed in effetto infino alle bocche di chi volea parer bello erano appuntate di lunghe ed acute punte. Nell’altra età cominciarono a crescere le maniche, ed eran talmente grandi, che ciascuna per sé era maggiore della vesta; poi cominciarono ad alzare i vestimenti intorno al collo, tanto, che alla fine coprirono tutto il capo; poi cominciarono a spogliarlo in modo, che i panni non potevano essere sostenuti dalle spalle, perché non vi si posavano sopra; poi cominciarono a slungare sí i vestimenti, che al continuo gli uomini avevano le braccia cariche di panni per non li pestare co’ piedi; poi vennero in tanta stremità, che vestivano solamente fino ai fianchi ed alle gomita, ed erano sí stretti, che da quelli pativano gran supplizio, e molti ne crepavano di sotto; ed i piedi sí stretti, che le dita di essi si sovrapponevano l’uno all’altro, e caricavansi di calli.

530. Dell’occhio che vede pieghe de’ panni che circondano l’uomo.

Le ombre interposte infra le pieghe de’ panni circondatrici de’ corpi umani saranno tanto piú oscure, quanto esse sono piú a riscontro all’occhio colle concavità dove tali ombre son generate. E questo intendo aver detto, quando l’occhio è situato infra la parte ombrosa e luminosa della predetta figura.

531. Delle pieghe de’ panni.

Sempre le pieghe de’ panni situate in qualunque atto delle figure debbono con i loro lineamenti mostrare l’atto di tale figura in modo che non dieno ambiguità o confusione della vera attitudine a chi le considera, e che nessuna piega coll’ombra della sua profondità tagli alcun membro, cioè che paia piú dentro la profondità della piega che la superficie del membro vestito; e che se tu figuri figure vestite di piú vestimenti, che non paia che l’ultima veste rinchiuda dentro a sé le semplici ossa di tal figura, ma le carni insieme con quelle, ed i panni vestimento della carne con tanta grossezza qual si richiede alla moltiplicazione de’ suoi gradi. Le pieghe de’ panni che circondano le membra debbono diminuire della loro grossezza inverso gli estremi della cosa circondata.

532. Delle pieghe.

La lunghezza delle pieghe che sono piú strette alle membra debbono aggrinzarsi da quel lato dove il membro per le sue piegature diminuisce e tirarsi dall’opposita parte di essa piegatura.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE QUINTA

DELL’OMBRA E LUME, E DELLA PROSPETTIVA
Capitoli da 533 a 600

533. Che cosa è ombra.

L’ombra, nominata per il proprio suo vocabolo, è da esser chiamata alleviazione di lume applicato alla superficie de’ corpi, della quale il principio è nel fine della luce, ed il fine è nelle tenebre.

534. Che differenza è da ombra a tenebre.

La differenza che è da ombre a tenebre è questa, che l’ombra è alleviamento di luce, e tenebre è integralmente privamento di essa luce.

535. Da che deriva l’ombra.

L’ombra deriva da due cose dissimili l’una dall’altra, imperocché l’una è corporea, e l’altra spirituale: corporea è il corpo ombroso, spirituale è il lume; adunque lume e corpo son cagione dell’ombra.

536. Dell’essere dell’ombra per sé.

L’ombra è della natura delle cose universali, che tutte sono piú potenti nel principio, e inverso il fine indeboliscono: dico nel principio di ogni forma e qualità evidente ed inevidente, e non delle cose condotte di piccol principio in molto accrescimento dal tempo, come sarebbe una gran quercia che ha debole principio per una piccola ghianda; anzi dirò la quercia essere piú potente al nascimento, ch’essa fa della terra, cioè nella maggiore sua grossezza; adunque le tenebre sono il primo grado dell’ombra, e la luce è l’ultimo. Adunque tu, pittore, farai l’ombra piú scura appresso alla sua cagione, ed il fine che si converta in luce, cioè che paia senza fine.

537. Che cosa è ombra e lume, e qual è di maggior potenza.

Ombra è privazione di luce, e sola opposizione de’ corpi densi opposti ai raggi luminosi; ombra è di natura delle tenebre, lume è di natura della luce; l’uno asconde e l’altro dimostra; sono sempre in compagnia congiunti ai corpi; e l’ombra è di maggior potenza che il lume, imperocché quella proibisce e priva interamente i corpi della luce, e la luce non può mai cacciare in tutto l’ombra dai corpi, cioè corpi densi.

538. Che sia ombra e tenebre.

L’ombra è diminuzione di luce; tenebre è privazione di luce.

539. In quante parti si divide l’ombra.

L’ombra si divide in due parti, delle quali la prima è detta ombra primitiva, la seconda ombra derivativa.

540. Dell’ombra e sua divisione.

Le ombre ne’ corpi si generano dagli obietti oscuri ad essi corpi anteposti, e si dividono in due parti, delle quali l’una è detta primitiva, l’altra derivativa.

541. Di due specie di ombre ed in quante parti si dividono.

Le specie delle ombre si dividono in due parti, l’una delle quali è detta semplice e l’altra composta: semplice è quella che da un sol lume e da un sol corpo è causata; composta è quella che da piú lumi sopra un medesimo corpo si genera, o da piú lumi sopra piú corpi. La semplice ombra si divide in due parti, cioè primitiva e derivativa: primitiva è quella che è congiunta nelle superficie del corpo ombroso; derivativa è quell’ombra che si parte dal predetto corpo, e discorre per l’aria, e se trova resistenza si ferma nel luogo dove percuote colla figura della sua propria base; e il simile si dice delle ombre composte. Sempre l’ombra primitiva si fa base dell’ombra derivativa. I termini delle ombre derivative sono rettilinei. Tanto piú diminuisce l’oscurità dell’ombra derivativa, quanto essa è piú remota dall’ombra primitiva. Quell’ombra si dimostrerà piú oscura, che sarà circondata da piú splendida bianchezza; e, pel contrario, sarà meno evidente dov’essa sarà generata in piú oscuro campo.

disegno Leonardo542. Qual è piú oscura, o l’ombra primitiva o l’ombra derivativa.

Sempre è più oscura l’ombra primitiva che l’ombra derivativa, non essendo corrotta dalla percussione di un lume riflesso che si fa campo della percussione di essa ombra derivativa. bcde sia il corpo ombroso; a sia il lume che causa l’ombra primitiva bec e fa la derivativa bechi; dico che se non è l’illuminato riflesso fheig che rifletta e corrompa l’ombra primitiva in be e con fh, ed in ce con ig, che tale ombra primitiva resterà più oscura che la percussione della derivativa, essendo l’un’ombra e l’altra fatta in superficie di eguale oscurità di colore, o di egual chiarezza. L’ombra parrà tanto piú scura, quanto essa sarà piú presso al lume. Tutte le ombre sono di un medesimo colore, e quella che si trova in campo più luminoso apparisce di maggiore oscurità. Infra le ombre di pari qualità, quella che sarà più vicina all’occhio apparirà di minore oscurità.

543. Che differenza è da ombra a tenebre.

Ombra è detta quella dove alcuna parte di luminoso o illuminato può vedere; tenebre è quella dove alcuna parte di luminoso o illuminato per incidenza o riflessione può vedere.

544. Che differenza è da ombra semplice a ombra composta.

Ombra semplice è quella dove alcuna parte del luminoso non può vedere, ed ombra composta è quella dove infra l’ombra semplice si mischia alcuna parte del lume derivativo.

545. Che differenza è da lume composto a ombra composta.

Ombra composta è quella la quale partecipa più dell’ombroso che del luminoso; lume composto è quello che partecipa piú del luminoso che dell’ombroso; adunque diremo quell’ombra e quel lume composto pigliare il nome da quella cosa di che esso è più partecipante; cioè che se un luminato vede più ombra che lume, sarà detto vestito di ombra composta; e se sarà vestito più dal luminoso che dall’ombroso, allora, com’è detto, sarà nominato lume composto.

546. Come sempre il lume composto e l’ombra composta confinano insieme.

Sempre i lumi composti e le ombre composte confinano insieme; ma il termine esteriore dell’ombra composta è l’ombra semplice, ed il termine del lume composto è il semplice illuminato.

547. Che il termine dell’ombra semplice sarà di minor notizia.

Il termine dell’ombra semplice sarà di minor notizia che il termine dell’ombra composta, del quale il corpo ombroso sarà piú vicino al corpo luminoso; e questo nasce perché l’angolo dell’ombra e lume composto è più ottuso. Sempre l’ombra derivativa semplice nata da corpo minore del suo luminoso avrà la base di verso il corpo ombroso; ma l’ombra col lume composto avrà l’angolo di verso il luminoso.
disegno Leonardo

548. Dell’ombra derivativa composta.

L’ombra derivativa composta perde tanto più della sua oscurità, quanto essa si fa piú remota dall’ombra semplice derivativa. Provasi per la nona che dice: quell’ombra si farà di minore oscurità, che da maggiore quantità di luminoso sarà veduta. Sia adunque on luminoso e ba ombroso, e sia onf la piramide luminosa e bak la piramide della semplice derivativa. Dico che in g sarà meno illuminato il quarto che in f, perché in f vede tutto il lume on e in g manca il quarto del lume on, conciossiaché solo cn, ch’è i tre quarti del luminoso, è quel che illumina in g, e in h vede la metà dn del luminoso on; adunque h ha la metà del lume f, ed in i vede il quarto di esso lume on, cioè en; adunque i è men luminoso i tre quarti dell’f, ed in k non vede alcuna parte di esso lume; adunque lí è privazione di lume, e principio della semplice ombra derivativa. E cosí abbiam definito della composta ombra derivativa.

disegno Leonardo549. Come l’ombra primitiva e derivativa sono congiunte.

Sempre l’ombra primitiva con l’ombra derivativa sarà congiunta; questa conclusione per sé si prova, perché l’ombra primitiva si fa base della derivativa, ma sol si variano, per quanto che l’ombra primitiva di sé tinge il corpo al quale è congiunta, e la derivativa s’infonde per tutta l’aria da essa penetrata. Provasi, e sia il corpo luminoso f, e il corpo ombroso sia aobc, e l’ombra primitiva, ch’è congiunta a tal corpo ombroso, è la parte abc, e la derivativa abcd nasce insieme con la primitiva; e questa tale ombra è detta semplice, nella quale alcuna parte del luminoso non può vedere.

550. Come l’ombra semplice con l’ombra composta si congiunge.

Sempre la semplice ombra con l’ombra composta sarà congiunta; questo si prova per la passata, dove dice l’ombra primitiva farsi base dell’ombra derivativa; e perché l’ombra semplice e la composta nascono in un medesimo corpo l’una all’altra congiunta, egli è necessario che l’effetto partecipi della causa; e perché l’ombra composta non è in sé altro che diminuzione di lume, e comincia al principio del corpo luminoso e finisce insieme col fine di esso luminoso, seguita che tale ombra si genera in mezzo infra la semplice ombra ed il semplice lume. Provasi, e sia il luminoso abc e l’ombroso de, e la semplice ombra derivativa sia def, e la composta ombra derivativa fek; ma la semplice derivativa non vede parte alcuna del corpo luminoso: ma l’ombra derivativa composta vede sempre parte del luminoso, maggiore o minore, secondo la maggiore o minor remozione che le sue parti hanno dall’ombra semplice derivativa. Provasi, e sia tale ombra efk, la quale con la metà della sua grossezza fk, cioè ik, vede la metà del luminoso ab ch’è ac; e questa è la parte piú chiara di essa ombra composta, e l’altra metà piú oscura della medesima composta, ch’è fi, vede cb, seconda metà di esso luminoso; e così abbiamo determinato le due parti della composta ombra derivativa, più chiara o men oscura l’una che l’altra.

551. Della semplice e composta ombra primitiva.

La semplice e la composta ombra son così proporzionate infra loro nelle ombre primitive congiunte ai corpi ombrosi, come nelle ombre derivative separate dai medesimi corpi ombrosi. E questo si prova perché le derivative semplici e composte sono così infra loro congiunte senza alcuna intermissione, come se fossero esse primitive di esse derivative origine.

552. De’ termini dell’ombra composta.

La derivativa ombra composta è d’infinita lunghezza, per esser essa piramidale di piramide originata alla sua punta; e questo si prova perché, in qualunque parte si sia tagliata essa lunghezza piramidale, mai sarà distrutto il suo angolo, come accade nella derivativa ombra semplice.

553. Del termine dell’ombra semplice.

L’ombra derivativa semplice è di breve discorso rispetto alla derivativa composta, perché essa composta, com’è detto, ha origine dal suo angolo, e questa ha l’origine dalla sua base; e questo si manifesta perché in qualunque parte essa piramide sia tagliata da corpo ombroso, essa divisione non distrugge mai la base sua.

554. Che ombra fa il lume eguale all’ombroso nella figura delle sue ombre.

Se l’ombroso sarà eguale al luminoso, allora l’ombra semplice sarà parallela e infinita per lunghezza; ma l’ombra ed il lume composto sarà piramidale d’angolo riguardatore del luminoso.

555. Che ombra fa l’ombroso maggiore del luminoso.

Se l’ombroso sarà maggiore del suo luminoso, allora la semplice ombra derivativa avrà i suoi lati concorrenti all’angolo potenziale di là dal corpo luminoso; e gli angoli dell’ombra e lume composto riguarderanno tutto il corpo luminoso.

556. Quante sono le sorta delle ombre.

Tre sono le sorta delle ombre, delle quali l’una nasce dal lume particolare, com’è sole, luna o fiamma; la seconda è quella che deriva da porta, finestra od altra apertura, donde si vede gran parte del cielo; la terza è quella che nasce dal lume universale, com’è il lume del nostro emisfero, essendo senza sole.

disegno Leonardo557. Quante sono le specie delle ombre.

Le specie delle ombre sono di due sorta, delle quali l’una è detta primitiva, l’altra derivativa: primitiva è quella ch’è congiunta al corpo ombroso; derivativa è quella che deriva dalla primitiva.

558. Di quante sorta è l’ombra primitiva.

L’ombra primitiva è unica e sola e mai non si varia, ed i suoi termini vedono il termine del corpo luminoso ed i termini della parte del corpo illuminata, dov’essa è congiunta.
disegno Leonardo

559. In quanti modi si varia l’ombra primitiva.

L’ombra primitiva si varia in due modi, de’ quali il primo è semplice, e il secondo è composto. Semplice è quello che riguarda luogo oscuro, e per questo tale ombra è tenebrosa; composta è quella che vede luogo illuminato con varî colori, che allora tale ombra si mischierà colle specie de’ colori degli obietti contrapposti.

560. Che varietà ha l’ombra derivativa.

Le varietà dell’ombra derivativa sono di due sorta, delle quali l’una è mista coll’aria che sta per iscontro all’ombra primitiva; l’altra è quella che percuote nell’obietto che taglia essa derivativa.
disegno Leonardo

561. Di quante figure è l’ombra derivativa.

Tre sono le figure dell’ombra derivativa: la prima è piramidale, nata dall’ombroso minore del luminoso; la seconda è parallela, nata dall’ombroso eguale al luminoso; la terza è disgregabile in infinito, ed infinita è la colonnale, ed infinita la piramidale, perché dopo la prima piramide fa intersecazione, e genera contro la piramide finita una infinita piramide, trovando infinito spazio. E di queste tre sorta di ombre derivative si tratterà appieno.

562. Dell’ombra che si muove con maggior velocità che il corpo suo ombroso.disegno Leonardo

Possibile è che l’ombra derivativa sia moltissime volte piú veloce che la sua ombra primitiva. Provasi, e sia a il luminoso, b sia il corpo ombroso, il quale si muove di b in c per la linea bd; e nel medesimo tempo l’ombra derivativa del corpo b si muove tutto lo spazio be, il quale spazio può ricever in sé migliaia di volte lo spazio bc.

disegno Leonardo563. Dell’ombra derivativa, la quale è molto piú tarda che l’ombra primitiva.

È possibile ancora che l’ombra derivativa sia molto piú tarda che l’ombra primitiva. Provasi, e sia che il corpo ombroso bc si muova sopra il piano ne tutto lo spazio ce, e che la sua ombra derivativa sia nella contrapposta parete de; dico che l’ombra primitiva bc si muoverà tutto lo spazio bd, che l’ombra derivativa non si partirà del de.

564. Dell’ombra derivativa che sarà eguale all’ombra primitiva.

Il moto dell’ombra derivativa sarà eguale al moto dell’ombra primitiva quando il luminoso, causatore dell’ombra, sarà di moto eguale al moto del corpo ombroso, o vuoi dire dell’ombra primitiva, altrimenti è impossibile; perché chi cammina per ponente dalla mattina alla sera avrà la prima parte del dí l’ombra piú tarda, andando innanzi al camminante, che non è esso camminatore; e nell’ultima metà del dí l’ombra sarà molto piú veloce al fuggire indietro, che il corpo ombroso ad andare innanzi.
disegno Leonardo

565. Dell’ombra derivativa remota dall’ombra primitiva.

I termini dell’ombra derivativa saranno piú confusi, i quali saranno piú distanti all’ombra primitiva. Provasi, e sia ab luminoso; è cd l’ombroso primitivo, ed ed è la semplice ombra derivativa, e cge è il termine confuso di essa ombra derivativa.

566. Natura ovvero condizione dell’ombra.

Nessuna ombra è senza riflesso, il quale riflesso l’aumenta o la indebolisce; e quella riflessione l’aumenta, la quale nasce da cosa oscura piú di essa ombra; e quell’altra riflessione la indebolisce, ch’è nata da cosa piú chiara di essa ombra.
disegno Leonardo

567. Qual è l’ombra aumentata.

L’ombra aumentata è quella nella quale solo riflette la sua ombra derivativa, a sia il luminoso, bc sia l’ombra primitiva ovvero originale, edg sarà l’ombra originata.

568. Se l’ombra primitiva è piú potente che l’ombra derivativa.disegno Leonardo

L’ombra primitiva, essendo semplice, sarà di eguale oscurità dell’ombra semplice derivativa. Provasi, e sia l’ombra semplice primitiva de, e la semplice derivativa sia fg; dico per la quarta di questo, dove dice: tenebre è privazion di luce, adunque la semplice ombra è quella che non riceve alcuna riflessione illuminata, e per questo resta tenebrosa, come de che non vede il lume a, né ancora l’ombra semplice derivativa fg non lo vede, e per tanto vengono ad essere infra loro esse ombre di eguale oscurità, perché l’una e l’altra è privata di luce e di riflesso luminoso.

569. De’ moti delle ombre.

I moti delle ombre sono di cinque nature, de’ quali il primo diremo essere quello che muove l’ombra derivativa insieme col suo corpo ombroso, ed il lume causatore di essa ombra resta immobile; il secondo diremo quello del quale si muove l’ombra ed il lume, ma il corpo ombroso è immobile; il terzo sarà quello dal quale si muove il corpo ombroso ed il luminoso, ma con piú tardità il luminoso, che l’ombroso; nel quarto moto di essa ombra si muove piú veloce il corpo ombroso che il luminoso, (L’edizione viennese propone: “più veloce il corpo luminoso che l’ombroso.”) e nel quinto i moti dell’ombroso e del luminoso sono infra loro eguali. E di questo si tratterà distintamente al suo luogo.

570. Percussione dell’ombra derivativa e sue condizioni.

La percussione dell’ombra derivativa non sarà mai simile all’ombra primitiva, s’essa non ha condizioni: prima, che il corpo ombroso non abbia angoli, né sia traforato, né frappato; seconda, che la figura del corpo luminoso sia di figura simile alla figura del corpo ombroso; terza, che la grandezza del corpo luminoso sia eguale alla grandezza del corpo ombroso; quarta, che la superficie del raggio ombroso sia in ogni lato di eguale lunghezza; quinta, che la percussione dell’ombra derivativa sia creata infra angoli eguali; sesta, che tal percussione sia fatta in parete piana ed unita.
disegno Leonardo

571. Dell’ombra derivativa, e dove è maggiore.

Quell’ombra derivativa è di maggior quantità, la quale nasce da maggior quantità di lume, e cosí pel contrario. Provasi: ab, lume piccolo, fa le ombre derivative cge e dfh, che son piccole. Piglia la figura succedente: nm, lume del cielo, che è universale, fa l’ombra derivativa grande in rtx, e cosí lo spazio osu, perché la parte del cielo pn fa essa ombra rtx, e cosí lo spazio lm, parte del cielo, fa l’opposita ombra osu.

572. Della morte dell’ombra derivativa.

L’ombra derivativa sarà al tutto distrutta ne’ corpi illuminati da lume universale.

573. Della somma potenza dell’ombra derivativa.

Ne’ lumi particolari l’ombra derivativa si farà di tanto maggior potenza, quanto esso lume sarà di minor quantità sensibile e di piú potente chiarezza.
disegno Leonardo

574. Dell’ombra semplice di prima oscurità.

L’ombra semplice è quella che da nessun lume riflesso può esser veduta, ma solo da un’ombra opposita sarà aumentata. Sia lo sferico g messo nella concavità bcef, ed il lume particolare sia a, il quale percuote in b e riflette in d, e risalta con la seconda riflessione nello sferico g, il quale aduna parte dell’ombra semplice nell’angolo e, che non vede né il lume incidente né il lume riflesso di nessun grado di riflessione. Adunque l’ombra dello sferico riceve la riflessione dall’ombra semplice e, e per questo è detta ombra semplice.
disegno Leonardo

575. Delle tre varie figure delle ombre derivative.

Tre sono le varietà delle ombre derivative, delle quali l’una è larga nel suo nascimento, e quanto piú si rimuove da tal principio, piú si ristringe; la seconda osserva infinita lunghezza colla medesima lunghezza del suo nascimento; la terza è quella che in ogni grado di distanza dopo la larghezza del suo nascimento acquista gradi di larghezza.

576. Varietà di ciascuna delle dette tre ombre derivative.

Dell’ombra derivativa nata da corpo ombroso minore del corpo che l’illumina, quella sarà piramidale, e tanto piú corta, quanto essa sarà piú vicina al corpo luminoso; ma la parallela in tal caso non si varia; ma la dilatabile tanto piú si allarga quanto piú si avvicina al suo luminoso.
disegno Leonardo

577. Che le ombre derivative sono di tre nature.

Le ombre derivative sono di tre nature, delle quali l’una è dilatabile, l’altra colonnale, la terza concorrente al sito dell’intersecazione de’ suoi lati; i quali dopo tale intersecazione sono d’infinita larghezza, ovvero rettitudine; e se tu dicessi tale ombra esser terminata nell’angolo della congiunzione de’ suoi lati, e non passare piú oltre, questo si nega, perché nella prima delle ombre si prova quella cosa essere interamente terminata, della quale parte alcuna non eccede i suoi termini; il che qui in tale ombra si vede il contrario, conciossiaché mediante che nasce tale ombra derivativa, nasce manifestamente la figura di due piramidi ombrose, le quali nei loro angoli sono congiunte. Adunque, se per l’avversario la prima piramide ombrosa è terminatrice dell’ombra derivativa col suo angolo, donde nasce la seconda piramide ombrosa? Dice l’avversario esser causata dall’angolo e non dal corpo ombroso; e questo si nega coll’aiuto della seconda di questo, che dice l’ombra essere un accidente creato da corpi ombrosi interposti infra il sito di essa ombra ed il corpo luminoso. E per questo è chiaro l’ombra non dall’angolo dell’ombra derivativa essere generata, ma solo dal corpo ombroso.

578. Che le ombre derivative sono di tre specie.

Le ombre derivative sono di tre specie, cioè, o sarà maggiore il tagliamento dell’ombra nella parete ove percuote, che non è la base sua, o l’ombra sarà minore di essa base, o sarà eguale. E se sarà maggiore, è segno che il lume che illumina il corpo ombroso è minore di esso corpo; e se sarà minore, il lume sarà maggiore del corpo; e se sarà eguale, il lume sarà eguale ad esso corpo.

579. Qualità di ombre.

Infra le eguali alleviazioni di luce tal proporzione sarà da oscurità a oscurità delle generate ombre, qual sarà da oscurità a oscurità de’ colori ove tali ombre son congiunte.
disegno Leonardo

580. Del moto dell’ombra.

Sempre il moto dell’ombra è piú veloce che il moto del corpo che la genera, essendo il luminoso immobile. Provasi, e sia il luminoso a, e l’ombroso b, e l’ombra d; dico che in pari tempo si muove l’ombroso b in c che il d ombra si muove in e; e quella proporzione è da velocità a velocità fatta in un medesimo tempo, qual è da lunghezza di moto a lunghezza di moto; adunque quella proporzione che ha la lunghezza del moto fatto dall’ombra b insino in c, colla lunghezza del moto fatto dall’ombra d in e, tale hanno infra loro le predette velocità de’ moti. Ma se il luminoso sarà eguale in velocità al moto dell’ombroso, allora l’ombra e l’ombroso saranno eguali infra loro di moti eguali. E se il luminoso sarà piú veloce dell’ombroso, allora il moto dell’ombra sarà piú tardo che il moto dell’ombroso. Ma se il luminoso sarà piú tardo che l’ombroso, allora l’ombra sarà piú veloce che l’ombroso.
disegno Leonardo

581. Dell’ombra piramidale.

L’ombra piramidale generata dal corpo parallelo sarà tanto piú stretta che il corpo ombroso, quanto la semplice ombra derivativa sarà tagliata piú distante dal suo corpo ombroso.

582. Della semplice ombra derivativa.

La semplice ombra derivativa è di tre sorta, cioè una finita in lunghezza e due infinite: la finita è piramidale, e delle infinite una ve n’è colonnale e l’altra dilatabile, e tutte e tre sono di lati rettilinei; ma l’ombra concorrente, cioè piramidale, nasce da ombroso minore del luminoso, e la colonnale nasce da ombroso eguale al luminoso, e la dilatabile da ombroso maggiore del luminoso.

583. Dell’ombra derivativa composta.

L’ombra derivativa composta è di due sorta, cioè colonnale e dilatabile.

584. Se l’ombra può esser veduta per l’aria.

L’ombra sarà veduta per l’aria caliginosa o polverosa, e questo ci si mostra quando il sole penetra per gli spiracoli in luoghi oscuri, che allora si vede l’ombra interposta infra i due o piú raggi solari che passano infra detti spiracoli.

585. Se l’ombra derivativa è piú oscura in un luogo che in un altro.

L’ombra derivativa sarà tanto piú oscura, quanto essa sarà piú vicina al suo corpo ombroso, ovvero piú vicina alla sua ombra primitiva; e questo nasce perché i suoi termini sono piú noti nel nascimento che nelle parti remote da tal nascimento.

586. Quale ombra derivativa mostrerà i suoi termini piú noti.

Quell’ombra derivativa mostrerà i termini della sua percussione piú noti, della quale il corpo ombroso sarà piú distante dal corpo luminoso.
disegno Leonardo

587. In quanti modi principali si trasforma la percussione dell’ombra derivativa.

La percussione dell’ombra derivativa ha due varietà, cioè diretta ed obliqua: la diretta è sempre minore in quantità dell’obliqua, la quale si può estendere inverso l’infinito.
disegno Leonardo

588. In quanti modi si varia la quantità della percussione dell’ombra coll’ombra primitiva.

L’ombra, ovvero la percussione dell’ombra, si varia in tre modi, per le tre dette sorta di sopra, cioè congregabile, disgregabile ed osservata: la disgregabile ha maggiore la percussione che l’ombra primitiva; l’osservata ha sempre eguale la percussione all’ombra primitiva; la congregabile fa di due sorta percussioni, cioè una nella congregabile e l’altra nella disgregabile; ma la congregabile ha sempre minore la percussione dell’ombra che l’ombra primitiva, e la sua parte disgregabile fa il contrario.

589. Come l’ombra derivativa, essendo circondata in tutto o in parte da campo illuminato, è piú oscura che la primitiva.

disegno LeonardoL’ombra derivativa, la quale sarà in tutto o in parte circondata da campo luminoso, sarà sempre piú oscura che l’ombra primitiva, la quale è in piana superficie. Sia il lume a, e l’obietto che ritiene l’ombra primitiva sia bc, e la parete de sia quella che riceve l’ombra derivativa nella parte nm, ed il suo rimanente dn ed me resta illuminato dall’a, ed il lume dn riflette nell’ombra primitiva bc, ed il simile fa il lume me; adunque la derivativa nm, non vedendo il lume a, resta oscura, e la primitiva si illumina dal campo illuminato che circonda la derivativa, e però è piú oscura la derivativa che la primitiva.

590. Come l’ombra primitiva, che non è congiunta con piana superficie, non sarà di eguale oscurità.disegno Leonardo

Provasi, e sia l’ombra primitiva congiunta all’obietto bcd, nel quale vede l’ombra derivativa fg, ed ancora vi vede il campo suo illuminato efgh; dico che tal corpo sarà piú illuminato in b estremo che nel mezzo d, perché in b vede il lume a primitivo, ed il lume ef derivativo vi vede per raggi riflessi e l’ombra derivativa fg non vi aggiunge, perché fbd è l’angolo della contingenza fatto dalla fb e dalla curva bd; e tutto il rimanente di tal corpo è veduto dall’ombra derivativa fg, piú o meno, secondo che la linea fg può farsi base di triangolo con maggiore o minore angolo.

591. Condizione degli obietti oscuri di ciascun’ombra.

Infra gli obietti di eguale oscurità, figura e grandezza, quello aumenterà piú l’oscurità della contrapposta ombra, il quale le sarà piú vicino.

disegno Leonardo592. Qual campo renderà le ombre piú oscure.

Infra le ombre di eguale oscurità quella si dimostrerà piú oscura, la quale si genera in campo di maggiore bianchezza; seguita che quella parrà meno oscura, che sarà in campo piú oscuro. Provasi in una medesima ombra, perché la sua parte estrema, che da una parte confina col campo bianco, pare oscurissima, e dall’altra parte dov’essa confina con sé medesima, pare di poca oscurità. E sia l’ombra dell’obietto bd fatta sopra dc, la quale par piú nera in nc, perché confina col campo bianco ce, che in nd, che confina col campo oscuro nc.

593. Dove sarà piú oscura l’ombra derivativa.

Quell’ombra derivativa sarà di maggiore oscurità la quale sarà piú vicina alla sua causa, e quelle  che sono remote si faranno piú chiare. Quell’ombra sarà piú spedita e terminata, che sarà piú vicina al suo nascimento, e manco spedita è la piú remota. L’ombra si dimostra piú oscura inverso gli estremi che inverso il mezzo suo.

594. Delle ombre.

Mai l’ombra avrà la vera similitudine del dintorno del corpo donde nasce, ancora che fosse sferica, se il lume non sarà della figura del corpo ombroso. Se il lume è di lunga figura, la qual lunghezza si estenda in alto, le ombre de’ corpi da quello illuminate si estenderanno in latitudine. Se la lunghezza del lume sarà trasversale, l’ombra del corpo sferico si farà lunga nella sua altezza; e così per qualunque modo si troverà la lunghezza del lume, sempre l’ombra avrà la sua lunghezza in contrario intersecata ad uso di croce colla lunghezza del lume. Se il lume sarà piú grosso e piú corto del corpo ombroso, la percussione dell’ombra derivativa sarà piú lunga e piú sottile che l’ombra primitiva. Se il lume sarà piú sottile e piú lungo che il corpo ombroso, la percussione dell’ombra derivativa sarà piú grossa e piú corta che la primitiva. Se la lunghezza e larghezza del luminoso saranno eguali alla lunghezza e larghezza del corpo ombroso, allora la percussione della derivativa ombra sarà della medesima figura ne’ suoi termini che l’ombra primitiva.

595. De’ termini che circondano le ombre derivative nelle loro percussioni.

Sempre i termini delle semplici ombre derivative sono nelle loro percussioni circondati del colore delle cose illuminate, che mandano i loro raggi dal medesimo lato del luminoso che illumina il corpo ombroso generatore della detta ombra.

596. Come ogni corpo ombroso genera tante ombre quante sono le parti luminose che lo circondano.

I corpi ombrosi generano tante sorta di ombre intorno alla loro base, e di tanti colori, quanti sono gli oppositi colori illuminati che li circondano; ma tanto piú potente l’una che l’altra, quanto il luminoso opposito sarà di maggior splendore, e questo c’insegnano diversi lumi posti intorno ad un medesimo corpo ombroso.

597. Delle varie oscurità delle ombre circondatrici di un medesimo corpo ombroso.

Delle ombre circondatrici di un medesimo corpo ombroso, quella sarà piú oscura, la quale sarà generata da piú potente luminoso.

598. Dell’ombra fatta da un corpo infra due lumi eguali.

Quel corpo che si troverà collocato infra due lumi eguali muoverà da sé due ombre, le quali si drizzeranno per linea ai due lumi, e se rimuoverai detto corpo e lo farai piú presso all’uno de’ lumi che all’altro, l’ombra sua che si drizzerà a piú propinquo lume sarà di minore oscurità che se si drizzerà al piú lontano lume.

599. Che quel corpo ch’è piú propinquo al lume fa maggior ombra, e perché.

Se un obietto anteposto ad un particolar lume sarà di propinqua vicinità, vedrai a quello far ombra grandissima nella contrapposta parete; e quanto piú allontanerai detto obietto dal lume, tanto si diminuirà la forma di essa ombra.

600. Perché l’ombra maggiore che la sua cagione si fa di discordante proporzione.

La discordanza della proporzione dell’ombra grande piú che la sua cagione nasce perché il lume, essendo minore che l’obietto, non può essere di eguale distanza alle estremità di esso obietto, e quella parte ch’è piú propinqua piú cresce che le distanti; e però piú cresce.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE QUINTA
Capitoli da 601 a 759

601. Perché l’ombra maggiore che la sua cagione ha termini confusi.

Quell’aria che circoscrive il lume è quasi di natura di esso lume per chiarezza e per colore, e quanto piú si allontana, piú perde di sua similitudine; e la cosa che fa grand’ombra è vicina al lume, e trovasi illuminata dal lume e dall’aria luminosa, onde quest’aria lascia i termini confusi dell’ombra.

disegno Leonardo

602. Come l’ombra separata non sarà mai simile per grandezza alla sua cagione.

Se i raggi luminosi sono, come l’esperienza conferma, causati da un solo punto, ed in corso circolare al suo punto si van disgregando e spargendo per l’aria, quanto piú si allontanano, piú si allargano, e sempre la cosa posta fra il lume e la parete è portata per ombra maggiore, perché i raggi che la toccano, giunto il loro concorso alla parete, son fatti piú larghi.

603. Che differenza è da ombra congiunta co’ corpi ad ombra separata.

Ombra congiunta è quella che mai si parte dai corpi illuminati, come sarebbe una palla, la quale stante al lume sempre ha una parte di sé occupata dall’ombra, la quale mai si divide per mutazione di sito fatta da essa palla. Ombra separata può essere e non essere creata dal corpo; poniamo ch’essa palla sia distante da un muro un braccio, e dall’opposita parte sia il lume; il detto lume manderà in detto muro appunto tanta dilatazione di ombra, quant’è quella che si trova sulla parte della palla che è volta a detto muro. Quella parte dell’ombra separata che non appare, sarà quando il lume sarà di sotto alla palla, che la sua ombra ne va inverso il cielo, e non trovando resistenza pel cammino, si perde.

604. Natura dell’ombra derivativa.

L’ombra derivativa cresce e diminuisce secondo l’accrescimento o diminuzione della sua ombra primitiva.

605. Delle figure delle ombre.

Mai l’ombra derivativa sarà integralmente simile al corpo ombroso che la genera se il lume che cinge co’ suoi raggi i termini di tal corpo non è della medesima figura di esso corpo.

606. Dell’ombra derivativa generata in altra ombra derivativa.

disegno LeonardoL’ombra derivativa nata dal sole può esser fatta sopra l’ombra derivativa generata dall’aria. Provasi, e sia l’ombra dell’obietto m, la quale è generata dall’aria ef nello spazio dcb; e sia che l’obietto n mediante il sole g faccia l’ombra abc; e del rimanente dell’ombra dm e che in tal sito non vede l’aria ef; (Così il codice. L’edizione viennese propone di correggere così: “… l’ombra abc; la metà dell’ombra di m, dc, sarà rischiarata dal sole, ed il rimanente dell’ombra di m, cb, che in tal sito,” ecc.) né ancora vi vede il sole, adunque è ombra doppia perché è generata dai due obietti, cioè nm.

607. De’ termini dell’ombra derivativa.

I termini dell’ombra derivativa sono meno sensibili ne’ lumi universali che nei particolari.

608. Dell’estensione dell’ombra derivativa.

I termini delle ombre derivative si dilatano tanto piú dintorno al corpo ombroso, quanto il lume che le genera è di maggior grandezza.

609. Dove l’ombra derivativa è piú oscura.

Quella parte dell’ombra derivativa sarà piú oscura, la quale sarà piú vicina alla sua causa. Seguita il contrario, che dice: quella parte dell’ombra derivativa sarà di minore oscurità, la quale sarà piú remota dalla sua causa.

610. Delle varietà delle ombre nel variare le grandezze de’ lumi che le generano.

Tanto cresce l’ombra ad un medesimo corpo, quanta è la diminuzione del lume che la genera senza mutazioni di sito.

611. Del variare dell’ombra senza diminuzione del lume che la causa

Tanto cresce o diminuisce l’ombra di un medesimo corpo, quanto cresce o diminuisce lo spazio interposto infra il lume e l’obietto ombroso, il quale è in sé minore del corpo

612. Dell’ombra che si converte in lume.

Il sito ombrato mediante il sole resterà illuminato dall’aria dopo la partita di esso sole, perché sempre il minor lume è ombra del lume maggiore.

613. Del lume che si converte in ombra.

Il sito illuminato dall’aria si farà ombroso se sarà circondato dalla percussione de’ raggi solari; e questo nasce perché il maggior lume fa parere oscuro il lume di minor luce.

614. Dell’ombra derivativa creata da lume di lunga figura, che percuote l’obietto simile a sé.disegno Leonardo

Quando il lume che passa per spiracolo di lunga e stretta figura percuoterà l’obietto ombroso di figura e situazione simile a sé, allora l’ombra avrà la figura dell’obietto ombroso. Provasi, e sia lo spiracolo donde penetra il lume nel luogo oscuro ab, e l’obietto colonnale di figura eguale e simile alla figura dello spiracolo sia cd, ed ef sia la percussione del raggio ombroso del detto obietto cd; dico tale ombra non poter essere maggiore, né ancora minore di esso spiracolo in alcuna distanza, essendo il lume condizionato nel predetto modo. E questo resta provato per la quarta di questo, che dice che tutti i raggi ombrosi e luminosi sono rettilinei.

615. Che le ombre debbono sempre partecipare del colore del corpo ombroso.

Nessuna cosa pare della sua naturale bianchezza, perché i siti ne’ quali essa è veduta la rendono all’occhio tanto piú o men bianca, quanto tal sito sarà piú o meno oscuro; e questo c’insegna la luna, che di giorno ci si mostra nel cielo di poca chiarezza e la notte con tanto splendore, ch’essa ci rende di sé il simulacro del sole e del giorno col suo scacciar delle tenebre. E questo nasce da due cose: e prima è il paragone che in sé ha natura di mostrare le cose tanto piú perfette nelle specie de’ loro colori, quanto esse sono piú disformi; la seconda è che la pupilla è maggiore la notte che il giorno, com’è provato; e maggiore pupilla vede un corpo luminoso di maggior quantità e di piú eccellente splendore che la pupilla minore, come prova chi guarda le stelle per un piccolo foro fatto nella carta.

616. Delle cose bianche remote dall’occhio.

La cosa bianca rimossa dall’occhio, quanto piú si rimuove, piú perde la sua bianchezza, e tanto piú quanto il sole l’illumina, perché partecipa del colore del sole misto col colore dell’aria che s’interpone infra l’occhio ed il bianco. La quale aria, se il sole è all’oriente, si mostra torba e rosseggiante mediante i vapori che in essa si levano; ma se l’occhio si volterà all’oriente, vedrà solamente le ombre del bianco partecipare del colore azzurro.

617. Delle ombre delle cose remote e lor colore.

Le ombre delle cose remote parteciperanno tanto piú di colore azzurro, quanto esse saranno in sé piú oscure e piú remote; e questo accade per la interposizione della chiarezza dell’aria che s’intramette infra l’oscurità de’ corpi ombrosi interposti infra il sole e l’occhio che la vede; ma se l’occhio si volta in opposito al sole, non vedrà simile azzurro.

618. Delle ombre, e quali sono quelle primitive che saranno piú oscure sopra il suo corpodisegno Leonardo

Le ombre primitive si faranno piú oscure, che saran generate in superficie di corpo piú denso, e pel contrario piú chiare nelle superficie de’ corpi piú rari; questo è manifesto, perché le specie di quegli obietti che tingono de’ lor colori i contrapposti corpi s’imprimono con maggior vigore, le quali trovan piú densa e pulita superficie sopra essi corpi. Provasi, e sia il corpo denso rs interposto infra l’obietto luminoso nm e l’obietto ombroso op; per la settima del nono, che dice: la superficie di ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, diremo adunque che la parte dcr di esso corpo è illuminata, perché il suo obietto nm è luminoso: e per simil modo diremo la parte opposita abs essere ombrosa, perché il suo obietto è oscuro; e cosí è concluso il nostro proposito.

619. Qual parte della superficie di un corpo s’imprime meglio del colore del suo obietto.

Quella parte della superficie di un corpo denso partecipa piú intensamente del colore del suo obietto, la quale è men veduta da altri obietti di altri colori. Adunque colla medesima figura ci serviremo al nostro proposito; e sia che la superficie del sopradetto corpo crd non sia veduta dall’oscurità op, essa sarà tutta privata di ombra, e similmente se la superficie asb non sarà veduta dal luminoso nm, essa sarà al tutto privata di luce.

620. Qual parte della superficie di un corpo ombroso sarà dove i colori degli obietti si mischiano.

Per tutta quella parte della superficie di un corpo ombroso, la quale è veduta dai colori di piú obietti, saran miste le specie de’ predetti colori; adunque la parte del corpo ombroso cdab sarà mista di luce e di ombra, perché in tal luogo è veduta dal lume nm e dall’oscuro op.

621. Qual parte è di mediocre ombra nella superficie di un corpo ombroso.

La parte della superficie di un corpo ombroso sarà di mediocre chiarezza e di mediocre ombrosità, nella quale egualmente è veduto dal chiaro e dall’oscuro; adunque nella linea hk sarà un’ombra tanto meno oscura che la sua semplice ombra primitiva asb, quanto essa è men chiara che il semplice lume primitivo crd.

622. Qual parte della superficie illuminata sarà di maggior chiarezza.

disegno LeonardoQuella parte del corpo illuminato sarà piú luminosa, la quale sarà piú vicina all’obietto che l’illumina. Provasi, e sia la parte del corpo illuminato opc, e l’obietto che lo illumina sia ab; dico che il punto c è piú illuminato che alcuna altra parte di tal corpo, perché l’angolo acb, luminoso che la percuote, è piú grosso che alcun altro angolo che in tale superficie generar si possa.

623. Qual ombra principale nelle superficie de’ corpi avrà minore o maggior differenza delle parti luminose.

L’ombra de’ corpi neri, essendo principale, avrà minor differenza da’ suoi lumi principali che nella superficie di alcun altro colore.

624. Delle ombre fatte nelle parti ombrose de’ corpi opachi.

Le ombre fatte nelle ombre de’ corpi opachi non hanno ad essere di quella evidenza che hanno quelle che son fatte nelle parti luminose de’ medesimi corpi, né ancora hanno da essere generate dal lume primitivo, ma da derivativo.

625. Qual corpo piglia piú quantità di ombra.disegno Leonardo

Quel corpo sarà vestito di maggior quantità di ombra, il quale sarà illuminato da minor corpo luminoso. abcd sia il corpo ombroso, g è il piccolo luminoso, il quale solo illumina di esso ombroso la parte abc, onde la parte ombrosa adc resta molto maggiore che la parte luminosa abc.

disegno Leonardo626. Qual corpo piglia piú quantità di luce.

Maggior quantità di luce piglia quel corpo che da maggior lume sarà illuminato. abcd sia il corpo illuminato, ef è quel corpo che lo illumina; dico, che per essere tanto maggiore il luminoso che l’illuminato, la parte illuminata bcd sarà molto maggiore che la sua parte ombrosa bad, e questo è provato per la rettitudine de’ raggi luminosi eg, fg.

627. Qual corpo piglia piú oscura ombra.

Quel corpo piglierà ombra di maggiore oscurità il quale sarà piú denso, ancoraché tali corpi sieno di un medesimo colore; dico che piú oscura sarà l’ombra di un panno verde, che quella di un albero fronzuto, ancoraché il verde del panno e delle foglie dell’albero sia di una medesima qualità; e questo causasi perché il panno non è trasparente com’è la foglia e non ha aria illuminata interposta infra le sue parti come ha la verdura delle piante, la quale abbia a confondere la parte ombrosa.
disegno Leonardo

628. Della qualità dell’oscurità delle ombre.

Le oscurità delle ombre derivative sono variabili in infinito con tanta maggiore o minor potenza, quante sono le maggiori o minori distanze nelle quali le percussioni delle ombre derivative son causate. Provasi, e sia il sole a che genera l’ombra nphi, nella quale entra il lume dell’aria che circonda i raggi solari, cioè ebrs di sopra, e di sotto fcrs, e rischiara essa ombra, la quale è oscurissima nello spazio npo, dove non vede né sole, né aria, se non gli estremi suoi b c.

629. Dell’ombra delle verdure de’ prati.

Le verdure de’ prati hanno minima, anzi quasi insensibil ombra, e massime dove le erbe sono minute e sottili di foglie, e per questo le ombre non si posson generare, perché il grand’emisfero cinge in cerchio le minute festuche, e se non è cespo di larghe foglie, le ombre delle erbe sono di poca evidenza.
disegno Leonardo

630. Precetto di pittura.

Ne’ lumi universali le ombre occupano poco luogo nelle superficie de’ loro corpi; e questo nasce perché la gran somma del lume del nostro emisfero cinge infino alle infime parti de’ corpi ombrosi, se esso non è impedito col suo orizzonte, e massime se esso è sospeso dalla terra. f sia l’ombroso, e la terra; abcd è il nostro emisfero, ad è l’orizzonte di tale emisfero, di che, ancoraché l’oscurità della terra ux oscuri tanto del corpo ombroso quanto essa ne vede, l’orizzonte che vede le medesime parti illumina i medesimi luoghi e confonde le specie ombrose della predetta terra, la quale era in disposizione di fare tali ombre oscure nel disotto dell’obietto, s’essa non n’era impedita.

631. Delle ombre che non sono compagne della parte illuminata.

Rarissime sono quelle ombre de’ corpi opachi che sieno vere ombre delle loro parti illuminate. Questa è provata per la settima del quarto, la quale dice che la superficie di ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Adunque il colore illuminato de’ volti, avendo per obietto un color nero, parteciperà di ombre nere, e cosí farà del giallo, verde ed azzurro, e di ogni altro colore ad esso contrapposto: e questo accade per causa che ogni corpo manda la similitudine sua per tutta la sua circostante aria, com’è provato in prospettiva, e come si vede per esperienza del sole, del quale tutti gli obietti ad esso anteposti partecipano della sua luce e quella riflettono agli altri obietti, come si vede della luna e delle altre stelle, le quali a noi riflettono il lume a lor dato dal sole: ed il medesimo fanno le tenebre, conciossiaché esse vestono della loro oscurità ciò che dentro ad esse si rinchiude.

632. Del lume de’ corpi ombrosi che non sono quasi mai del vero colore del corpo illuminato.

Quasi mai potremo dire essere che la superficie de’ corpi illuminati sia del vero colore di essi corpi. La settima del quarto dice la causa di quello che ci è proposto, ed ancora ci dimostra che quando un volto posto in luogo oscuro sarà da una parte illuminato da un raggio dell’aria e da un altro dal raggio della candela accesa, senza dubbio parrà di due colori; ed avanti che l’aria vedesse tal volto, il lume della candela pareva suo debito colore; e cosí dell’aria interveniva. Se terrai una lista bianca, e la metterai in luogo tenebroso, e le farai pigliare il lume per tre spiracoli, cioè dal sole, dal fuoco e dall’aria, tal lista sarà di tre colori.

633. Come son le ombre per lunga distanza.

Le ombre si perdono in lunga distanza, perché la grande quantità dell’aria luminosa, che si trova infra l’occhio e la cosa veduta, tinge l’ombra di essa cosa nel suo colore.

634. Della larghezza delle ombre, e de’ lumi primitivi.

La dilatazione e retrazione delle ombre, ovvero la maggiore o minor larghezza delle ombre e de’ lumi sopra i corpi opachi, saranno trovate nelle maggiori o minori curvità delle parti de’ corpi dove si generano.

635. Delle maggiori o minori oscurità delle ombre.

Le maggiori o minori oscurità delle ombre si generano nelle piú curve parti de’ membri, e le meno oscure saranno trovate nelle parti piú larghe.

636. Dove le ombre ingannano il giudizio che dà sentenza della lor maggiore o minore oscurità.

Infra le ombre di eguale oscurità quella si dimostrerà meno oscura, la quale sarà circondata da lumi di minore potenza, come sono le ombre che si generano infra lumi riflessi; adunque tu, pittore, pensa di non t’ingannare col variare tal ombra.

637. Dove i lumi ingannano il giudizio del pittore.

Infra i lumi di eguale chiarezza quello parrà piú potente, il quale sarà minore e sarà circondato da campo piú oscuro.

638. Dell’ombra ne’ corpi.

Quando figuri le ombre oscure ne’ corpi ombrosi, figura sempre la causa di tale oscurità, ed il simile farai de’ riflessi, perché le ombre oscure nascono da oscuri obietti ed i riflessi da obietti di piccola chiarezza, cioè da lumi diminuiti; e tal proporzione è dalla parte illuminata de’ corpi alla parte rischiarata dal riflesso, quale è dalla causa del lume di essi corpi alla causa di tale riflesso.

639. Delle qualità di ombre e di lumi.

Molto maggiore sarà la differenza de’ lumi dalle loro ombre ne’ corpi posti ai potenti lumi, che in quelli che sono posti ne’ luoghi oscuri.

640. Delle ombre e lumi, e colori.

Quella parte del corpo ombroso si mostrerà piú luminosa, che da piú potente lume sarà illuminata. Tanto sarà maggiore in sé la quantità delle ombre ne’ corpi ombrosi che la sua quantità illuminata, quanto è maggiore la quantità della oscurità da lui veduta che quella dello splendore che lo illumina.

641. De’ lumi ed ombre, e colori di quelli.

Nessun corpo si dimostrerà mai integralmente del suo natural colore. Quello che si propone può accadere per due diverse cause, delle quali la prima accade per interposizione del mezzo che s’include infra l’obietto e l’occhio; la seconda è quando le cose che illuminano il predetto corpo non ritengano in sé qualità di alcun colore. Quella parte del corpo si dimostrerebbe del suo natural colore, la quale fosse illuminata da luminoso senza colore, e che in tale illuminamento non vegga altro obietto che il predetto lume: questo non accade mai potersi vedere se non nel colore turchino posto per piano inverso il cielo sopra un altissimo monte, acciocché in tal luogo non possa vedere altro obietto, e che il sole sia occupato, nel morire, da bassi nuvoli, e che il panno sia del colore dell’aria. Ma in questo caso io mi ridico, perché il rosato anch’esso cresce di bellezza, quando il sole che l’illumina nell’occidente rosseggia insieme co’ nuvoli che gli s’interpongono; benché in questo caso si potrebbe ancora accettare per vero, perché se il rosato illuminato dal lume rosseggiante mostra piú che altrove bellezza, gli è segno che i lumi di altri colori anche rossi gli toglieranno la sua bellezza naturale.

642. Dell’ombra e lumi negli obietti.

La superficie di ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Gran rispetto bisogna al pittore nel situare le cose sue infra obietti di varie potenze di lumi, e varî colori illuminati, conciossiaché ogni corpo da quelli circondato non si mostra mai integralmente del suo vero colore.

643. De’ termini insensibili delle ombre.

Quella parte dell’ombra sarà piú oscura, che con men somma di lume s’infonde.

644. Delle qualità de’ lumi ed ombre ne’ corpi ombrosi.

Dico che le ombre sono di poca potenza nelle parti de’ corpi che sono volte inverso la causa del lume, e cosí sono le ombre infra le ombre volte alla causa di esse ombre. Dimostransi di gran potenza le ombre ed i lumi che sono infra la causa delle ombre e la causa del lume.

645. Delle dimostrazioni de’ lumi e delle ombre.

Quell’ombra si dimostrerà piú oscura che sarà piú vicina alla piú luminosa parte del corpo, e cosí di converso si dimostrerà meno oscura quella che sarà piú vicina alle piú oscure parti de’ corpi.

646. De’ lumi.

Quel lume si dimostrerà piú chiaro che si accosterà piú all’oscuro, e parrà men chiaro che sarà piú vicino alle parti piú luminose del corpo.

647. De’ lumi ed ombre.

Ombra è diminuzione o privazione di luce. L’ombra sarà di maggior quantità sopra il suo corpo ombroso, che da minor quantità di luce, sarà illuminato. Da quanta maggior somma di luce il corpo sarà illuminato, tanto minore sarà la quantità dell’ombra che sopra esso corpo rimane. a è il corpo luminoso; bc è il corpo ombroso; b è la parte del corpo che si illumina; c è quella parte rimanente privata di luce, ed in questo è maggiore l’ombroso che il luminoso: f è il corpo luminoso maggiore che l’ombroso a sé opposito; fe è il corpo ombroso; f è la parte illuminata; g è la parte ombrata. (Manca la figura nel codice.)

648. De’ lumi ed ombre che di sé tingono le superficie delle campagne.

Le ombre e lumi delle campagne partecipano del colore delle lor cause, perché l’oscurità composta dalle grossezze de’ nuvoli, oltre alla privazione de’ raggi solari, tinge di sé ciò che per essa si tocca. Ma la circostante aria fuori de’ nuvoli ed ombre vede ed illumina il medesimo sito, e lo fa partecipante di colore azzurro; e l’aria penetrata dai raggi solari che si trova infra l’oscurità della predetta ombra della terra e l’occhio di chi la vede, tinge ancora essa tale sito di color azzurro, come si prova l’azzurro dell’aria esser nato di luce e di tenebre. Ma la parte delle campagne illuminate dal sole partecipa del colore dell’aria e del sole, ma assai partecipa dell’aria, perché fa ufficio di maggiore per essere l’aria piú propinqua, e si fa campo d’innumerabili soli inquanto all’occhio. E queste campagne partecipano tanto piú di azzurro, quanto esse sono piú remote dall’occhio; e tanto piú esso azzurro si fa chiaro, quando s’innalza all’orizzonte, e questo esce dai vapori umidi. Le cose son men note nelle ombre che ne’ lumi, ed il lume universale cinge di sé i corpi ombrosi e li lascia con poco rilievo, quando l’occhio s’interpone infra l’ombroso, ed il lume. L’ombra a tale occhio è invisibile, ma i corpi laterali in tal tempo mostreranno de’ loro lumi con tanta maggiore o minor quantità, quanto tali corpi saranno piú vicini o remoti alla linea retta che si estende dall’uno all’altro orizzonte, passando per i due occhi veditori di tali campagne.

649. Del lume derivativo.

Il lume derivativo risulta da due cose, cioè lume originale e corpo ombroso.

650. De’ lumi.

I lumi che illuminano i corpi opachi sono di quattro sorta, cioè universale, com’è quello dell’aria che è dentro al nostro orizzonte; e particolare, com’è quello del sole, o di una finestra, o porta, o altro spazio; il terzo è il lume riflesso; quarto è quello il quale passa per cose trasparenti, come tela o carta e simili, ma non trasparenti come vetri, o cristalli, od altri corpi, i quali fanno il medesimo effetto, come se nulla fosse interposto infra il corpo ombroso ed il lume che lo illumina, e di questi parleremo distintamente nel nostro discorso.

651. Di illuminazione e lustro.

L’illuminazione è partecipazione di luce, e lustro è specchiamento di essa luce.

652. Di ombra e lume.

Tenebre è privazione di luce, e luce è privazione di tenebre; ombra è mistione di tenebre con luce, e sarà di tanto maggiore o minore oscurità, quanto la luce che con essa si mischia sarà di minore o di maggior potenza.

disegno Leonardo653. Di ombra e lume.

Quell’obietto avrà le sue ombre e lumi di termini piú insensibili, il quale sarà interposto infra maggiori obietti oscuri e chiari di quantità continui. Provasi, e sia l’obietto o, il quale è interposto infra l’ombroso nm e il luminoso rs; dico che l’obietto ombroso cinge quasi tutto l’obietto colla sua piramide nam, e il simile fa all’opposito la piramide del luminoso rcs; e per l’ottava del quinto è concluso quello che si propone, la quale dice, che quella parte dello sferico sarà piú oscura che piú vede della anteposta oscurità; seguita che c è piú oscuro che in alcuna altra parte di esso sferico; e lo prova la seconda figura; bac vede tutta la oscurità egf; tale oscurità non s’imprime sopra esso bac con egual potenza, perché non s’imprime con uniforme quantità, conciossiaché a, che vede tutta l’oscurità ef, è molto piú oscuro che b, il quale ne vede solamente la metà eg; e il simile accade in c, ch’è veduto dall’ombra gf.

654. De’ lumi ed ombre.

Ogni parte del corpo ed ogni minima particola che si trova avere alquanto di rilievo, io ti ricordo che guardi a dar loro i principati delle ombre e de’ lumi.

655. Di ombra e lume.

Ogni parte della superficie che circonda i corpi si trasmuta in parte del colore di quella cosa che le è posta per obietto.

656. Esempio.

Se tu porrai un corpo sferico in mezzo a varî obietti, cioè che da una parte sia lume del sole e dall’opposita parte sia un muro illuminato dal sole, il quale sia verde o di altro colore; il piano dove si posa sia rosso; dai due lati traversi sia oscuro; vedrai il naturale colore di detto corpo partecipare de’ colori che gli sono per obietto: il piú potente sarà il luminoso; il secondo sarà quello della parete illuminata; il terzo quello dell’ombra; rimane poi una quantità che partecipa del colore degli estremi.

657. Di ombre e lumi.

Vedi tu, che ritrai delle opere di natura, le quantità e qualità e le figure di lumi ed ombre di ciascun muscolo, e nota nelle lunghezze della loro figura a qual muscolo si drizzano colle rettitudini delle loro linee centrali.

658. De’ lumi infra le ombre.

Quando ritrai alcun corpo, ricordati, quando fai paragone della potenza de’ lumi delle sue parti illuminate, che spesso l’occhio s’inganna, parendogli piú chiara quella che è men chiara; e la causa nasce mediante i paragoni delle parti che confinano con loro, perché se avran due parti di chiarezza ineguali, e che la men chiara confini con parti oscure, e la piú chiara confini con parti chiare, com’è il cielo o simili chiarezze, allora quella ch’è men chiara, o vuoi dire lucida, parrà piú lucida, e la piú chiara parrà piú oscura.

659. Del chiaro e scuro.

Il chiaro e lo scuro insieme cogli scorti è la eccellenza della scienza della pittura.

660. Del chiaro e scuro.

Il chiaro e lo scuro, cioè il lume e le ombre, hanno un mezzo, il quale non si può nominare né chiaro né scuro, ma egualmente partecipante di esso chiaro e scuro; ed è alcuna volta egualmente distante dal chiaro e dallo scuro, ed alcuna volta piú vicino all’uno che all’altro.

661. Delle quattro cose che si hanno da considerare principalmente nelle ombre e ne’ lumi.

Quattro sono le parti principali le quali si hanno da considerare nella pittura, cioè qualità, quantità, sito e figura: per la qualità s’intende che ombra, e quale parte dell’ombra è piú o men oscura; quantità, cioè quanto sia la grandezza di tale ombra rispetto alle altre vicine; sito, cioè in che modo si debbano situare, e sopra che parte del membro dove si appoggia; figura, cioè che figura sia quella di essa ombra, come a dire se essa è triangolare, o partecipi di tondo, o di quadrato, ecc. L’aspetto ancora è da connumerare, nelle parti delle ombre, cioè che se l’ombra ha del lungo, vedere a che aspetto si drizza la somma di tale lunghezza; se si drizza all’orecchio l’ombra di un ciglio, se si drizza alle nari l’ombra inferiore della cassa dell’occhio, e cosí con simili riscontri di varî aspetti situare esse ombre; adunque l’aspetto è da essere preposto al sito.

662. Della natura del lume illuminatore de’ corpi ombrosi.

Il lume universale cinge la parte del corpo ombroso da esso veduta, e l’illumina, e varia l’illuminazione di quella con tanto maggiore o minor chiarezza, quanto le parti di tal corpo illuminate son vedute da maggiore o minore quantità di esso lume universale.

663. De’ lumi universali sopra i corpi puliti.

I lumi universali circostanti ai corpi puliti daranno chiarezza universale nelle superficie di tali corpi.

664. De’ corpi ombrosi i quali son puliti e lustri.

Ne’ corpi ombrosi i quali hanno superficie pulita e lustra, quelli ch’hanno lume particolare variano in loro le ombre ed i lustri in tanti varî siti quante sono le mutazioni del lume dell’occhio che li vede. In questo caso il lume particolare può essere immobile e l’occhio mobile, e cosí di converso, ch’è quel medesimo in quanto alle mutazioni de’ lustri e delle ombre nelle superficie di essi corpi.

665. Come i corpi circondati da lume universale generano in molte parti di sé i lumi particolari.

Generansi i lumi particolari nelle superficie de’ corpi ombrosi, ancoraché il loro tutto sia circondato di sopra da lume universale del cielo senza sole, com’è quando alcun oscuro nuvolo ce lo toglie e ce l’occupa; e questo nasce per la inegualità ch’hanno le superficie di essi corpi, mediante le membra a quelli congiunte, le quali, interponendosi infra esso lume ed il corpo ombroso, privano esso corpo di gran quantità di luce universale; onde la luce, che penetra infra i membri ed il corpo, sarà lume particolare, cioè parte di tutto il lume, che di sé abbraccia le parti esteriori di ciascun membro del corpo.

666. Delle ombre e lumi co’ quali si fingono le cose naturali.

Sono alcuni che vogliono vedere le ombre oscure in tutte le loro opere, e cosí biasimano chi non fa come loro. A questi tali si satisferà in parte coll’operare ombre oscure ed ombre chiare; le oscure ne’ luoghi oscuri, e le chiare nelle campagne a lumi universali.

667. Delle ombre, ed in quali corpi non possono essere di gran potenza di oscurità, e cosí i lumi.

Dove non si generano ombre di grande oscurità, non si possono neppur generare lumi di gran chiarezza. E questo accade negli alberi di rare e strette foglie, come salici, scope, ginepri e simili, ed ancora ne’ panni trasparenti, come sono zendadi, veli e simili, e cosí i capelli crespi e sparsi; e questo accade perché tutta la somma di ciascuna di predette specie non compone lustri nelle sue particole, e se vi sono, sono insensibili, e le loro specie poco si rimuovono dal luogo dove si generano; ed il simile fanno le parti ombrose di tali particole, e tutta la somma non genera ombra oscura, perché l’aria le penetra ed illumina, cosí le parti vicine al mezzo, come quelle di fuori; e se vi è varietà, essa è quasi insensibile, e cosí le parti illuminate di essa somma non possono essere di troppa differenza dalle parti ombrose, perché penetrando, com’è detto, l’aria luminosa per tutte le particole, le parti illuminate sono tanto vicine alle particole adombrate, che le loro specie mandate all’occhio fanno un misto confuso, composto di minimi chiari e scuri, in modo che non si discerne in tal misto altro che confusione a uso di nebbia. Il simile accade ne’ veli, tele ragnate, e simili.

disegno Leonardo668. Del lume particolare del sole o di altro corpo luminoso.

Quella parte del corpo illuminato sarà di piú intensa chiarezza, la quale sarà percossa dal raggio luminoso infra angoli piú simili; e la meno illuminata sarà quella che si troverà infra angoli piú disformi di essi raggi luminosi. L’angolo n nel lato che riguarda il sole, per essere percosso da esso sole infra angoli eguali, sarà illuminato con maggiore potenza di raggi che nessun’altra parte di esso corpo illuminato; e il punto c sarà men che nessun’altra parte illuminato, per essere esso punto ferito dal corpo solare con angoli piú disformi che nessun’altra parte della planizie, donde si estendono tali raggi solari; e sia de’ due angoli il maggiore dce ed il minore ecf, e gli angoli eguali, che io doveva figurare prima, siano ano e bnr, i quali sono di punto eguali, e per questo n sarà piú che altra parte illuminato.disegno Leonardo

669. Del lume universale dell’aria dove non percuote il sole.

Quella cosa si dimostrerà piú illuminata, che sarà veduta da maggiore quantità di luminoso; per quel ch’è detto, e sarà piú illuminato che a, perché e vede maggior somma di cielo, vedendo rs che non vede a, vedendo solamente il cielo bcd.

670. Dell’universale illuminazione mista colla particolare del sole o di altri lumi.

disegno LeonardoSenza dubbio quella parte del corpo ombroso che sarà veduta da men quantità del corpo universale e particolare, quella sarà meno illuminata. Provasi, e sia a il corpo del sole posto nel cielo nam; dico che il punto o del corpo ombroso sarà piú illuminato dal lume universale che il punto r, perché o vede ed è veduto da tutta la parte del lume universale nam, ed il punto r non è veduto se non dalla parte del cielo me. Dipoi o è veduto da tutta la quantità del sole ch’è volta ad esso, ed r non vede alcuna parte di esso sole.

671. Dell’ombra media, la quale s’interpone infra la parte illuminata e l’ombrosa de’ corpi.

Infra la parte illuminata e l’ombrosa de’ corpi s’inframmette l’ombra media, la quale varia assai i suoi termini, imperocché dov’essa termina con l’ombra si converte in ombra, e dov’essa termina coll’una parte illuminata si fa della chiarezza di essa illuminata; e se il lume primitivo sarà particolare, allora vi saranno i lustri, i quali sono cosí espediti termini dell’ombra media, quanto si sia la parte ombrosa.

672. Se il gran lume di poca potenza val quanto un piccolo lume di gran potenza.

L’ombra generata da un piccolo lume e potente è piú oscura che l’ombra nata da un maggior lume e di minore potenza.
disegno Leonardo

673. Del mezzo incluso infra i lumi e le ombre principali.

L’ombra mezzana si dimostrerà di tanto maggiore quantità, quanto l’occhio che la vede sarà piú a riscontro del centro della sua magnitudine. Ombra mezzana è detta quella che tinge le superficie de’ corpi ombrosi dopo l’ombra principale, e vi si contiene dentro il riflesso, e si fa tanto piú oscura o chiara, quanto essa è piú vicina o remota dall’ombra principale. mn sia l’ombra piú oscura, il resto sempre si rischiarerà insino al punto o. Il resto della figura non è in altro al proposito della proposta, ma servirà alla succedente.

674. Del sito dell’occhio che vede piú o men ombra secondo il moto ch’esso fa intorno al corpo ombroso.

Tanto si variano le proporzioni delle quantità ch’hanno infra loro le parti ombrose ed illuminate de’ corpi ombrosi, quante sono le varietà de’ siti dell’occhio che le vede. Provasi, e sia amno il corpo ombroso, p sia il luminoso che lo abbraccia; co’ suoi raggi pr e ps illumina la parte mdn, e il rimanente nom resta oscuro, e l’occhio che vede tal corpo sia q, il quale co’ suoi raggi visuali abbraccia esso corpo ombroso, e vede tutto dmo, nella qual veduta vede dm, parte illuminata assai minore che mo, parte ombrosa, come si prova nella piramide dqo, tagliata in kh, egualmente distante alla sua base divisa nel punto c. E cosí similmente si varierà in tanti modi la quantità del chiaro e scuro all’occhio che lo vede, quante saranno le varietà de’ siti del predetto occhio.

disegno Leonardo675. Qual sito è quello donde mai si vede ombra negli sferici ombrosi.

L’occhio che sarà situato dentro alla piramide riflessa delle specie illuminate de’ corpi ombrosi non vedrà mai nessuna parte ombrosa di esso corpo. La piramide riflessa delle specie illuminate sia abc, e la parte illuminata del corpo ombroso sia la parte bcd; e l’occhio che sta dentro a tale piramide sia e, al quale non potran mai concorrere tutte le specie illuminate b c d se esso non si trova nel punto luminoso a, dal quale nessuna ombra è mai veduta, ch’esso subito non la distrugga; seguita adunque che e, non vedendo se non la parte illuminata odp, è piú privato di vedere i termini dell’ombra bc che non è a, ch’è tanto piú remoto.

676. Qual sito ovvero qual distanza è quella intorno al corpo sferico, donde mai non è privato d’ombra.disegno Leonardo

Ma quando l’occhio sarà piú distante dallo sferico ombroso che il corpo che lo illumina, allora è impossibile trovar sito donde l’occhio sia integralmente privato delle specie ombrose di tale corpo. Provasi: bnc sia il corpo ombroso, a sia il corpo luminoso, bnc è la sua parte ombrosa e bsc sarà illuminata; o sia l’occhio piú remoto dal corpo ombroso che il lume a, il quale occhio vede tutta l’ombra bdce; e se esso occhio si muoverà circolarmente intorno ad esso corpo con la medesima distanza, impossibile è che mai integralmente perda tutta la predetta ombra; imperocché, se col suo moto perde una parte di essa ombra da un lato, esso pel moto n’acquista dall’altro.

677. Qual lume fa le ombre de’ corpi piú differenti ai lumi loro.disegno Leonardo

Quel corpo farà le ombre di maggiore oscurità, il quale sarà illuminato da lume di maggior splendore. Il punto a è illuminato dal sole, ed il punto b è illuminato dall’aria illuminata dal sole; e tal proporzione sarà dall’illuminato a all’illuminato b, quale è la proporzione che ha il lume del sole con quello dell’aria.

678. Di varî obietti vicini veduti in lunga distanza.

Quando gli obietti vicini infra loro e minuti saran veduti in lunga distanza, in modo che si perda la notizia delle loro figure, allora si causa un misto delle loro specie, il quale parteciperà piú di quel colore del quale sarà vestita la maggior somma de’ detti obietti.

679. Del sito dove l’obietto si mostra di maggiore oscurità.

Quell’obietto si mostra piú oscuro in pari distanza dall’occhio, il quale sarà veduto in piú alto sito; e questo accade perché l’aria è piú sottile, quanto piú s’innalza, e manco occupa l’obietto che la sua grossezza; e di qui nasce che sempre le cime de’ colli che campeggiano nelle spiaggie de’ monti si dimostrano essere piú oscure che le basi de’ colli stessi.

680. Dove ed in qual colore le ombre perdano piú il colore naturale della cosa ombrata.

Il bianco, che non vede né lume incidente, né alcuna sorta di lume riflesso, è quello che prima perde nella sua ombra integralmente il suo proprio natural colore, se colore si potesse dire il bianco. Ma il nero aumenta il suo colore nelle ombre, e lo perde nelle sue parti illuminate, e tanto piú lo perde, quanto la parte illuminata è veduta da lume di maggior potenza. E il verde e l’azzurro aumentano il lor colore nelle ombre mezzane; ed il rosso e il giallo acquistano di colore nelle loro parti illuminate; il simile fa il bianco, ed i colori misti partecipano della natura de’ colori che compongono tal mistione; cioè il nero misto col bianco fa berettino, il quale non è bello nelle ultime ombre, com’è il nero semplice, e non è bello in su’ lumi, come il semplice bianco, ma la suprema sua bellezza si è infra lume ed ombra.

681. Qual colore di corpo farà ombra piú differente dal lume, cioè qual sarà piú oscura.

Quel corpo avrà le sue parti ombrose piú remote di chiarezza rispetto alle parti illuminate, il quale sarà di colore piú propinquo al bianco.

disegno Leonardo682. Qual parte di un corpo sarà piú illuminata da un medesimo lume in qualità.

Quella parte di un corpo che sarà illuminata da una qualità luminosa, sarà di piú intensa chiarezza di quella la quale è percossa da piú grosso angolo luminoso. Provasi, e sia l’emisfero rmc, il quale illumina la casa klof; dico che quella parte della casa sarà piú illuminata ch’è percossa da più grosso angolo nato da una medesima qualità luminosa. Adunque in f, dove percuote nfc, sarà piú intensa chiarezza di lume, che dove percuote l’angolo edc, e la proporzione de’ lumi sarà la medesima che quella degli angoli, e la proporzione degli angoli sarà la medesima di quella della loro base nc ed ec, de’ quali il maggiore eccede il minore in tutta la parte ne; e cosí in a, sotto la gronda del tetto di tal casa, sarà tanto minor luce che in d, quanto la base bc di tale angolo bac è minore della base ec; e cosí seguita sempre proporzionatamente, essendo il lume di una medesima qualità. Ed il medesimo ch’è detto di sopra si conferma in qualunque corpo illuminato del nostro emisfero; e qui si manifesta nella parte dell’obietto sferico sotto l’emisfero k ed f, il quale nel punto b è illuminato da tutta la parte ace, e nella parte d dall’emisfero ef, ed in o dal gf, ed in n da mf, ed in h da sf, e cosí hai conosciuto dov’è il primo lume e la prima ombra in qualunque corpo. Quella parte di un corpo ombroso sarà più luminosa, che da maggior somma di lume sarà illuminata. Adunque, ponendo pel corpo ombroso il corpo abc ed idfn pel corpo luminoso, cioè l’emisfero illuminato, nella parte c ha il doppio piú lume che nella parte b, e tre quarti piú che in a, perché, c è illuminato dal cielo dgfe, e b dal df, ch’è la metà meno di de, e la parte a sarà solo illuminata dalla quarta parte di de, cioè da gd. La superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Sia d il disegno Leonardocorpo opaco, an sia il corpo luminoso, ac sia di un colore oscuro, cd sia il piano illuminato dall’emisfero afmn; per l’antidetta r sarà piú illuminata che o; o che s; s che t; e il simile faranno le parti che son volte ad ac, corpo oscuro, ed il simile quelle che son volte al luogo illuminato cd; e di qui nasce lume e ombra, e lume riflesso.
L’ombra che resta sotto gli sporti delle copriture degli edifici, la quale fa il sole, in ogni grado di altezza acquista oscurità. La cosa veduta dentro alle abitazioni illuminate da lume particolare ed alto di qualche finestra dimostrerà gran differenza infra i lumi e le sue ombre, e massime se l’abitazione sarà grande o scura. Quando il lume particolare illuminerà il suo obietto, il quale obietto abbia in opposita parte alcuna cosa illuminata dal medesimo lume, che sia di color chiaro, allora nascerà il controlume, cioè riflesso, ovvero riverberazione. Quella parte del lume riflesso che veste in parte la superficie de’ corpi, sarà tanto men chiara che la parte illuminata dall’aria, quanto essa è meno chiara dell’aria. E tu, pittore, che usi le istorie, fa che le tue figure abbiano tante varietà di lumi e di ombre, quanto son varî gli obietti che le hanno create, e non far maniera generale. La parte della superficie di ogni corpo partecipa di tanti varî colori, quanti son quelli che gli stanno per obietto. La campagna illuminata dal sole avrà le ombre di qualunque cosa di grande oscurità, e quel che la vedrà per l’opposita parte che la vede il sole, gli parrà oscurissima e le cose remote gli parranno propinque. Ma quando tu vedrai le cose per la linea che le vede il sole, esse ti si mostreranno senza ombre, e le cose propinque ti si mostreranno remote ed incognite di figura. La cosa che sarà illuminata dall’aria senza sole avrà quella parte piú oscura, che vedrà manco aria, e tanto piú oscura quanto essa sarà veduta da maggior somma di sito oscuro. Le cose vedute alla campagna hanno poca differenza dalle loro ombre ai loro lumi, e le ombre saranno quasi insensibili e senza alcuna disegno Leonardoterminazione; anzi, a similitudine di fumi, s’andranno perdendo inverso le parti luminose, e sol quivi saranno piú oscure, dov’esse saranno private dell’obietto dell’aria. La cosa veduta in luoghi poco luminosi, od in sul principiare della notte, ancora essa avrà poca differenza dai lumi alle ombre, e se sarà intera notte, la differenza infra i lumi e le ombre all’occhio umano è tanto insensibile, che perde la figura del tutto e solo si dimostra alle sottili viste degli  animali notturni. Le cose per distanza ti si mostrano ambigue e dubbiose; falle con tal confusione, se no esse non parranno della medesima distanza; non terminare i loro confini con certa terminazione, perché i termini sono linee o angoli, e per essere le ultime delle cose minime, non che di lontano, ma d’appresso, saranno invisibili. Se la linea e cosí il punto matematico son cose invisibili, i termini delle cose, per essere ancora essi in linea, sono invisibili, essendo propinqui; adunque, tu, pittore, non terminerai le cose remote dall’occhio, nelle quali distanze, non ch’essi termini, ma le parti de’ corpi sono insensibili. Tutte le cose illuminate partecipano del colore del loro illuminante. Le cose ombrate ritengono del colore della cosa che le oscura. Quanto maggiore è il lume della cosa illuminata, tanto piú oscuro pare il corpo ombroso che in esso campeggia.

683. Egualità di ombre in pari corpi ombrosi e luminosi in diverse distanze.disegno Leonardo

Possibile è che un medesimo corpo ombroso pigli eguale ombra da luminosi di varie grandezze. fogr è un corpo ombroso, del quale l’ombra è fgo, generata dalla privazione dell’aspetto del luminoso de nella vera distanza, e dal luminoso bc nella distanza remota; e questo nasce che l’uno e l’altro luminoso è egualmente privato dell’aspetto ombroso fog mediante la rettitudine delle linee ab, pc. Il medesimo diremo di due luminosi in varie distanze da un ombroso, cioè il luminoso rs grande ed il luminoso ac piccolo, variamente remoti da esso ombroso nmoq.

684. Qual luminoso è quello che mai vedrà se non la metà dello sferico ombroso.

disegno LeonardoQuando lo sferico ombroso sarà illuminato dallo sferico luminoso di grandezza eguale allo sferico ombroso, allora la parte ombrosa e quella luminosa di esso corpo ombroso saranno infra loro eguali. Sia abcd lo sferico ombroso eguale allo sferico luminoso ef; dico la parte ombrosa abc dello sferico ombroso essere eguale alla parte luminosa abd. E provasi cosí: le parallele e f s t son contingenti alle fronti dal diametro ab, cioè diametro dello sferico ombroso, il quale diametro passa pel centro di esso sferico, che, essendo diviso nel diametro detto, sarà diviso per eguali, e l’una parte sarà tutta ombrosa e l’altra sarà tutta luminosa.

685. S’egli è possibile che per alcuna distanza un corpo luminoso possa illuminare solamente la metà di un corpo ombroso minore di esso.

disegno LeonardoImpossibile è che per alcuna distanza un luminoso maggiore di un ombroso possa illuminare appunto la metà di esso ombroso. Quel ch’è detto si prova per le linee parallele, le quali si causano per essere equidistanti infra loro; ed infra linee equidistanti non s’include punto se non corpi sferici di quel diametro; adunque gli estremi di due sferici ineguali non saranno contingenti a due linee parallele.

686. Delle varie oscurità delle ombre de’ corpi in pittura contraffatte.

disegno LeonardoLa superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, e tanto piú o meno quanto l’obietto gli sarà piú vicino o remoto. Provasi la prima parte, e sia gbc la superficie del corpo opaco, il quale porremo che sia di superficie bianca, e che l’obietto rs sia nero, e l’obietto nm sia ancor esso bianco; e per la nona di questo, che prova che ogni corpo empie l’aria circostante delle specie del suo colore e della similitudine del corpo colorito, rs, obietto nero, empirà l’aria, che gli sta dinanzi, di colore oscuro, il quale terminerà in vgb, parte del corpo opaco gbc, la qual parte si tingerà nello stesso colore del suo obietto rs, ed il corpo bianco dell’altro obietto nm imbiancherà tutta la parte del corpo opaco in gbc; adunque nell’opaco si troverà tutto gv in semplice partecipazione di nero rs, ed in bc in semplice bianco, ed in gb ch’è veduto dall’obietto bianco e dall’obietto nero, sarà color composto di bianco e di nero, cioè superficie di color misto.
Per la seconda parte della detta proposizione molto sarà piú oscuro in g che in b, perché g è piú vicino al corpo nero rs, che non è b, e questo è manifesto per la definizione del cerchio in geometria, com’è figurato; ed oltre di questo nell’angolo b per essere il minore angolo che sia, disegno Leonardocom’è provato in geometria nell’angolo della contingenza, b non può vedere altro che l’estremo del corpo rs nel punto r, ed oltre questo si aggiunge in b la chiarezza dell’obietto bianco nm, il quale, ancoraché fosse nero, per essere piú remoto dal b che g dall’rs, com’è provato, b non sarebbe mai di tanta oscurità quanto è quella del g. Quel colore sarà veduto da piú distante luogo, che sarà piú remoto dal nero. E quello si dimostrerà in pari distanze di piú espediti termini, il quale sarà veduto in campo piú disforme in chiarezza od in oscurità di esso colore.

687. Quali colori fan piú varietà di lumi alle ombre.

Infra i colori sarà maggior differenza dalle loro ombre ai loro lumi, i quali saran piú simili alla bianchezza, perché il bianco ha piú chiara illuminazione e piú oscura ombrosità che altro colore, benché né il bianco né il nero sien nel numero de’ colori.

688. Tutti i colori nelle lontane ombre sono ignoti ed indiscernibili.

Tutti i colori di lontano saranno nelle ombre ignorati, perché la cosa che non è tocca dal principale lume non è potente a mandare di sé all’occhio per l’aria piú luminosa la sua similitudine, perché il minore lume è vinto dal maggiore. Esempio: noi vediamo, essendo in una casa, che tutti i colori i quali sono nelle pareti delle mura si veggono chiaramente ed espeditamente quando le finestre di detta abitazione sono aperte; e se noi usciremo fuori di essa casa e riguarderemo un poco di lontano per dette finestre le pitture fatte su dette mura, in iscambio di esse pitture vedremo una continuata oscurità.

689. De’ colori delle specie degli obietti che tingono di sé le superficie de’ corpi opachi.

disegno LeonardoMolte sono le volte che le superficie de’ corpi opachi nel tingersi de’ colori de’ loro obietti pigliano colori che non sono in essi obietti. Provasi: cd sia il corpo opaco, ed ab sia il suo obietto, il quale porremo che sia di color giallo, ed il corpo opaco azzurro; dico che tutta la parte della superficie dnc di tal corpo opaco, che in sé è azzurro, si dimostrerà esser verde, ed il simile farebbe se l’opaco fosse giallo e l’obietto azzurro; e questo nasce perché i colori varî, quando sono misti, si trasmutano in un terzo colore, partecipante dell’uno e dell’altro; e per questo il giallo misto coll’azzurro fa verde, il qual verde è un composto de’ suoi componenti, che manifestamente si comprende dal pittore speculativo.

disegno Leonardo690. Del color falso delle ombre de’ corpi opachi.

Quando un opaco fa la sua ombra nella superficie di un altro opaco, il quale sia illuminato da due varî luminosi allora tale ombra non dimostrerà essere del medesimo corpo opaco, ma di altra cosa. Provasi: nde sia il corpo opaco, e sia bianco in sé, e sia illuminato dall’aria ab e dal fuoco cg, dipoi sia anteposto infra il fuoco e l’opaco l’obietto op, del quale l’ombra si taglierà nella superficie in dn; ora in esso dn non illumina piú il rossore del fuoco, ma l’azzurro dell’aria, onde in dn sarà partecipante di azzurro ed in nf vede il fuoco; adunque l’ombra azzurra termina di sotto col rossore del fuoco sopra tale opaco, e di sopra termina con colore di viola, cioè che in de è illuminato da un misto composto dell’azzurro dell’aria ab e del rossore del fuoco de, ch’è quasi colore di viola; e cosí abbiamo provato tale ombra esser falsa, cioè ch’essa non è ombra del bianco, né ancora del rossore che la circonda.

691. Qual è in sé vera ombra de’ colori de’ corpi.

L’ombra de’ corpi non deve partecipare di altro colore, che quel del corpo dove si applica; adunque, non essendo il nero connumerato nel numero de’ colori da esso si tolgono le ombre di tutti i colori de’ corpi con piú o meno oscurità, che piú o men si richiede nel suo luogo, non perdendo mai integralmente il colore di detto corpo, se non nelle tenebre incluse dentro ai termini del corpo opaco. Adunque tu, pittore, che vuoi ritrarre, tingi alquanto le pareti del tuo studio di bianco misto con nero, perché bianco e nero non è colore.

692. Qual obietto tinge piú della sua similitudine le superficie bianche de’ corpi opachi.

Quell’obietto tingerà piú della sua similitudine le superficie de’ corpi bianchi opachi, il quale sarà di natura piú remoto dal bianco. Quel che qui si dimostra essere piú remoto dal bianco è il nero, e questo è quello in che la superficie del bianco opaco piú si tingerà che di nessun colore di altri obietti.

693. Degli accidenti delle superficie de’ corpi.

La superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, il qual colore sarà sopra essa superficie tanto piú sensibile, quanto la superficie di tal corpo sarà piú bianca e quanto tal colore le sarà piú vicino.

694. Del colore delle ombre, e quanto si oscurano.

Siccome tutti i colori si tingono nell’oscurità delle tenebre della notte, cosí l’ombra di qualunque colore finisce in esse tenebre; adunque tu, pittore, non osservare che nelle ultime tue oscurità si abbia a conoscere i colori che confinano insieme, perché se natura nol concede, e che tu fai professione di essere imitatore di natura quanto nell’arte si concede, non ti dare ad intendere di racconciare i suoi errori, perché errore non è in essa, ma sappi ch’esso è in te; conciossia, dato un principio, egli è necessario che seguiti un mezzo ed un fine compagno di esso principio.
disegno Leonardo

695. De’ colori de’ lumi illuminatori de’ corpi ombrosi.

Il corpo ombroso posto infra propinque pareti in luogo tenebroso, il quale da un lato sia illuminato da un minimo lume di candela, e dall’opposita sua parte sia illuminato da un minimo spiracolo di aria, se sarà bianco, allora tal corpo si dimostrerà da un lato giallo e dall’altro azzurro, stando l’occhio in luogo illuminato dall’aria.

696. Quel che fan le ombre co’ lumi ne’ paragoni.

I vestimenti neri fan parere gli uomini piú rilevati che i vestimenti bianchi; e questo nasce per la terza del nono che dice: la superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque seguita che le parti del volto che vedono e son vedute dagli obietti neri, si dimostrano partecipare di esso nero; e per questo le ombre saranno oscure e di gran differenza dalle parti di esso volto illuminate. Ma i vestimenti bianchi faranno le ombre de’ visi partecipanti di tal bianchezza, e per questo le parti del volto si dimostreranno di poco rilievo per avere il chiaro e lo scuro infra loro poca differenza di chiaro e di scuro; seguita che in questo caso l’ombra del viso non sarà vera ombra di tali carni.

697. Quali sono gli obietti delle carni che le fanno dimostrare le ombre compagne de’ lumi.

Il lume di vetro incarnato e l’abitazione dell’uomo tinta nel medesimo incarnato, e cosí i vestimenti, faranno parere il volto co’ veri lumi ed ombre delle sue carni, e questo modo è utilissimo per far parere la carni bellissime; ma tal precetto è contro ai precetti delle figure poste in campagna circuita da diversi colori, che essendo poi la figura posta in tal campagna, essa sarebbe contro alla terza del nono di questa.

698. Delle ombre de’ visi che passando per le strade molli non paiono compagne delle loro incarnazioni.

Quello che si dimanda accade che spesse volte un viso sarà colorito o bianco e le ombre gialleggieranno, e questo accade che le strade bagnate piú gialleggiano che le asciutte, e che le parti del viso che sono volte a tali strade sono tinte della giallezza ed oscurità delle strade che gli stanno per obietto.

699. Della qualità dell’aria alle ombre e ai lumi.

Quel corpo farà maggiore differenza dalle ombre ai lumi, che si troverà esser visto da maggior lume, come lume di sole, o la notte il lume del fuoco; e questo è poco da usare in pittura, perché le opere rimangono crude e senza grazia. In quel corpo che si troverà in mediocre lume sarà poca differenza dai lumi alle ombre; e questo accade sul far della sera, o quando è nuvolo; e queste opere sono dolci, ed havvi grazia ogni qualità di volto, sicché in ogni cosa gli estremi sono viziosi; il troppo lume fa crudo, il troppo scuro non lascia vedere; il mezzano è buono.

700. De’ lumi piccoli.

Ancora i lumi fatti da piccole finestre fanno gran differenza dai lumi alle ombre, e massime se la stanza da quelle illuminata sarà grande; e questo non è buono da usare.

701. Qual superficie fa minor differenza di chiaro e di scuro.

La superficie nera, e quelle ancora che piú partecipano di essa nigredine, ha minor differenza infra le sue parti ombrose e luminose che alcun’altra, perché la parte illuminata si dimostra esser nera, e l’ombrata non può esser altro che nera, ma con poca varietà acquista alquanto di piú oscurità che la parte nera illuminata.

702. Dov’è maggior varietà dalle ombre ai lumi, o nelle cose vicine o nelle remote.

Quel corpo ombroso avrà men differenza infra i suoi lumi ed ombre, il quale sarà piú remoto dall’occhio, e cosí di converso essendo vicino ad esso occhio per causa della chiarezza dell’aria luminosa la quale s’interpone con maggior grossezza infra l’occhio ed esso corpo ombroso quando è remoto ch’essendo vicino.

703. Quale sarà quel corpo che di pari colore e distanza dall’occhio men varia i suoi lumi dalle ombre.

Quel corpo mostrerà men differenza dalle sue ombre a’ suoi lumi, il quale sarà in aria di maggiore oscurità; e cosí di converso essendo in aria di maggior splendore; come ci mostran le cose poste nelle tenebre, le quali non si possono conoscere, e le cose anteposte allo splendore del sole, che le ombre paiono tenebrose rispetto alle parti percosse dai raggi solari.

704. Perché si conoscono le vere figure di qualunque corpo vestito e terminato nelle superficie.

Le ombre e i lumi sono certissima causa a far conoscere le figure di qualunque corpo, perché un colore di eguale chiarezza od oscurità non può dimostrare il suo rilievo, ma fa ufficio di superficie piana, la quale con egual distanza in tutte le sue parti sia egualmente distante dallo splendore che lo illumina.

705. Della discrezione delle ombre de’ siti e delle cose poste in quelli.

Se il sole sarà nell’oriente e guarderai inverso occidente, vedrai tutte le cose illuminate essere interamente private di ombra, perché tu vedi ciò che vede il sole; e se riguarderai a mezzodí o tramontana, vedrai tutti i corpi essere circondati da ombra e lume, perché tu vedi quello che vede e non vede il sole; e se riguarderai verso il cammino del sole, tutti i corpi ti mostreranno la loro parte ombrata, perché quella parte che tu vedi non può esser veduta dal sole.

706. In quali superficie si trova la vera ed eguale luce.

disegno LeonardoQuella superficie sarà egualmente illuminata, la quale sarà egualmente remota dal corpo che l’illumina; come se dal lume a, il quale illumina la superficie bcd, fossero tirate le linee eguali a essa superficie; allora per la definizione del cerchio essa superficie sarà egualmente illuminata in ogni sua parte; e se tal superficie fosse piana, come si dimostra nella seconda dimostrazione efgh, allora se gli estremi della superficie saranno egualmente distanti da tali linee, il mezzo h sarà la parte piú vicina a tale lume; e sarà tanto piú illuminata che tali estremi, quanto essa sarà piú vicina al detto suo lume e; ma se gli estremi di tale superficie piana saranno con distanza ineguale rimossi da tale lume, come si dimostra nella terza figura iklm, allora la parte piú vicina e la piú remota avranno tal proporzione ne’ loro lumi, quale è quella delle loro distanze dal corpo che le illumina.
disegno Leonardo

707. Della chiarezza del lume derivativo.

La piú eccellente chiarezza del lume derivativo è dove vede tutto il corpo luminoso con la metà del suo destro o sinistro campo ombroso. Provasi, e sia il luminoso bc, e il campo suo ombroso destro e sinistro sia dc ed ab, ed il corpo ombroso minore del luminoso sia nm, e la parete ps è dove s’imprimono le specie ombrose e luminose. Dico adunque, sopra essa parete ps nel punto r sarà la piú eccellente chiarezza di lume che in alcun’altra parte di esso pavimento. Questo si manifesta perché in r vede tutto il corpo luminoso bc con la metà del campo scuro ad, cioè cd, come ci mostrano i concorsi rettilinei della piramide ombrosa cdr e la piramide luminosa bcr; adunque in r vede tanta quantità del campo scuro cd quanto si sia il luminoso bc; ma nel punto s vede ab ombroso e vi vede ancora cd ombroso, i quali due spazi oscuri valgono il doppio del luminoso bc; ma quanto piú ti muoverai dall’s inverso l’r piú perderai dell’oscurità ab. Adunque, dall’s inverso l’r sempre si rischiara il pavimento sr; ancora, quanto piú ti muoverai dall’r all’o, tanto men vedrai del luminoso; e per questo piú si oscura il pavimento ro quanto si avvicina all’o. E per tal discorso abbiamo provato essere r la piú chiara parte del pavimento os.

708. Della remozione e propinquità che fa l’uomo nel discostarsi ed avvicinarsi ad un medesimo lume, e della varietà delle ombre sue.

disegno LeonardoTanto si variano le ombre e i lumi in un medesimo corpo di figura e quantità, quante sono le varietà degli appropinquamenti o remozioni che fa l’uomo dinanzi a esso lume. Provasi, e sia l’uomo bc, il quale, avendo il lume dall’a, fa la sua ombra bcf; dipoi l’uomo si muove da c in e, e il lume, che resta fermo, varia l’ombra di figura e di grandezza, la quale è la seconda ombra deg.

disegno Leonardo709. Delle varietà che fa il lume immobile delle ombre che si generano ne’ corpi, che in sé medesimi si piegano, o abbassano, o alzano senza mutazione de’ loro piedi.

Provasi, e sia il lume immobile f e l’uomo immobile di piante sia ab, il quale s’inchina in cb; dico l’ombra variarsi in infinito da a a c per essere il moto fatto in ispazio, e lo spazio è quantità continua, e per conseguente divisibile in infinito; adunque le ombre son variate in infinito, cioè dalla prima ombra aob all’ombra seconda bcr; e cosí si è concluso il proposito nostro.
disegno Leonardo

710. Qual corpo è quello che accostandosi al lume cresce la sua parte ombrosa.

Quando il corpo luminoso sarà minore del corpo da esso illuminato, tanto crescerà l’ombra al corpo illuminato, quanto e’ si farà piú vicino al corpo luminoso. a sia il corpo luminoso minore dell’ombroso rsgl, il quale illumina tutta la parte rsg inclusa dentro a’ suoi raggi luminosi an ed am; onde la parte ombrosa, per necessità di tali raggi, resta tutto rlg ombroso. Dipoi io avvicino al medesimo luminoso esso corpo ombroso, e sarà dpeo, il quale sarà rinchiuso dentro alla rettitudine de’ raggi luminosi ab ed ac, e sarà tocco da essi raggi nel punto d e nel punto e, e la linea de divide la parte ombrosa dalla sua luminosa dpe dal doe, la qual parte ombrosa per necessità è maggiore che l’ombrosa del corpo piú remoto rlg; e tutto nasce dai raggi luminosi che, per esser retti, si separano tanto piú remoti dal mezzo di tal corpo ombroso, quanto esso corpo sarà piú vicino al luminoso.

disegno Leonardo711. Qual è quel corpo che quanto piú si accosta al lume piú diminuisce la sua parte ombrosa.

Quando il corpo luminoso sarà maggiore del corpo da esso illuminato, tanto piú diminuirà l’ombra al corpo illuminato, quanto questo si farà piú vicino ad esso luminoso. ab sia il corpo luminoso maggiore del corpo ombroso xyrh, il quale, accostandosi al luminoso in fecd, diminuisce la sua ombra, perché è abbracciato piú di là dal suo mezzo dai raggi luminosi stando vicino al corpo che lo illumina, che quando esso era piú remoto.

712. Qual è quel corpo ombroso che non cresce né diminuisce le sue parti ombrose o luminose per nessuna distanza o vicinità dal corpo che lo illumina.

disegno LeonardoQuando il corpo ombroso e il luminoso saranno infra loro di egual grandezza, allora nessuna distanza, o vicinità, che infra loro s’interponga, avrà potenza di diminuire o crescere le loro parti ombrose o illuminate. nm sia il corpo ombroso, il quale, tirato nel sito cd piú vicino al luminoso ab, non ha cresciuto o diminuito la quantità della sua ombra; e questo accade perché i raggi luminosi che lo abbracciano sono in sé paralleli.
disegno Leonardo

713. Infra i corpi di eguale grandezza, quello che da maggior lume sarà illuminato avrà la sua ombra di minore lunghezza.

Quei corpi che saranno piú propinqui o remoti dal loro lume originale, faranno piú o meno breve la loro ombra derivativa. Nello sperimentare s’afferma la sopradetta proposizione, per cagione che il corpo mn è abbracciato da piú parte di lume che il corpo pq, come di sopra si dimostra. Diciamo che vcabdx sia il cielo che fa il lume originale; che st sia una finestra dond’entrino le specie luminose, e cosí m n p q sieno i corpi ombrosi contrapposti a detto lume; mn sarà di minore ombra derivativa, perché la sua ombra originale sarà poca, ed il lume derivativo sarà grande, perché ancora sarà grande il lume originale cd; pq avrà piú ombra derivativa, perché la sua ombra originale sarà maggiore; il lume suo derivativo sarà minore che quello del corpo mn, perché quella parte dell’emisfero ab, che lo illumina, è minore che l’emisfero cd, illuminatore del corpo mn.
disegno Leonardo

714. Quei corpi sparsi situati in abitazione illuminata da una sola finestra faranno l’ombra derivativa piú o meno breve, secondo che sarà piú o meno a riscontro di essa finestra.

La ragione che i corpi ombrosi che si trovano situati piú dritti al mezzo della finestra, fanno l’ombra piú breve che quelli situati in traverso sito, si è che vedono la finestra in propria forma, ed i corpi traversi la vedono in iscorto; a quello di mezzo la finestra pare grande, ai traversi pare piccola; quel di mezzo vede l’emisfero grande, cioè ef, e quelli dai lati lo vedono piccolo, cioè qr vede ab e cosí mn vede cd; il corpo di mezzo, perché ha maggior quantità di lume che quelli dai lati, è illuminato assai piú basso che il suo centro, e però l’ombra è piú breve, e tanto quanto ab entra in ef, tanto la piramide g4 entra in ey appunto.

715. Ogni mezzo d’ombra derivativa si drizza col mezzo dell’ombra originale, e col centro del corpo ombroso, e del lume derivativo, e col mezzo della finestra, ed in ultimo col mezzo di quella parte del meridionale fatto dall’emisfero celeste.

yh è il mezzo dell’ombra derivativa, lh dell’ombra originale; l sia il mezzo del corpo ombroso, lk del lume derivativo; v sia il mezzo delle finestre; e sia l’ultimo mezzo del lume originale fatto da quella parte dell’emisfero del cielo che illumina il corpo ombroso.
disegno Leonardo

716. Ogni ombra fatta dal corpo ombroso minore del lume originale manderà le ombre derivative tinte del colore della loro origine.

L’origine dell’ombra ef sia n, e sarà tinta in suo colore; l’origine di he sia o, e sarà similmente tinta in suo colore, e cosí il colore di vh sarà tinto nel colore del p perché nasce da esso, e l’ombra del triangolo zky sarà tinta nel colore di q perché deriva da esso q; f è il primo grado di lume, perché quivi illumina tutta la finestra ad, e cosí nel corpo ombroso m è di simil chiarezza; zky è un triangolo che contiene in sé il primo grado di ombra, perché in esso triangolo non capita il lume ad; xh è il secondo grado d’ombra perché lí non illumina se non un terzo della finestra, cioè cdh, e sarà il terzo grado di ombra perché lí vede i due terzi della finestra bd; e f sarà l’ultimo grado di ombra perché l’ultimo grado di lume della finestra illumina nel luogo di f.

717. Quella parte del corpo ombroso sarà meno luminosa, che sarà veduta da minore quantità di lume.

La parte del corpo m è primo grado di lume perché lí vede tutta la finestra ad per la linea af; il secondo grado è n perché lí vede il lume bd per la linea be; o è il terzo grado perché lí vede il lume cd per la linea cb; p è il penultimo perché lí vede cd per la linea dv; q è l’ultimo grado perché lí non vede nessuna parte della finestra; tanto quanto cd entra in ad, tanto è piú scuro nrs che m, e tutto l’altro campo senz’ombra.

718. Ogni lume che cade sopra i corpi ombrosi infra eguali angoli, tiene il primo grado di chiarezza, e quello sarà piú scuro che riceve gli angoli meno eguali, ed il lume o le ombre fanno loro ufficio per piramide.disegno Leonardo

L’angolo c tiene il primo grado di chiarezza perché lí vede tutta la finestra ab e tutto l’orizzonte del cielo mx; l’angolo d fa poca differenza da c, perché gli angoli che lo mettono in mezzo non sono tanto disformi di proporzione quanto gli altri di sotto, e mancagli solamente quella parte dell’orizzonte ch’è tra y x; benché l’acquisti altrettanto dall’opposito lato, nondimeno la sua linea è di poca potenza, perché il suo angolo è minore che il suo compagno; l’angolo ed sarà di minor lume perché lí non vede; manca il lume ms ed il lume vx, ed i loro angoli sono assai disformi; l’angolo k e l’angolo f sono messi in mezzo ciascun per sé da angoli molto disformi l’uno dall’altro, e però saranno di poco lume, perché in k vede solamente il lume pt, ed in f non vede se non tq; og sarà l’ultimo grado di lume perché lí non vede nessuna parte del lume dell’orizzonte, e sono quelle le linee che un’altra volta ricompongono una piramide simile alla piramide c, la quale piramide l si troverà nel primo grado di ombra, perché ancora essa cade infra eguali angoli; ed essi angoli si drizzano e si sguardano per una linea retta che passa dal centro del corpo ombroso, e s’accoppia al mezzo del lume; le specie luminose moltiplicate nei termini della finestra ne’ punti a b fanno un chiarore che circonda l’ombra derivativa creata dal corpo ombroso nel luogo 4 e 6; le specie oscure si moltiplicano in og e finiscono in 7 e 8.

719. Ogni ombra fatta dai corpi si dirizza colla linea del mezzo ad un solo punto fatto per intersecazione di linee luminose nel mezzo dello spazio e grossezza della finestra.

La ragione premessa di sopra chiaramente appare per esperienza; imperocché figurerai uno sito colla finestra a tramontana, la quale sia sf, vedrai all’orizzonte di levante produrre una linea, che toccando i due angoli della finestra o f capiterà in d, e l’orizzonte di ponente produrrà la sua linea toccando gli altri due angoli della finestra r s e finirà in c, e questa intersecazione viene appunto nel mezzo dello spazio e della grossezza della finestra: ancora ti confermerai meglio questa ragione col porre due bastoni come nel luogo di g h; vi vedrai la linea fatta dal mezzo dell’ombra reale drizzarsi al centro m e coll’orizzonte nf.
disegno Leonardo

720. Ogni ombra con tutte sue varietà che per distanza cresce per larghezza piú che la sua cagione, le sue linee esteriori si congiungono insieme infra il lume e il corpo ombroso.

Questa proposizione chiaramente appare e si conferma dalla esperienza, imperocché se ab sarà una finestra senza alcuna tramezzatura, l’aria luminosa che sta da destra in a è vista da sinistra in d, e l’aria che sta da sinistra in b, illumina da destra nel punto c, e dette linee s’intersecano nel punto m.

721. Ogni corpo ombroso si trova infra due piramidi, una scura e l’altra luminosa; l’una si vede e l’altra no, e questo disegno Leonardosolo accade quando il lume entra per una finestra.

Fa conto che ab sia la finestra e che r sia il corpo ombroso; il lume destro 3 passa il corpo dal lato sinistro del corpo ombroso in g e va in p; il lume sinistro k passa a detto corpo nel lato destro in i e va in m, e quelle due linee s’intersecano in c e lí fanno piramide; dipoi ab tocca il corpo ombroso in ig e fa la sua piramide in fig; f sarà oscuro, perché mai lí può vedere il lume abig; c sempre sarà luminoso, perché lí vede il lume.

722. Qual è quel lume che, ancoraché l’occhio sia piú discosto dallo sferico ombroso che esso lume, non potrà mai vedere ombra, stando dietro al lume.disegno Leonardo

Quando il luminoso sarà eguale o maggiore che lo sferico ombroso, allora l’occhio che sarà dopo tal lume non potrà mai vedere alcuna parte di ombra nel corpo ombroso per la differenza del detto luminoso. cedf sia lo sferico ombroso, ab è il corpo luminoso eguale all’ombroso, e l’ombra di tal corpo sferico sia cfd; dico che l’occhio l, che sta dopo il lume ab in qualunque distanza si voglia, mai potrà vedere parte alcuna d’ombra, per la settima del nono che dice: mai le parallele concorrono in punto, perché ac bd son poste parallele, e se abbracciano di punto la metà dello sferico e le linee n m, che concorrono in punto l, esso punto non potrà mai vedere la metà dello sferico nel diametro suo cd.

723. Dell’occhio che per lunga distanza mai gli sarà occupata la veduta dell’ombra nell’ombroso, quando il luminoso sarà minore dell’ombroso.

disegno LeonardoMa quando il luminoso sarà minore dell’ombroso, gli sarà sempre trovata qualche distanza, donde l’occhio potrà vedere l’ombra di esso ombroso. Sia opef il corpo ombroso, ed il lume sia ab, in che proporzione si voglia minore di esso ombroso; dico che mai si proibirà che l’occhio n, che sta di dietro al lume, non veda qualche parte ombrosa dell’ombra del corpo sferico ombroso, come mostra la rettitudine delle linee.

724. Dell’ombra dell’opaco sferico posto infra l’aria.

disegno LeonardoLa parte dello sferico opaco sarà piú ombrosa, che da maggior somma di oscurità sarà veduta. Sia l’obietto oscuro il piano dc, e l’emisfero luminoso sia dnc, ed il corpo sferico interposto infra il  lume dell’emisfero e l’oscurità della terra sia bcpo; dico che la parte oqp sarà piú oscura che alcuna parte di tale sferico, perché il sole vede il tutto de’ lati dell’opposita oscurità della terra dc, ed ogni altro suo lato ne vede meno. Provasi per uno degli elementi, che dice: la linea prodotta dal centro del circolo all’angolo della contingenza sarà perpendicolare e cadrà infra due angoli retti; seguita che la linea che vien dal centro x della sfera termina in sc infra angoli retti nel punto o, vede tutta l’oscurità della terra dc, e cosí tale o è veduto da essa terra; il simile fa p opposito per le medesime cagioni; e cosí q ed ogni parte che s’interpone infra op, spazio. Ma il q è di piú eccellente oscurità per essere in mezzo sopra la terra, che non è l’o od il p, che son piú vicini agli estremi di tale oscurità della terra e cominciano a vedere l’orizzonte di esso emisfero e si mischiano col suo lume.

725. Dell’ombra dell’opaco sferico posato sopra la terra.

disegno LeonardoMa l’ombra dell’opaco sferico, il quale si posa in contatto colla terra, sarà di maggiore oscurità che l’antecedente, che solamente la vede come suo obietto. Provasi, e sia lo sferico opaco nms posato sopra la terra ac nel punto s, e l’arco abc sia il nostro emisfero; dico che l’ombra che fa esso sferico sopra la terra dove si posa sarà piú oscura che l’antidetta, per l’ottava che dice: ogni causa è fatta partecipe della sua causa, onde seguita che la terra, causa di tale ombra, darà l’ombra piú oscura, che sarà in sé piú oscura; adunque, essendo piú oscura l’ombrata che l’illuminata, lí è concluso.

726. Delle ombre de’ corpi alquanto trasparenti.

Nessun corpo partecipante di trasparenza fa ombra oscura se non è ombrato dall’oscurità delle ombre di molti altri simili corpi, come sono le foglie degli alberi, che fanno le ombre l’una sopra l’altra.

727. Dell’ombra maestra che sta infra il lume incidente ed il riflesso.

Nota la vera figura che ha l’ombra maestra, la quale s’interpone infra il lume riflesso ed il lume incidente. Questa tale ombra non si taglia, né ha fine se non insieme col membro sopra il quale si appoggia, ed i suoi lati sono di varie distanze dal suo mezzo e di varie conterminazioni con esso lume incidente e riflesso. Imperocché alcuna volta si mostra di termini noti ed alcuna volta di termini insensibili; alcuna volta si piega della sua rettitudine, alcuna volta osserva rettitudine; alcuna volta i termini sono distanti ineguali dal mezzo dell’ombra principale; e di questo discorso si comporrà un libro.

728. De’ termini de’ corpi che prima si perdono di notizia.

I termini de’ corpi opachi sono quelli de’ quali in brevissima distanza si perde la notizia; questa di che si predice il perdimento della notizia è la superficie dei corpi, per altro modo detta termine de’ corpi densi, la quale, non avendo corpo, non dà di sé spedita notizia e tanto meno ne dà quanto essa è piú remota dal suo investigatore.

729. De’ termini de’ corpi opachi.

disegno LeonardoI veri termini de’ corpi opachi mai saranno veduti con spedita cognizione; e questo nasce perché la virtú visiva non si causa in punto com’è provato nella terza del quinto di prospettiva, dove dice: la virtú visiva essere infusa per tutta la pupilla dell’occhio; adunque, essendo la pupilla abc che vede il termine del corpo n nello estremo m occupare nella parete gh tutto lo spazio def, perché la parte superiore a della pupilla vede il termine del corpo m nel punto d, e il mezzo della pupilla, b, vede un altro termine piú basso nel punto e che è piú alto del d, e la parte inferiore della pupilla, c, vede un altro termine del corpo piú basso, il quale è portato piú alto nella detta parete; e cosí è provata la causa della confusione de’ termini che hanno i corpi ombrosi.

disegno Leonardo730. Come i termini de’ corpi ombrosi veduti da una medesima pupilla non sono in un medesimo sito in esso corpo.

I termini de’ corpi opachi veduti da una medesima pupilla non saranno mai in un medesimo sito in esso corpo. Provasi, e sia che la pupilla ab vegga la parte superiore del corpo opaco n; dico che la parte inferiore b di tal pupilla vedrà il termine di esso corpo nel punto d, terminato nella parete or nel punto e, e la parte superiore a della pupilla vedrà esso termine del corpo opaco nel punto c terminare in detta parete. Adunque, non essendo cd in un medesimo sito di tal corpo opaco, noi abbiamo provato il nostro intento.
disegno Leonardo

731. Come quel corpo ha i suoi termini piú confusi, che sarà piú vicino all’occhio che li vede.

Tanto saranno piú confusi i termini de’ corpi opachi, quanto e’ saranno piú vicini all’occhio che li vede. Quel che si propone si prova con mostrare ab, pupilla, vedere i termini nel corpo e in cd forte distanti l’un dall’altro, e per questo restan confusi; e vede i termini del corpo f, ch’è piú remoto, essere ancora piú vicini, cioè no, e per conseguente li viene a vedere piú spediti che quelli del corpo e.
disegno Leonardo

732. Come si deve conoscere qual parte del corpo deve essere piú o men luminosa che le altre.

Se a sarà il lume e la testa sarà il corpo da quello illuminato; e quella parte di essa testa che riceve sopra di sé il raggio fra angoli piú eguali sarà piú illuminata; e quella parte che riceverà i raggi infra angoli meno eguali sarà meno luminosa; e fa questo lume nel suo ufficio a similitudine del colpo, imperocché il colpo che cadrà infra eguali angoli sarà in primo grado di potenza, e quando cadrà infra disuguali sarà tanto meno potente che il primo, quanto gli angoli saranno piú disformi. Esempligrazia, se gitterai una palla in un muro, che le estremità sieno equidistanti da te, il colpo cadrà infra eguali angoli, e se la gitterai in detto muro stando da una delle sue estremità, la palla cadrà infra disuguali angoli e il colpo non si appiccherà.

733. Quando gli angoli fatti dalle linee incidenti saranno piú eguali, in quel luogo sarà piú lume, e dove saran piú disuguali, sarà piú oscurità.

Poiché provato si è che ogni lume terminato fa, ovvero pare che nasca da un sol punto, quella parte illuminata da quello avrà la sua particola piú luminosa, sopra la quale cadrà la linea radiosa fra due angoli eguali, come di sopra si dimostra nella linea ag, e cosí in ah e simile in al; e quella particola della parte illuminata sarà men luminosa, sopra la quale la linea incidente ferirà tra due angoli, come appare in bcd; e per questa via ancora potrai conoscere le parti private di lume; come appare in mk.

734. Come i corpi accompagnati da ombra e lume sempre variano i loro termini dal colore e lume di quella cosa che confina colla loro superficie.

Se vedrai un corpo che la parte illuminata campeggi e termini in campo oscuro, la parte di esso lume che parrà di maggior chiarezza sarà quella che terminerà coll’oscuro in d; e se detta parte illuminata confina col campo chiaro, il termine di esso corpo illuminato parrà men chiaro che prima, e la sua somma chiarezza apparirà infra il termine del campo mf e l’ombra; e questo medesimo accade all’ombra, imperocché il termine di quella parte del corpo adombrato che campeggia in luogo chiaro in l parrà di molto maggiore oscurità che il resto; e se detta ombra termina in campo oscuro, il termine dell’ombra parrà piú chiaro che prima, e la sua somma oscurità sarà infra detto termine ed il lume, nel punto o.

735. De’ colmi de’ lumi che si voltano e trasmutano, secondo che si trasmuta l’occhio veditore di esso corpo.

Poniamo che il detto corpo sia questo tondo qui in margine figurato, e che il lume sia il punto a, e che la parte del corpo illuminata sia bc, e che l’occhio sia nel punto d; dico che il lustro, perché è tutto per tutto, e tutto nella parte, stando nel punto d, parrà nel punto c, e tanto quanto l’occhio si trasmuterà da d ad a, tanto il lustro si trasmuterà da c ad n.

736. Modo come devono terminare le ombre fatte dagli obietti.

Se l’obietto sarà questa montagna qui figurata, ed il lume fosse il punto a, dico che da b a d e similmente da c ad f non sarà lume se non per raggi riflessi; e questo nasce che i raggi luminosi non si adoprano se non per linea retta, e quel medesimo fanno i secondi raggi che sono riflessi.

737. Qual parte dello sferico meno si illumina.

Quella parte del corpo ombroso sarà manco illuminata, che da minor parte del corpo luminoso sarà veduta. Provasi, e sia il corpo ombroso asqr, e il luminoso sia il suo emisfero ncef; dico che la parte a e la parte o, per essere esse vedute da eguali archi aced e cedf, sono vedute da eguali quantità di lume, e sono per questo egualmente da essi illuminate. Ma r, veduto dal minore arco odf, riceve men lume; ed il p, che sol vede df, minore che edf, per questo resta meno luminoso, ed ancor meno luminoso rimane q, che sol vede l’estremo dell’orizzonte f.

738. Qual parte dello sferico piú si illumina.

E quella parte che degli sferici si illumina sarà di piú intensa chiarezza, che con minor somma di specie ombrose si accompagna. Provasi, e sia fno il corpo sferico ombroso, ed abc l’emisfero luminoso, e il piano ac l’oscurità della terra; dico adunque, che la parte della sfera fn sarà di piú intensa chiarezza, perché non vede nessuna parte della terra ac, ed è in sé di egual chiarezza, per essere illuminata dagli eguali archi dell’emisfero abc, cioè l’arco are è pari all’arco rbs ed all’arco bsc, e per una concezione che dice, che quando due cose sono eguali ad una terza, esse sono ancora infra loro eguali, adunque p f n sono eguali in chiarezza.

739. Qual parte dell’opaco sferico meno si illumina.

Quella parte dell’opaco sferico sarà di piú oscura ombrosità, che da men somma di raggi luminosi sarà vista. Benché questa abbia gran similitudine con la prima di sopra, non resterò che io non la provi, perché essa prova alquanto si varia; e sia il corpo ombroso fno, e l’emisfero sia abc, e l’oscurità della terra sia la linea ac; dico in prima che la parte superiore dello sferico fpn sarà egualmente illuminata da tutto l’emisfero abc, e cosí lo dimostro per le tre porzioni date eguali, cioè are che illumina il punto f, e rbs che illumina p, e gsc che illumina n; adunque, per la settima del nono è concluso fpn, parte superiore dello sferico, essere di eguale chiarezza; la quale settima del nono dice che tutte quelle parti dei corpi che con eguale distanza saranno illuminate da eguali e simili lumi, sempre per necessità saranno di eguale chiarezza, e tale condizione accade ad fpn. Seguita la seconda dimostrazione: sia abc il corpo ombroso sferico; dfe sia l’emisfero illuminatore; de è la terra che qui causa l’ombra; dico che tutta la parte della sfera anb per la passata è privata di ombra, perché non è veduta dall’oscurità della terra, e tutto il rimanente della superficie di tale sfera è ombroso con piú o meno oscurità, secondo che piú o men somma dell’oscurità della terra con minore o maggior quantità della luce dell’emisfero si accompagna.
Adunque il punto c, che vede minor somma di tale emisfero e maggior somma della terra, sarà piú oscurato che alcun’altra parte dell’ombra, cioè non vede se non rd e se dell’emisfero, e vede tutta la terra de; e la piú chiara sarà ab, perché non vede se non gli estremi della terra de. Tanto sarà minore quella parte che di qualunque sferico si illumina, quanto sarà minore la parte del luminoso che la vede. Provasi: ah sia il corpo ombroso, cie sia il nostro emisfero; seguita che a, parte del corpo ombroso, sarà meno illuminata per esser veduta da minor parte del corpo luminoso, cioè da men parte del giorno di esso nostro emisfero, come ci mostrano le due parti bc e de. Adunque quella parte dello sferico che si illumina sarà di maggior figura che da maggior somma del luminoso sarà illuminata. Provasi per il converso dell’antecedente: se il minimo lume bc, de del nostro emisfero illumina una minima parte dello sferico ah, il massimo lume di esso emisfero illuminerà la parte massima di tal corpo sferico, cioè se bc, df della figura seguente illumina solo la parte nmr, il rimanente dell’emisfero, giunto con esso la sua parte bc, df, illuminerà il rimanente del predetto sferico. Perché, ancoraché bc, df illumini nmr, esso illumina ancora la parte kn dal lato sferico, e l’altra lr dalla parte opposita. Dice qui l’avversario che non vuole tanta scienza, che gli basta la pratica del ritrarre le cose naturali; al quale si risponde che nessuna cosa è che piú c’inganni che fidarsi del nostro giudizio senz’altra ragione, come prova sempre l’esperienza, nemica degli alchimisti, negromanti ed altri semplici ingegni.

740. Della proporzione che hanno le parti luminose de’ corpi co’ loro riflessi.

Tal proporzione avrà la parte illuminata dal lume incidente da quella che si illumina dal lume riflesso, quale ha il lume incidente con esso lume riflesso. Provasi: sia ab il lume incidente che illumina lo sferico cd in cnd, e passa co’ suoi raggi all’obietto ef, e di lí si riflette in cmd; dico che se il lume ab ha due gradi di potenza e l’ef ne ha uno, ch’è subduplo a due, che il lume riflesso cmd sarà subduplo al lume cnd.

741. Della parte piú oscura dell’ombra ne’ corpi sferici o colonnali.

La parte dell’ombra de’ corpi sferici o colonnali sarà interposta infra il suo lume incidente ed il lume riflesso.

742. Come le ombre fatte da lumi particolari si debbono fuggire, perché sono i loro fini simili ai principî.

Le ombre fatte dal sole od altri lumi particolari sono senza grazia del corpo, che da quelle è accompagnato, imperocché confusamente lascia le parti di sé con evidente termine di ombra dal lume, e le ombre sono di pari potenza nell’ultimo che nel principio.

743. Del dare i lumi debiti alle cose illuminate secondo i siti.

Ai lumi accomodati alle cose da essi illuminate bisogna avere gran rispetti, conciossiaché in una medesima istoria vi accade parti che sono alla campagna al lume universale dell’aria, ed altre che sono in portici, che son lumi misti di particolari ed universali, ed altre ai lumi particolari, cioè in abitazioni che pigliano il lume da una sola finestra. Di queste tre sorta di lumi, alla prima è necessario i lumi pigliare gran campi, per la quarta del primo che dice: tal proporzione è da grandezza a grandezza delle parti de’ corpi illuminati, quale è da grandezza a grandezza degli obietti di quelli illuminatori; ed ancora di questi, cioè chi richiede riflessi dell’un corpo nell’altro, dove il lume entra per istretti luoghi infra i corpi illuminati da lume universale, perché ai lumi che penetrano infra i corpi vicini l’uno all’altro accade il medesimo che ai lumi che penetrano per le finestre o porte delle case, le quali noi dimandiamo lumi particolari; e cosí di questo faremo al suo luogo i debiti ricordi.

744. Regola del porre le debite ombre e i debiti lumi ad una figura, ovvero corpo laterato.

Tal sarà la maggiore o minore oscurità dell’ombra ovvero la maggiore o minor chiarezza di lume che ferirà sopra le faccie di un corpo laterato, qual sarà la maggiore o minore grossezza dell’angolo che si rinchiude, infra la linea centrale del luminoso che percuote sopra il mezzo del lato illuminato e la superficie di esso lato illuminato; come se il corpo illuminato fosse colonnato ottangolare, la fronte del quale è posta qui in margine; e sia che la linea centrale ra, la quale si estende dal centro del luminoso r al centro del lato sc; e sia ancora che la linea centrale rd si estenda dal centro di esso luminoso r al centro del lato cf; dico che tal proporzione sarà dalla qualità del lume che riceve da esso luminoso il lato sc a quella che dal medesimo luminoso riceve il secondo lato cf, qual sarà dalla grossezza dell’angolo bac alla grossezza dell’angolo edf.

745. Regola del porre le vere chiarezze de’ lumi sopra i lati del predetto corpo.

Sia tolto un colore simile al colore del corpo che tu vuoi imitare, e sia tolto il colore del principale lume col quale vuoi illuminare esso corpo; dipoi, se tu trovi che il sopradetto maggiore angolo sia duplo all’angolo minore, allora tu torrai una parte del colore naturale del corpo che vuoi imitare, e dàgli due parti del lume che tu vuoi ch’esso riceva, ed avrai posto il lume duplo al lume minore; dipoi, per fare il lume subduplo, togli una sola parte di esso colore naturale del già detto corpo, ed aggiungigli solo una parte del detto lume, e cosí avrai fatto sopra un medesimo colore un lume il quale sarà doppio l’uno all’altro, perché sopra una quantità di esso colore è data una simile quantità di lume, ed all’altra quantità son date due quantità di tale lume. E se tu vuoi misurare di punto esse quantità di colori, abbi un piccolo cucchiaro col quale tu possa pigliare le tue quantità eguali, com’è posto qui in margine. E quando tu hai con esso tolto il tuo colore, tu lo radi colla piccola riga, come far si suole alle misure delle biade quando si vendono esse biade.

746. Perché pare piú chiaro il campo illuminato intorno all’ombra derivativa stando in casa che in campagna.

Il campo chiaro che circonda l’ombra derivativa è piú chiaro vicino ad essa ombra che nelle parti piú remote; e questo accade quando tal campo riceve il lume da una finestra, e non accade in campagna. E come questo nasce sarà definito a suo luogo nel libro dell’ombra e lume.

747. Del dare i lumi.

Da’ prima un’ombra universale per tutta la parte contenente che non vede il lume, poi dàgli ombre mezzane, e le principali a paragone l’una dell’altra, e cosí da’ il lume contenente di mezzano lume, dandogli poi i mezzi e i principali similmente a paragone.

748. Del dare con artificiosi lumi ed ombre aiuto al finto rilievo della pittura.

Nell’aumentare la pittura nel suo rilievo userai fare, infra la finta figura e quella cosa visiva che riceve la sua ombra, una linea di chiaro lume che divida la figura dall’oscurato obietto; e nel medesimo obietto farai due parti chiare che mettano in mezzo l’ombra fatta nel muro dalla contrapposta figura. Usa spesso fare quelle membra che tu vuoi che si partano alquanto dal loro corpo, e massime quando le braccia intraversano il petto, di fare che infra il battimento dell’ombra del braccio sul petto e la propria ombra del braccio resti alquanto di lume, che paia che passi nello spazio ch’è infra il petto ed il braccio. E quando tu vuoi che il braccio paia piú distante dal petto, tanto piú fa detto lume maggiore, e sempre fa che tu t’ingegni di accomodare i corpi in campi che la parte di essi corpi ch’è oscura termini in campo chiaro, e la parte del corpo illuminata termini in campo oscuro.

749. Del circondare i corpi con varî lineamenti di ombra.

Fa che sempre le ombre fatte sopra la superficie de’ corpi da varî obietti usino ondeggiare con varî torcimenti, mediante la varietà de’ membri che fanno le ombre e della cosa che riceve essa ombra.

750. Modo di fare alle figure l’ombra compagna del lume e del corpo.

Quando fai una figura e che tu vuoi vedere se l’ombra è compagna del lume, ch’essa non sia o piú rossa o gialla che si sia la natura dell’essere del colore che tu vuoi adombrare, farai cosí: fa l’ombra col tuo dito sopra la parte illuminata, e se l’ombra accidentale da te fatta sarà simile all’ombra naturale fatta dal dito sopra la tua opera, starà bene, e puoi col dito piú presso o piú lontano fare ombre piú scure o piú chiare, le quali sempre paragona colla tua.

751. De’ siti de’ lumi e delle ombre delle cose vedute in campagna.

Quando l’occhio vede tutte le parti de’ corpi veduti dal sole, esso vedrà tutti i corpi senz’ombra. Provasi per la nona che dice: la superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque, essendo il sole obietto di tutte quelle parti delle superficie de’ corpi che lo vedono, esse parti di superficie partecipano della chiarezza del sole che li illumina. Risguarderà essi corpi, ed è impossibile che possa vedere altra parte di tali corpi che si sia quella ch’è veduta dal sole. Adunque non vedrà primitiva né derivativa di nessuno de’ predetti corpi.

752. Se il sole è in oriente e l’occhio a settentrione, ovvero a meridie.

Quando il sole è all’oriente e l’occhio a settentrione o a meridie, allora l’occhio vedrà le ombre primitive de’ corpi orientali ed i lumi de’ corpi occidentali, ed esso essere appunto in mezzo ai lumi ed alle ombre de’ corpi.

753. Del sole e dell’occhio posti all’oriente.

Quando il sole e l’occhio saranno all’oriente, allora tutte le parti delle superficie che vedono il sole si dimostreranno all’occhio illuminate, per la nona di questo.

754. Del sole all’oriente e l’occhio all’occidente.

Quando l’occhio di occidente vede il sole all’oriente, allora i corpi opachi interposti infra l’oriente e l’occidente mostreranno all’occhio le sue ombre. Seguita che un paese è mezzo chiaro e mezzo scuro.

755. Ricordo al pittore.

Adunque tu, o pittore, quando figuri i tuoi paesi o campagne col lume a destra o a sinistra, ricordati, per la sopradetta conclusione, come le ombre de’ corpi hanno ad occupare con maggiore o minor quantità, quanto essi corpi sono piú vicini o piú remoti dalla causa che li illumina.

756. Della convenienza delle ombre compagne de’ loro lumi.

In questa parte tu devi avere gran rispetto alle cose circostanti a que’ corpi che tu vuoi figurare, per la prima del quarto, che prova che la superficie di ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto; ma si deve accomodare coll’arte a fare a riscontro delle ombre de’ corpi verdi cose verdi, come prati e simili convenienze acciocché l’ombra, partecipando del colore di tale obietto, non venga a degenerare ed a parere ombra di altro corpo, che verde; perché se tu metterai il rosso illuminato a riscontro dell’ombra, la quale è in sé verde, questa tale ombra rosseggierà e farà colore di ombra, la quale sarà bruttissima e molto varia dalla vera ombra del verde; e quel che di tal colore si dice, s’intende di tutti gli altri.

757. In che parte de’ corpi ombrosi si dimostreranno i loro colori di piú eccellente bellezza.

L’eccellente bellezza di qualunque colore che non abbia in sé lustro sarà sempre nell’eccellente chiarezza della parte piú illuminata di essi corpi ombrosi.

758. Perché i termini de’ corpi ombrosi si mostrano alcuna volta piú chiari o piú scuri che non sono.

I termini de’ corpi ombrosi si dimostrano tanto piú chiari o piú scuri che non sono, quanto il campo che con loro confina sarà piú scuro o piú chiaro del colore di quel corpo che lo termina.

759. Che differenza è dalla parte illuminata nella superficie de’ corpi ombrosi alla parte lustra.

La parte del corpo ombroso che si illumina parrà tanto men luminosa quanto essa piú si avvicinerà al suo lustro; e questo è causato dalla gran varietà ch’è infra loro ne’ loro confini, la quale è cagione che la parte men lucida pare oscura in tali confini, e la parte lucida del lustro pare chiarissima. Ma queste tali superficie che ricevono le dette impressioni sono di natura di specchi confusi, i quali pigliano confusamente il simulacro del sole e del cielo che gli fa campo, e similmente del lume di una finestra e della oscurità della parete nella quale è fatta essa finestra.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE QUINTA
Capitoli da 760 a 759

DEL LUSTRO

760. Del lustro de’ corpi ombrosi.

De’ lustri de’ corpi di egual tersità, quello avrà piú differenza col suo campo, che si genererà in piú nera superficie; e questo nasce che i lustri si generano in superficie pulite, che son quasi di natura di specchi; e perché tutti gli specchi rendono all’occhio quel che ricevono dagli obietti, adunque ogni specchio che ha per obietto il sole, rende esso sole di un medesimo colore, e il sole parrà piú potente in campo oscuro che in campo chiaro.

761. Come il lustro è piú potente in campo nero che in alcun altro campo.

Infra i lustri di eguale potenza quello si dimostrerà di piú eccellente chiarezza, che sarà in campo piú oscuro; questa è la medesima di sopra, ma si varia, ché quella parla della differenza ch’esso ha dal suo campo, e questa della differenza che ha un lustro nel campo nero dal lustro generato in altri campi.

762. Come il lustro generato nel campo bianco è di piccola potenza.

De’ lustri di egual potenza quello si mostrerà di minor splendore che si genera in piú bianca superficie.

763. Delle grandezze de’ lustri sopra i corpi tersi.

De’ lustri generati sopra gli sferici egualmente distanti dall’occhio, quello sarà di minor figura, che si genererà sopra sferico di minor grandezza. Vedasi ne’ graniculi dell’argento vivo, i quali sono quasi di quantità insensibili, i loro lustri essere eguali alla grandezza di essi grani; e questo nasce ché la virtù visiva della pupilla è maggiore di esso graniculo, e per questo lo circonda com’è detto.

764. Che differenza è da lustro a lume.

La differenza ch’è dal lustro al lume, è che sempre il lustro è piú potente che il lume, ed il lume è di maggiore quantità che il lustro; ed il lustro si muove insieme coll’occhio o colla sua causa, o coll’uno e coll’altra; ma il lume è stabilito al luogo terminato, non rimuovendosi la causa che lo genera.

765. Del lume e lustro.

I lumi che si generano nelle superficie terse de’ corpi opachi saranno immobili ne’ corpi immobili ancoraché l’occhio de’ veditori si muova; ma i lustri saranno sopra i medesimi corpi in tanti luoghi della loro superficie, quanti sono i siti dove l’occhio si muove.

766. Quali corpi sono quelli che hanno il lume senza lustro.

I corpi opachi che hanno superficie densa ed aspra non generano mai lustro in alcun luogo della loro parte illuminata.

767. Quali corpi sono quelli che hanno lustro e non parte luminosa.

I corpi opachi densi con tersa (Nel codice: “densa.”) superficie sono quelli che hanno tutto il lustro in tanti luoghi della parte illuminata quanti sono i siti che possono ricevere l’angolo della incidenza del lume e dell’occhio; ma perché tale superficie specchia tutte le cose circostanti al lume, l’illuminato non si conosce in tal parte del corpo illuminato.

768. Del lustro.

Il lustro partecipa assai piú del colore del lume che illumina il corpo che lustra, che del colore di esso corpo; e questo nasce in superficie dense (Nell’edizione viennese: “terse.”) Il lustro di molti corpi ombrosi è integralmente del colore del corpo illuminato, com’è quello dell’oro brunito, dell’argento ed altri metalli e simili corpi. Il lustro di foglie, vetri e gioie poco partecipa del colore del corpo ove nasce ed assai del colore del corpo che lo illumina. Il lustro fatto nella profondità di densi trasparenti è in primo grado della bellezza di tale colore, come si vede dentro al rubino, balascio, vetri e simili cose; questo accade ché infra l’occhio ed esso lustro s’interpone tutto il color naturale del corpo trasparente. I lumi riflessi de’ corpi densi e lustri sono di molto maggior bellezza che non è il natural colore di essi corpi, come si vede nelle pieghe, che si aprono, dell’oro che si fila ed in altri simili corpi, che l’una superficie riverbera nell’altra a sé contrapposta, e l’altra riverbera in essa, e cosí fanno successivamente in infinito. Nessun corpo lustro e trasparente può dimostrare sopra di sé ombra ricevuta d’alcun obietto, come si vede nelle ombre de’ ponti de’ fiumi, che mai si vedono, se non sopra le acque torbide, e nelle chiare non appariscono. Il lustro sarà sopra gli obietti trovato in tanti varî siti, quanto son varî i luoghi dond’esso è veduto. Stando l’occhio e l’obietto senza moto, si muoverà il lustro sopra l’obietto insieme col lume che lo cagiona; stando il lume e l’obietto senza moto si muoverà il lustro sopra l’obietto insieme col moto dell’occhio che lo vede. Nasce il lustro nelle superficie pulite di qualunque corpo, delle quali piglieranno piú lume quelle che saranno piú dense e pulite.

DE’ RIFLESSI (Oltre questo titolo, nel codice si leggono le seguenti parole cancellate; “De’ riflessi de’ lumi che risaltano alle ombre.”)

769. Dell’ombra interposta infra lume incidente e lume riflesso.

L’ombra che s’interpone infra il lume incidente ed il lume riflesso sarà di grande oscurità e si dimostrerà piú oscura ch’essa non è, per causa del paragone del lume incidente che con essa confina.

trattato della pittura Leonardo770. Dove il riflesso dev’essere piú oscuro.

Se il lume s illumina il corpo rp, e’ farà l’ombra primitiva piú chiara di sopra, inverso il lume, che di sotto dov’esso corpo si posa sopra il piano, per la quarta di questo che dice: la superficie di ogni corpo partecipa del colore del suo obietto; adunque l’ombra derivativa, la quale si stampa sopra il pavimento nel sito mp, risalta nella parte del corpo ombroso op, ed il lume derivativo, che cinge tale ombra, cioè mn, risalta in or, e questa è la causa che sempre tali corpi ombrosi non hanno mai il riflesso luminoso ne’ confini che ha il corpo ombroso col suo pavimento.

771. Perché i riflessi poco o niente si vedono ne’ lumi universali.

disegno LeonardoI riflessi de’ corpi ombrosi poco o niente si vedono ne’ lumi universali; e questo nasce perché tal lume universale circonda ed abbraccia assai ciascuno di essi corpi, la superficie de’ quali, com’è provato, partecipa del colore de’ suoi obietti; come se il corpo a fosse illuminato dal suo emisfero gcd ed ombrato dalla terra gfd; qui la superficie di tal corpo è illuminata ed ombrata dall’aria della terra che gli sta per obietto, e tanto piú o meno illuminata ed ombrata, secondo che piú o meno è veduta da maggior somma di luminoso o di scuro; come si vede, nel punto k essere veduto da tutta la parte dell’emisfero hci, e non è veduto da nessuna parte dell’oscurità della terra. Adunque seguita, k essere più illuminato che a dove solo vede la parte dell’emisfero cd, e tale illuminazione è corretta dall’oscurità della terra rd, la quale tutta vede ed è veduta dal punto a, com’è provato in prospettiva; e se noi vorremo dire dal punto b, noi troveremo quello essere meno illuminato che il punto a, conciossiaché esso b vede la metà dell’emisfero che vedeva a, cioè vede tutto cd, ed il b vede solamente ed ch’è la metà del cd, e vede tutta la oscurità della terra che vedeva a, cioè la terra rd, e vi si aggiunge la parte rf ch’è più oscura, perché in essa manca il lume dell’emisfero ec, il quale non manca alla terra rd. Adunque per tale ragione questo corpo non può avere riflesso, perché il riflesso del lume è dopo l’ombra principale de’ corpi; e qui l’ombra principale è nel punto dove tal corpo è in contatto col piano della terra, perché lí è interamente privato di luce.

trattato della pittura Leonardo da Vinci

772. Come il riflesso si genera ne’ lumi universali.

Generasi il riflesso ne’ corpi illuminati dai lumi universali, quando una parte del corpo illuminato riflette il suo maggior lume in quel luogo dove vede minor parte del medesimo lume; come, vedendo il cielo ef nel luogo d, e una maggior parte del medesimo cielo veda k, allora il lume derivativo k rifletterà in d; ma di questo si farà distinto trattato al suo luogo deputato.

773. Quali lumi facciano piú nota e spedita la figura de’ muscoli.

De’ lumi che debbon dare vera notizia della figura de’ muscoli, gli universali non sono buoni, ma i particolari sono perfetti, e tanto piú quanto essi lumi saranno di minor figura; e tale dimostrazione si deve fare col movimento del lume per piú versi, imperocché, se il lume stesse fermo, esso illuminerebbe piccola parte del corpo muscoloso, ed il suo rimanente rimarrebbe oscuro, e per conseguenza sarebbe ignoto.

774. Come i corpi bianchi si devono figurare.

Se figurerai un corpo bianco circondato da molt’aria, (L’edizione viennese propone di aggiungere: “abbi rispetto ai colori de’ suoi obietti.”) perché il bianco non ha da sé colore, ma si tinge e trasmuta in parte del colore che gli è per obietto. Se vedrai una donna vestita di bianco in una campagna, il colore di quella parte di lei che sarà veduta dal sole sarà chiaro in modo, che darà in parte, come il sole, noia alla vista; e quella parte che sarà veduta dall’aria luminosa per i raggi del sole tessuti e penetrati infra essa, perché l’aria in sé è azzurra, la parte della donna vista da dett’aria parrà pendere in azzurro; se nella superficie della terra vicina saranno prati, e che la donna si trovi infra un prato illuminato dal sole ed esso sole, vedrai tu le parti di esse pieghe, che possono esser viste dal prato, tingersi per raggi riflessi nel colore di esso prato; e cosí si va trasmutando nei colori de’ luminosi e non luminosi obietti vicini. Se tu (La stessa edizione corregge: “Se tu, poeta,” ecc.) saprai ragionare e scrivere la dimostrazione delle forme, il pittore le farà che parranno animate con ombre e lumi componitori dell’aria de’ volti, della quale tu non puoi aggiungere con la penna, dove si aggiunge col pennello.

775. Dell’occhio che sta al chiaro e vede il luogo oscuro.

Nello scuro nessun colore secondo è della medesima chiarezza che il primo, ancoraché in sé sieno simili. Provasi per la quarta di questo dove dice: la superficie di quel corpo si tingerà più del mezzo trasparente interposto infra l’occhio ed esso corpo, del quale mezzo interposto sarà di maggiore grossezza. Adunque riman concluso che il colore secondo, posto in mezzo di trasparente oscuro, avrà più oscurità interposta infra sé e l’occhio, che il color primo, il quale si trova più vicino al medesimo occhio; e tal proporzione sarà da oscurità a oscurità di essi colori, qual sarà da quantità a quantità del mezzo oscuro che di sé li tinge.

776. Dell’occhio che vede le cose in luogo chiaro.

Nell’aria illuminata nessun colore secondo sarà oscuro come il medesimo colore ch’è più vicino. Provasi per l’antecedente, perché piú grossezza della chiarezza dell’aria resta interposta infra l’occhio e il secondo colore, che infra l’occhio e il color primo; e per conseguenza la proporzione delle varietà di tali colori sarà simile alle proporzioni di esse quantità di arie interposte infra l’occhio e i detti colori.disegno Leonardo

777. Delle ombre e lumi delle città.

Quando il sole è all’oriente, e l’occhio sta sopra il mezzo di una città, esso occhio vedrà la parte meridionale di essa città aver i tetti mezzo ombrosi e mezzo luminosi, e così la settentrionale; la orientale sarà tutta ombrosa, e la occidentale sarà tutta luminosa.

778. Dell’illuminazione delle parti infime de’ corpi insieme ristretti, come gli uomini in battaglia.

disegno LeonardoLe parti degli uomini e cavalli in battaglia travaglianti saranno tanto più oscure, quanto esse saranno più vicine alla terra che li sostiene; e questo si prova per le pareti de’ pozzi, le quali si fanno tanto più oscure, quanto esse più si profondano; e questo nasce perché la parte più profonda de’ pozzi vede ed è veduta da minor parte dell’aria luminosa, che nessun’altra sua parte; ed i pavimenti del medesimo colore, che hanno le gambe de’ predetti uomini e cavalli, saranno sempre più illuminati infra angoli eguali che le altre predette gambe.

779. Del lume particolare.

Il lume particolare è causa di dar miglior rilievo (Così il codice. Nell’edizione romana 1817 e nell’edizione viennese: “maggior rilievo.”) ai corpi ombrosi, che l’universale, come ci mostra il paragone di una parte di campagna illuminata dal sole, ed una ombrata dal nuvolo, che solo si illumina del lume universale dell’aria.

DELLE OMBROSITÀ E CHIAREZZE DE’ MONTI
disegno Leonardo

780. Prospettiva comune.

Delle cose di egual movimento quella parrà più tarda che sarà più distante dall’occhio, sia che in pari tempo si faccia eguali lunghezze di moti in varie distanze, le quali sieno dall’a all’f e dal g al k, e così dall’l all’m; dico che tal proporzione parrà da velocità a velocità e da lunghezza di moto a lunghezza di moto, quale è da distanza a distanza della cosa veduta che si muove all’occhio che la vede. E sia dunque lm in tripla proporzione di distanza dall’occhio o colla distanza af da esso o; dico che il moto lm parrà per velocità e lunghezza esser triplo al moto dell’a al b (Nell’edizione viennese: “subtriplo al moto dell’a all’f.”) fatto nel medesimo tempo e moto. Provasi, perché nella distanza af dall’occhio o si dimostra lm essersi mosso solamente lo spazio cd, quando a s’è mosso in f, e così sarà trovato lo spazio cd entrare tre volte nello spazio af; adunque esso spazio af è triplo allo spazio cd, e perché lí un moto e l’altro son fatti in un medesimo tempo, il moto af pare tre tanti più veloce che il moto cd. Che è quel che si dovea provare.

781. Delle cime de’ monti vedute di sopra in giù.

disegno LeonardoLe cime de’ monti vedute l’una dopo l’altra d’alto in basso non rischiarano nella medesima proporzione delle distanze che hanno infra loro esse cime de’ monti, ma molto meno, per la settima del quarto che dice: le distanze de’ paesi veduti d’alto in basso insino all’orizzonte si vanno oscurando, e quelle che son vedute di basso in alto nella medesima distanza del primo si van sempre rischiarando. Questo nasce per la terza del nono che dice: la grossezza dell’aria veduta di sotto in su è molto piú chiara e splendente che quella veduta di sopra in giú; e questo deriva perché l’aria veduta d’alto in basso è alquanto penetrata dalle specie oscure della terra che le sta di sotto; e però si dimostra all’occhio più oscura che quella ch’è veduta di sotto in su, la quale è penetrata dai raggi del sole, i quali vengono all’occhio con gran chiarezza. Adunque il medesimo accade ne’ monti e paesi proposti, le specie de’ quali, passando per le predette arie, si dimostreranno o chiare o scure, secondo l’oscurità o chiarezza dell’aria.

782. Dell’aria che mostra piú chiare le radici de’ monti che le loro cime.disegno Leonardo

Le cime de’ monti si dimostreranno sempre piú oscure che le loro basi. Questo accade perché tali cime de’ monti penetrano in aria piú sottile che non fanno le basi loro, per la seconda del primo che dice, che quella regione d’aria sarà tanto piú trasparente e sottile quanto essa è piú remota dall’acqua e dalla terra; adunque seguita, tali cime dei monti che giungono in essa aria sottile si dimostrano piú della loro naturale oscurità che quelle che penetrano nell’aria bassa, la quale com’è provato, è molto piú grossa.
disegno Leonardo

783. Perché i monti distanti mostrano piú oscure le sommità che le loro basi.

Provasi quel ch’è già detto piú sopra; seguito e dico che, ancoraché gli spazi de’ monti aopq sieno infra loro nella proporzione dell’egualità, che i colori delle cime di essi monti opq non osserveranno la medesima proporzione nel loro rischiarare, com’essi farebbero essendo di una medesima altezza, perché se fossero di medesima altezza essi sarebbero in aria di egual grossezza colle loro estremità; ed allora la proporzione delle distanze de’ colori sarebbe una medesima; ma tale disposizione non si può dimostrare all’occhio, perché se l’occhio è alto quanto esse cime de’ monti, gli è necessario che di tali monti le cime di quelli che son di là dal primo monte siano tutte nell’altezza dell’occhio e del primo monte; e per questo seguita che il secondo monte, e il terzo e cosí gli altri che seguitano, non eccedano né siano ecceduti dal primo monte né dall’occhio. Adunque nella superficie della cima del primo monte si scontrano le cime di tutti i monti che seguon dopo il primo monte e per questo non si può vedere se non la cima del primo; adunque tale dimostrazione è vana, come a occhio, b sommità del primo monte, c d delle altre cime; vedi che la cima b, scontrandosi nelle due altre cime c d, che l’occhio a vede le tre cime b c d nel medesimo termine del monte b; e queste hanno le distanze ed i colori in medesima proporzione, ma non si vede né distanza né colori.

784. Delle cime de’ monti che si scoprono all’occhio l’una piú alta dell’altra, che le proporzioni delle distanze non sono colle proporzioni de’ colori.

disegno LeonardoQuando l’occhio vede le cime de’ monti di eguali distanze ed altezze sotto di sé, esso non vedrà i colori delle cime di tali monti di diminuzione di colori nella medesima proporzione delle già dette distanze, perché passano all’occhio per diverse grossezze d’aria. Provasi: siano o p q le cime di tre monti, che in sé sono di un medesimo colore e di medesima distanza l’una dall’altra; a sia l’occhio che le vede, il quale è piú alto ch’esse cime; dico che la proporzione delle qualità delle distanze che hanno infra esse le cime di tali monti non saranno una medesima con la proporzione delle diminuzioni de’ colori di tali cime di monti; e questo nasce perché essendo a o due, e a p quattro, e a q sei, cioè nella proporzione dell’egualità, l’aria no non è subdupla all’aria mp, ma subtripla, e lo spazio dall’occhio ao è subduplo allo spazio ap, e lo spazio ao è subquadruplo allo spazio sq, che secondo lo spazio de’ monti avrebbe ad essere subtriplo.

785. Delle cime de’ monti che non diminuiscono ne’ colori secondo la distanza delle cime loro.

disegno LeonardoQuando le cime de’ monti saranno di eguale distanza l’una dall’altra e di egual differenza di altezze infra loro, esse saranno ancora in egual differenza di altezze e di sottilità d’aria, ma non in eguale diminuzione di colori, perché la piú alta sarà piú oscura ch’essa non deve. Provasi, perché la cima o è tutta nell’aria grossa, e forte s’imbianca di essa aria, p è veduta dall’occhio a in meno aria grossa com’è ra, e nell’aria piú sottile tutto pr; adunque s’imbianca quasi come o; q è veduto per l’aria grossa tutto ia e nella piú sottile ki, ed in piú sottile lk; questa è piú chiara che o, ma non quanto si richiede a tale distanza.

786. Dell’inganno del pittore nella grandezza degli alberi e degli altri corpi delle campagne.disegno Leonardo

Giudica ben tu, o pittore o miniatore, quanto la tua pittura debb’essere veduta remota dall’occhio e fingi che a tale distanza sia veduto uno spiracolo, o vuoi dir buca o finestra, per la quale le cose anteposte possano penetrare al tuo occhio; e veramente tu giudicherai le cose vedute essere tanto minime, che non che le membra, ma il tutto quasi ti parrà impossibile a poter figurare. Come se l’occhio fosse o e la buca di un quarto di braccio eguale alla tua tavola dipinta sia ab, discosta dall’occhio mezzo braccio; allora tu vedrai per esso spazio tutte le cose che veder si possono dentro alla lunghezza di un orizzonte di cento miglia, in tanto confusa diminuzione, che non che figurar di quelle alcuna parte ch’abbia figura, ma appena potrai porre sí piccolo punto di pennello, che non sia maggiore che ogni casamento posto in dieci miglia di distanza.

787. Perché i monti in lunga distanza si dimostrano piú scuri nella cima che nella base.

disegno LeonardoL’aria che acquista gradi di grossezza in ogni grado della sua bassezza e della sua distanza, è causa che le cime de’ monti che piú s’innalzano piú mostrano la sua naturale oscurità, perché manco sono impedite dalla grossezza dell’aria nella cima che nella loro base, o nella vicinità che nella remozione. Provasi: op, ds, cr, ak sono gradi dell’aria che sempre si assottigliano quanto piú s’innalzano; af, fh, hk sono gli altri gradi trasversali dove l’aria acquista sottilità quanto piú si avvicina. Seguita che la cima del monte e è piú scura in cima che nella base, perché, com’è detto, l’aria è piú grossa in basso che in alto. Ancora il monte e è piú oscuro che il monte g, perché minor grossezza di aria è infra ce che infra dg, e la cima g essendo piú alta che la sua base, fa il simile del monte e, facendosi piú oscura quanto piú s’innalza; ed in pari distanza, come dire yg, parrebbe piú oscuro che la cima e per giungere esso in aria che meno impedisce per essere piú sottile; onde non segue che tal sia la proporzione delle oscurità de’ monti, qual è quella delle loro vicinità, la quale seguiterebbe se le cime de’ monti fossero di eguale altezza; ma g, per levarsi piú alto, non l’osserva, perché penetra in aria piú sottile.

788. Perché i monti paiono avere piú oscure le cime che le basi in lunga distanza.disegno Leonardo

La grossezza dell’aria è di tante varietà di sottilità quante sono le varietà delle altezze che le sue parti hanno dall’acqua e dalla terra, e tanto si trova piú sottile e fredda, quanto essa è piú remota dalla detta terra. Per la prima la montagna p si dimostrerà piú chiara che il monte o, perché piú aria è infra a occhio e p monte, che fra esso a e il monte o; e cosí il monte q sarà piú chiaro che il monte p, ma tal chiarezza non avrà la medesima proporzione colla chiarezza del p, quale hanno le distanze, perché q si trova in aria piú sottile che p, onde si mostra piú oscura che non richiede la proporzione della distanza.

789. Come non si deve figurar le montagne cosí azzurre il verno come l’estate.

I paesi fatti nella figurazione del verno non debbono dimostrare le loro montagne azzurre, come far si vede alle montagne nell’estate; e questo si prova per la quarta di questo che dice: infra le montagne vedute in lunga distanza, quella si dimostrerà di colore piú azzurro, la quale sarà in sé piú scura. Adunque, essendo le piante spogliate delle lor foglie, si dimostrano di color berettino; essendo colle foglie, sono di color verde; e tanto quanto il verde è piú oscuro che il berettino, tanto si mostrerà piú azzurro il verde che il berettino, per la quinta di questo. Le ombre delle piante vestite di foglie sono tanto piú oscure che le ombre di quelle piante che sono spogliate di foglie, quanto le piante vestite di foglie sono men rare che quelle che non hanno foglie. E cosí abbiamo provato il nostro intento. La definizione del colore azzurro dell’aria dà sentenza perché i paesi son piú azzurri di state che di verno.

790. Come i monti ombrati dai nuvoli partecipano del colore azzurro.

I monti ombrati dai nuvoli partecipano di colore azzurro, quando il tempo sarà chiaro intorno ad esso nuvolo; e questo è causato perché l’aria illuminata dal sole si trova di gran chiarezza, e la similitudine di tale oscurità di monte ombrato dal nuvolo, passando all’occhio per la predetta chiarezza dell’aria, viene a farsi di colore azzurro, come fu provato nella quinta del secondo.

791. Dell’aria che infra i monti si dimostra.

Piú si dimostra l’aria luminosa e chiara inverso la parte del sole che nelle parti opposite.
disegno Leonardo

792. De’ monti e loro divisione in pittura.

Dico che l’aria interposta infra l’occhio ed il monte pare piú chiara in p che in a; e questo può accadere per diverse cause, delle quali la prima è che l’aria interposta infra l’occhio e il p è maggior somma che quella che s’interpone infra l’occhio e l’a, e per conseguente è piú chiara. La seconda è che l’aria è piú grossa in p valle che in a monte.

793. Pittura che mostra la necessaria figurazione delle alpi, monti e colli.

Le figure de’ monti, detti catena del mondo, sono generate dai corsi de’ fiumi nati di piova, neve, grandine e diacci resoluti dai raggi solari della state, la quale resoluzione è generazione di acque ragunate da molti piccoli rivi concorrenti da diversi aspetti ai maggiori rivi; crescono in magnitudine, quanto essi acquistano di moto, insinché si convocano al gran mare oceano, sempre togliendo dall’una delle rive e rendendo all’altra, insinché ricercano la larghezza delle loro valli; e di quella non si contentano; consumano le radici de’ monti laterali, i quali ruinando sopra essi fiumi chiudono le valli, e, come se si volessero vendicare, proibiscono il corso di tal fiume e lo convertono in lago, dove l’acqua con tardissimo moto pare raumiliata, insino a tanto che la generata chiusa del ruinato monte sarà di nuovo consumata dal corso della predetta acqua. Adunque diremo che quell’acqua che di piú stretto e breve cammino si trova, meno consuma il luogo dove passa, e di converso piú consuma dov’essa è larghissima e profonda. Seguita per questo che gli altissimi gioghi de’ monti, essendo il piú del tempo vestiti di neve, e le pioggie con piccol tempo li percuotono; ed i fiumi non vi sono, insino a tanto che le poche gocciole della pioggia avanzate al sorbimento dell’arida cima cominciano a generare i minutissimi rami di tardissimo moto, i quali non hanno potenza di torbidarsi di alcuna particola di terra da loro mossa, mediante le vecchie radici delle minute erbe; per la qual cosa tali giochi de’ monti hanno piú eternità nelle loro superficie che nelle radici, dove i furiosi corsi delle acque ragunate al continuo, non contenti della portata terra, essi rimuovono i colli coperti di piante insieme con i grandissimi sassi, quelli rotolando per lungo spazio infinché li ha condotti in minuta ghiaia ed all’ultimo in sottil litta.

794. Pittura e come i monti crescono.

Per quel che dietro a questa è concluso, egli è necessario concedere che le basi de’ monti e de’ colli al continuo si restringono. Essendo cosí, non si può negare che le valli non si allarghino, e perché la larghezza del fiume non può poi occupare la larghezza della cresciuta sua valle, Nell’edizione romana, 1817 “della cresciuta della sua valle.” anzi, muta al continuo sito, lasciando il corso da quel luogo dov’egli ha scaricato piú materia, la qual materia rodendo e levando i ghiaiosi argini insino a tanto che, portata via tutta la già lasciata materia, riacquista l’antico suo letto, del quale non si parte infino a tanto che altro simile accidente lo rimuove dal predetto sito; e cosí di pioggia in pioggia fatte di tempo in tempo si va scaricando di materia e peso ciascuna valle.

795. Pittura nel figurare le qualità e membri de’ paesi montuosi.

Quelle erbe e piante saranno di colore tanto piú pallido, quanto il terreno che le nutrisce è piú magro e carestioso di umore. Il terreno è piú carestioso e magro sopra i sassi, di che si compongono i monti. E gli alberi saranno tanto minori e piú sottili, quanto essi si fanno piú vicini alla sommità de’ monti; ed il terreno è tanto piú magro, quanto si avvicina piú alle predette sommità de’ monti; e tanto piú abbondante è il terreno di grassezza, quanto esso è piú propinquo alle concavità delle valli. Adunque tu, pittore, mostrerai nelle sommità de’ monti i sassi di che esso si compone, in gran parte scoperti di terreno, e le erbe che vi nascono minute e magre ed in gran parte impallidite e secche per carestia di umore, e l’arenosa e magra terra si veda trasparire infra le pallide erbe, e le minute piante stentate ed invecchiate in minima grandezza con corte e spesse ramificazioni e con poche foglie, scoprendo in gran parte le rugginenti ed aride radici tessute colle falde e rotture de’ rugginosi scogli, nate dagli storpiati ceppi dagli uomini e dai venti; ed in molte parti si vegga gli scogli superare i colli degli alti monti vestiti di sottile e pallida ruggine; ed in alcuna parte dimostrare i lor veri colori, scoperti mediante la percussione delle folgori del cielo, il corso delle quali, non senza vendetta di tali scogli, spesso è impedito. E quanto piú discendi alle radici de’ monti, le piante saranno piú vigorose e spesse di rami e di foglie, e le lor verdure di tante varietà quante sono le specie delle piante di che tali selve si compongono; delle quali le ramificazioni con diversi ordini, e diverse spessitudini di rami e di foglie, e diverse figure ed altezze, ed alcune con istrette ramificazioni, come il cipresso, e similmente delle altre con ramificazioni sparse e dilatabili, come la quercia ed il castagno e simili. Alcune con minutissime foglie, altre con rare, come il ginepro, il platano e simili. Alcune quantità di piante insieme nate divise da diverse grandezze di spazi ed altre unite senza divisioni di prati o altri spazi.

disegno Leonardo796. De’ monti.

Molto si discerne nelle varie distanze de’ colli e monti le loro sommità, che nessuna cosa che in quelli sia. E questo accade perché in ogni grado di distanza dall’occhio inverso l’oriente si acquista gradi di perdizione e chiarezza di aria, ovvero bianchezza; e da f a b è il doppio piú chiaro che da f ad a.

797. De’ monti.disegno Leonardo

Le sommità delle montagne e de’ colli parranno piú scure, perché maggior somma di alberi si scontrano l’uno nell’altro, e non si vede il piano loro intervallo, ch’è piú chiaro, come si vede nelle spiaggie, ed è quella medesima ragione che oscura le campagne nel mezzo delle loro altezze.

798. Precetto.

disegno LeonardoTanto son varî i lumi e le ombre, quante sono le varietà de’ siti dove si trovano. Quando la parte ombrosa de’ corpi sarà aumentata da obietto oscuro, essa ombra si farà tanto piú scura che prima, quanto tale aumento è men chiaro che l’aria. La percussione dell’ombra derivativa non sarà mai della sua origine primitiva, se il lume primitivo non sarà della simile figura del corpo che fa le ombre.

799. Del corpo luminoso che si volta intorno senza mutazione di sito e riceve un medesimo lume da diversi lati e si varia in infinito.

disegno LeonardoLe ombre che in compagnia de’ lumi vestono un corpo irregolare saranno di tante varie oscurità e di tante figure, quante sono le varietà che fa esso corpo nel suo moto circumvolubile; e tanto è a voltare il corpo intorno stando fermo il lume, quanto a voltare intorno il lume ad un corpo immobile. Provasi, e sia en il corpo immobile e il lume mobile sia b, il quale si muove dal b all’a; dico che quando il lume era in b, l’ombra del globo d si estendeva dal d all’f, la quale nel muovere il lume dal b all’a si muta dall’f all’e, e cosí la detta ombra è mutata di quantità e di figura, perché il luogo dov’essa si trova non è della medesima figura ch’era il luogo dond’essa si divise. E tal mutazione di figura e di quantità è infinitamente variabile, perché se tutto il sito che prima era occupato dall’ombra è in sé per tutto vario e di quantità continua, e ogni quantità continua è divisibile in infinito, adunque è concluso che la quantità dell’ombra e la sua figura sono variabili in infinito. Tu, pittore, non diminuire piú la prospettiva de’ colori che quella delle figure, dove tali colori si generano. E non diminuire piú la prospettiva lineare che quella de’ colori, ma seguita la diminuzione dell’una e dell’altra prospettiva, secondo le regole dell’ottavo e del settimo. Ben è vero che nella natura la prospettiva de’ colori mai rompe la sua legge, e la prospettiva delle grandezze è libera, perché vicino all’occhio si troverà un piccolo colle e da lontano una montagna grandissima, e cosí degli alberi ed edifici. L’oscurità delle tenebre è integral privazione di luce, e infra la luce e le tenebre, per essere loro quantità continua, viene ad esser variabile in infinito; cioè tra le tenebre e la luce è una potenza piramidale, la quale essendo sempre divisa per metà inverso la punta, sempre il rimanente è piú luminoso che la parte levata.

800. Di ombra e lume de’ corpi ombrosi.

Tutte le parti dei corpi che l’occhio vede infra il lume e l’ombra hanno ad essere forte terminate di ombra e lume, e le parti volte al lume saranno confuse in modo, che infra il lume sarà poca differenza. Le parti ombrose, se non vi accade riflesso, avranno, siccome le illuminate, poca varietà dalle piú o meno oscure.

801. De’ corpi illuminati dall’aria senza il sole.

Delle figure ed altri corpi, veduti dall’aria senza il sole, tu farai le loro ombre colla quinta del quarto, che c’insegna che quella parte di qualunque corpo opaco sarà piú illuminata, che sarà veduta da maggior parte del corpo che l’illumina. Sicché pertanto considera tu, e tira le linee immaginative dal corpo che illumina al corpo illuminato; e guarda, chi piú ne vede, piú s’illumina; e qui i riflessi han poca apparenza, e questo è un modo comune a tutti gli obietti che sono sotto l’aria illuminata, quando alcun nuvolo cuopre la luce del sole, o veramente quando il sole immediate è tramontato, che il cielo ci dà un lume morto, al quale ogni corpo mostra insensibilmente i termini delle ombre co’ loro lumi sopra i corpi ombrosi.

802. Quei termini delle ombre saranno piú insensibili, che nasceranno da maggior quantità di luce.

I riflessi ovvero le ombre che si rinchiudono infra il lume incidente e riflesso, saranno in un medesimo sito di maggiore oscurità, le quali saranno di maggiore quantità. Questo accade perché, quando esse sono di maggior quantità, per la settima del nono esse hanno piú remoti due lumi, cioè il riflesso e l’incidente, onde l’ombra è manco impedita.

803. Quale ombra è piú oscura.

Quella parte dell’ombra sarà piú oscura, che sarà piú vicina alla sua origine.

804. Del lume.

Quel lume sarà di maggior quantità, che sarà generato sopra corpo di minor curvità, essendo tale lume prodotto di una medesima causa. Quei corpi che sono illuminati dall’aria senza il sole, generano ombre senza termini sensibili. Quei corpi che sono illuminati dall’aria col sole fanno le ombre di termini di soperchia sensibilità di termini. (Edizione romana, 1817: “fanno le ombre con soperchia sensibilità di termini.”)

805. Precetto.

I corpi illuminati da diverse qualità di colori di lumi non hanno le parti illuminate delle lor superficie convenienti ai colori delle lor parti ombrose. Rarissime sono le volte che i colori delle superficie de’ corpi opachi abbiano i debiti colori delle ombre corrispondenti ai colori delle lor parti illuminate. Quel che si propone, nasce che gli obietti che fanno l’ombra sopra tali corpi non sono del colore naturale di essi corpi, né del medesimo colore naturale dell’illuminatore d’esso corpo.

806. Precetto.

Il vero colore delle ombre e de’ lumi di ciascun corpo è che le pareti dell’abitazione dove tal corpo si trova sieno del colore del corpo che dentro a loro si serra e che il lume della impannata che illumina tale abitazione sia ancor esso del colore del corpo rinchiuso. E cosí l’abitazione genererà colle sue parti ombrose ombre sopra del corpo rinchiuso, che saranno di colore proporzionevoli ad esso corpo ombrato, e le parti illuminate dal colore della finestra saranno convenienti al colore del corpo illuminato ed al colore delle sue ombre.

807. De’ termini de’ corpi mediante i campi.

I termini de’ corpi mediante i campi sempre paiono variati in piú oscurità o chiarezza che l’altro loro rimanente. Quel ch’è detto accade per la settima di questo, che prova che tanto paiono piú chiari i termini delle cose bianche, quanto essi confinano in termini piú oscuri, e tanto paiono piú oscuri i termini delle cose ombrate, quanto esse confinano in cosa piú bianca. L’esempio principale si dimostra nel bianco veduto in parte dal sole, la parte illuminata del quale pare piú candida al paragone dell’ombra, e l’ombra piú oscura al paragone del chiaro; e questo si vede bene nelle pareti de’ muri ed in altri corpi piani.

808. Precetto delle ombre.

Le ombre de’ corpi distanti debbono esser fatte al medesimo lume, imperocché se tu facessi la tua mistione de’ colori al sole per imitare le cose vedute dal sole, e che poi tu facessi la mistione delle ombre de’ corpi all’ombra, per imitare le cose che non sono viste dal sole, e che poi tu mettessi ogni cosa all’ombra, non ti riuscirebbe la vera similitudine; perché tu hai da considerare che una medesima qualità di colori posta all’ombra sarà ombra vera di quel ch’è posto al sole; e se tu poi dessi il sole all’ombrato come all’illuminato, tu vedresti l’ombra ed il lume imitato esser fatto di un medesimo colore.

809. Dell’imitazione de’ colori in qualunque distanza.

disegno LeonardoQuando tu vuoi contraffare un colore, abbi rispetto che, stando tu nel sito ombroso, in quello tu non voglia imitare il sito luminoso, perché inganneresti con tale imitazione te medesimo. Quello che hai da fare in tal caso a voler adoperare con certezza come si conviene alle matematiche dimostrazioni, è che per tutti i colori che tu hai da imitare paragoni l’imitante coll’imitato a un medesimo lume e che il tuo colore sia conterminale alla linea visuale del color naturale. Diciamo che tu voglia imitare la montagna nella parte ch’è veduta dal sole. Metti i tuoi colori al sole, e alla veduta di quello fa la tua mistione di colori imitabili, e paragona al medesimo lume solare, tenendo il tuo colore scontrato col colore imitato; come a dire: io ho il sole a mezzogiorno, e ritraggo il monte a ponente, il quale è mezzo ombroso e mezzo luminoso; ma qui io voglio imitare il luminoso: io torrò un poco di carta vestita di quel colore che mi parrà esser simile all’imitato e la porrò allo scontro di esso imitato, in modo che infra il vero ed il falso non si vedrà spazio, e cosí le farò vedere i raggi del sole, e tanto aggiungerò varietà di colori, che il colore di ciascuno sarà simile, e cosí andrò facendo in ogni qualità di colori ombrosi o luminosi.
disegno Leonardo

810. Del lume riflesso.

Tanto quanto la cosa illuminata sarà men luminosa che il suo illuminante, tanto la sua parte riflessa sarà men luminosa che la parte illuminata. Quella cosa sarà piú illuminata che sarà piú propinqua all’illuminante. Tanto quanto bc entra in ba, tanto sarà piú illuminato in ad che in dc. Quella parete che sarà piú illuminata, parrà che abbia le sue ombre di minore oscurità.

811. Di prospettiva.disegno Leonardo

Quando con due occhi si vedrà due eguali obietti che sieno minori ciascun per sé che non è l’intervallo delle luci di essi occhi, allora il secondo obietto parrà maggiore che il primo. La piramide ac abbraccia il primo obietto, e la piramide db abbraccia il secondo obietto. Ora, tanto parrà maggiore l’obietto m che n, quanto la larghezza della piramide db sarà maggiore di ac.

TRATTATO DELLA PITTURA di LEONARDO DA VINCI

(condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270)

SECONDO VOLUME
PARTE SESTA
DEGLI ALBERI E DELLE VERDURE.
PARTE SETTIMA
DE’ NUVOLI
PARTE OTTAVA
DELL’ORIZZONTE
Capitoli da 812 a 935

812. Discorso delle qualità de’ fiori nelle ramificazioni delle erbe.

De’ fiori che nascono nelle ramificazioni delle erbe, alcuni fioriscono prima nelle somme altezze di esse ramificazioni, ed altri aprono il primo fiore nell’infima bassezza del loro fusto.

813. Della ramificazione delle piante.disegno Leonardo

disegno LeonardoPrima: ogni ramo di qualunque pianta che non è superato dal peso di sé medesimo s’incurva, levando il suo estremo verso il cielo. Seconda: maggiori sono i ramiculi de’ rami degli alberi che nascono di sotto, che quelli che nascono di sopra. Terza: tutti i ramiculi nati inverso il centro dell’albero per la soverchia ombra in breve tempo si consumano. Quarta: quelle ramificazioni delle piante saranno più vigorose e favorite, le quali sono più vicine alle parti estreme superiori di esse piante, causa l’aria ed il sole. Quinta: gli angoli delle divisioni delle ramificazioni degli alberi sono infra loro eguali. Sesta: ma quegli angoli si fanno tanto più ottusi quanto i rami de’ loro lati si vanno invecchiando. Settima: il lato di quell’angolo si fa più obliquo, il quale è fatto di ramo più sottile. Ottava: ogni biforcazione di rami insieme giunta ricompone la grossezza del ramo che con essa si congiunge: come a dire a b giunto insieme fa e; c d giunto insieme fa f, e f e giunto insieme fa la grossezza del primo ramo op, il quale op grossezza è eguale a tutte le grossezze a b c d, e questo nasce perché l’umore del più grosso si divide secondo i rami. Nona: tante sono le torture de’ rami maestri, quanti sono i nascimenti delle loro ramificazioni che infra loro non si scontrano. Decima: quella tortura de’ rami più si piega, la quale ha i suoi rami di più conforme grossezza: vedi nc ramo e cosí bc per essere infra loro eguali, che il ramo ncd è più piegato che quel di sopra aon che ha i rami più disformi. Undecima: l’appiccatura della foglia sempre lascia vestigio di sé sotto il suo ramo, crescendo insieme con tal ramo insino che la scorza crepa e scoppia per vecchiezza dell’albero.

814. Della ramificazione delle piante.

Sempre il margine donde si spicca la foglia del ramo cresce nella medesima proporzione che fa il ramo, e sempre si manifesta insino che la vecchiezza scoppia e rompe la scorza di tale ramo. Sia pbc la grossezza di detto ramo; bcd sia la foglia che si appicca al ramo in tutto lo spazio boc, ch’è il terzo della grossezza del ramo; o è l’occhio dove nasce il ramiculo sopra la foglia; dico adunque, che circondando l’appiccatura della foglia la terza parte della grossezza del ramo, crescendo il ramo pbc alla grossezza hgs, lascierà ancora il terzo del cerchio di tale grossezza, com’è segnato in gs. Quel ramo sarà più curvo nell’albero, il quale nasce più basso nella quantità della sua ramificazione.
disegno Leonardo

815. Della ramificazione delle piante.

I margini che fanno la congiunzione dei rami nel loro appiccarsi insieme quando ingrossano nelle inforcature, nel tempo della gioventù restano assai rilevati, e nella vecchiezza restano in cavo.

816. Delle minori ramificazioni delle piante.

disegno LeonardoLe foglie che compongono le ultime ramificazioni delle piante sono più evidenti nella parte di sopra che di sotto, e questo avviene più ne’ noci che in altre piante, perché le loro foglie sono composte di sette altre foglie, in quel modo che tu vedi qui appresso figurato, le quali per il loro peso ricadono in basso, e spesse volte si appoggiano l’una sopra l’altra, e compongono una piastra assai luminosa, e questa si dimostra in lunga distanza, ma d’appresso si vedono poi i lustri sopra ciascuna foglia, e nella parte di sotto di essa ramificazione le foglie pendono obliquamente sotto il lor nascimento, facendo ombra l’una sopra l’altra alla sottoposta. E per quel che si è detto si conclude che tale ramificazione ha le foglie più espedite di sopra che di sotto, perché non sono occupate dalle altre; e dalla parte di sotto, per essere occupate dalle superiori, non sono interamente comprese dall’occhio. Ancora di sopra le foglie per pendere sopra il loro nascimento poco si rimuovono sopra il lor nascimento, e di sotto si discostano assai; e per questo le foglie superiori di tali ramiculi sono men remote dalla massa di tutte le sue foglie, che le foglie ultime di sotto; e questo accade nel lume particolare, perché nell’universale le foglie hanno lume e non lustro; e tutti gli alberi che hanno le foglie composte di altre foglie fanno l’officio sopradetto, ed ancora che hanno le foglie larghe, come il platano, tiglio, fico e simili.

817. Della proporzione che hanno infra loro le ramificazioni delle piante.

disegno LeonardoTal proporzione hanno le grossezze della ramificazione di ciascuna pianta nata il medesimo anno col lor primo fusto, quale hanno le antecedenti e succedenti di tutti gli altri anni preferiti e futuri, cioè che ogni anno i rami che ha acquistato ciascuna pianta, quando hanno finito di crescere, essendo insieme calcolate e unite le loro grossezze, essi sono eguali al ramo nato l’anno passato, il quale li ha partoriti, e cosí seguitano innanzi, e cosí saranno trovati ne’ tempi futuri; come dire i rami ad e bd, ultimi della pianta, essendo insieme giunti, saranno eguali al ramo dc che li ha partoriti.

818. Della ramificazione degli alberi.

Le ramificazioni degli alberi nel caricarsi di frutti e di foglie mutano sito da quello ch’esse tenevano l’invernata. Mai da ramo a ramo la grossezza de’ rami che si biforcano non si varia, se non quasi insensibilmente; e chi vi riponesse i ramiculi che nascono infra le principali ramificazioni, rifarebbe la grossezza di punto eguale per tutto.

disegno Leonardo819. All’albero giovane non crepa la scorza.

I rami delle piante sono situati in due modi, cioè o sono a riscontro l’uno dell’altro, o no, e se non sono a riscontro, il ramo di mezzo s’andrà piegando ora all’un ramo, ora all’altro; e se sono a riscontro, l’albero di mezzo sarà diritto. Sempre il ramo si genera sopra l’appiccatura della foglia, e cosí fa il frutto. La scorza degli alberi sempre crepa per la lunghezza della pianta, salvo quella del ciliegio, che scoppia a circoli. Quando la pianta maestra si dividerà in uno o più rami principali ad una medesima altezza, allora i margini delle giunture di tali rami si faranno più alti a riscontro l’uno dell’altro che inverso il centro dell’albero, inverso il quale rimarranno gran concavità. disegno LeonardoE questo avviene quando gli angoli de’ rami sono più stretti infra loro che l’angolo che sta di verso il centro dell’albero maestro, come a dire a b, rami, sono divisi da più stretti angoli, e cosí b c, che non sono i rami a c; e cosí adunque tali rami nell’ingrossare, più presto e con maggiore aumento si congiungono in b c, e più s’innalza la loro giuntura in a c; e per questo la giuntura di mezzo resta più bassa; provasi essere per necessità, e siano i tre circoli n m o, i quali si toccano in punto delle linee nm ed mo ed on, e non in mezzo, e non potendo attaccarsi insieme se non dov’essi si toccano, si appiccheranno adunque in essi contatti, e non in mezzo dove non si toccano; e cosí nell’ingrossare tale attaccatura s’alzerà, come di sopra si mostra, in y c, e donde monta in alto tale giuntura, il mezzo che non si tocca resta basso e concavato.

820. Della ramificazione delle piante.

disegno LeonardoQuella parte della pianta mostrerà e sarà di maggior vecchiezza, la quale sarà più presso al suo nascimento, come mostrano le crepature della sua scorza. Questo si vede ne’ noci, i quali hanno spesse volte gran parte della scorza tirata e pulita sopra la scorza vecchia e crepata, e cosí sono di tante varie gioventù e vecchiezze quante sono le loro ramificazioni maestre. Gli anni dell’età degli alberi, che non sono stati storpiati dagli uomini, si possono annoverare nelle loro ramificazioni maestre; come a b c d e f, circoli, in ogni creazione di ramificazione principale, pigliando il ramo ch’è più vicino al mezzo dell’albero. Gli alberi hanno in sé tante varie età, quante sono le loro principali ramificazioni. La parte più giovane della pianta avrà la scorza più pulita e tersa che alcun’altra parte. La parte meridionale delle piante mostra maggior gioventú e vigore che le settentrionali. La parte più vecchia della scorza dell’albero è sempre quella che prima crepa. Quella parte dell’albero avrà più ruvida e grossa scorza, che sarà di maggior vecchiezza. I circoli de’ rami degli alberi segati mostrano il numero de’ loro anni, e quali furono più umidi o più secchi, secondo la maggiore o minore loro grossezza. E cosí mostrano gli aspetti del mondo dov’essi erano volti; perché più grossi sono a settentrione che a meridie; e cosí il centro dell’albero per tal causa è più vicino alla scorza sua meridionale che alla scorza settentrionale; e benché questo non serva alla pittura, pure io lo scriverò per lasciare men cose indietro degli alberi, che alla mia notizia sia possibile. Quelle cime degli alberi faranno maggiore accrescimento, che saranno più vicine al ramo maestro del loro albero. Le foglie che prima nascono, e che più tardi cascano, sono quelle che nascono nelle cime maestre degli alberi. Quell’albero che più invecchia ammette minori rami. Quel ramo che si estende in più continuata grossezza e più diritta, è quello il quale genera minori ramiculi intorno a sé.

821. Delle ramificazioni delle piante.

Le piante che assai si dilatano hanno gli angoli delle partizioni che separano le loro ramificazioni tanto più ottusi, quanto il nascimento loro è più basso, cioè più vicino alla parte più grossa e più vecchia dell’albero. Adunque nella parte più giovane dell’albero gli angoli delle sue ramificazioni sono più acuti.

disegno Leonardo822. Del nascimento delle foglie sopra i rami.

Non diminuisce mai la grossezza di alcun ramo dallo spazio ch’è da foglia a foglia, se non quanto è la grossezza dell’occhio ch’è su essa foglia, la qual grossezza manca al ramo che succede insino all’altra foglia…. Ha messo la natura le foglie degli ultimi rami di molte piante, che sempre la sesta foglia è sopra la prima, e cosí segue successivamente, se la regola non è impedita; e questo ha fatto per due utilità d’esse piante; la prima è perché, nascendo il ramo e il frutto nell’anno seguente dalla gemella vena dell’occhio ch’è sopra in contatto dell’appiccatura della foglia, l’acqua che bagna tal ramo possa discendere a nutrire tal gemella col fermarsi la goccia nella concavità del nascimento di essa foglia; ed il secondo giovamento è che, nascendo tali rami l’anno seguente, l’uno non cuopre l’altro, perché nascono volti a cinque aspetti i cinque rami, ed il sesto nasce sopra il primo assai remoto.

823. Delle ramificazioni delle piante colle loro foglie.

disegno LeonardoLe ramificazioni delle piante, alcune, come l’olmo, sono larghe e sottili ad uso di mano aperta in iscorto, e queste si mostrano nelle loro quantità; di sotto si mostrano dalla parte superiore; e quelle che sono più alte si mostrano di sotto, e quelle di mezzo in una parte di sotto ed una di sopra; e la parte di sopra è in estremo di essa ramificazione; e questa parte di mezzo è la più scortata che nessun’altra di quelle che sono volte colle punte inverso te, e di esse parti di mezzo dell’altezza della pianta la più lunga sarà inverso gli estremi di essi alberi, e fa a queste tali ramificazioni come le foglie della felce selvatica che nasce per gli argini de’ fiumi. Altre ramificazioni sono tonde, come quelle degli alberi che mettono i ramiculi e le foglie, che la sesta è sopra la prima; ed altre sono rare e trasparenti, come il salice e simili. Gli estremi delle ramificazioni delle piante, se non sono superati dal peso de’ frutti, si voltano inverso il cielo quanto è più possibile. Le parti dirette delle loro foglie stanno volte inverso il cielo per ricevere il nutrimento della rugiada che cade la notte. Il sole dà spirito e vita alle piante; e la terra coll’umido le nutrisce. Intorno a questo caso io provai già a lasciare solamente una minima radice ad una zucca, e quella tenevo nutrita coll’acqua; e tale zucca condusse a perfezione tutti i frutti ch’essa poté generare, i quali furono circa sessanta zucche di quelle larghe. E posi mente con diligenza a tale vita, e conobbi che la rugiada della notte era quella che col suo umido penetrava abbondantemente per l’appiccatura delle sue grandi foglie al nutrimento di essa pianta co’ suoi figliuoli. Per regola, le foglie nate nel ramo ultimo dell’anno saranno ne’ due rami fratelli in contrario moto, cioè che, voltandosi intorno il nascimento delle foglie al loro ramo, in modo che la sesta foglia di sopra nasca sopra la sesta di sotto, il moto del loro voltarsi è, se l’uno volta inverso il suo compagno a destra, l’altro gli si volta a sinistra. La foglia è tetta ovvero poppa del ramo o frutti che nascon l’anno che viene.

824. Del nascimento de’ rami nelle piante.

Tale è il nascimento delle ramificazioni delle piante sopra i loro rami principali, qual è il nascimento delle foglie, le quali foglie hanno quattro modi di procedere l’una più alta che l’altra. Il primo più universale è, che sempre la sesta di sopra nasce sopra la sesta di sotto; il secondo è che le due terze di sopra sono sopra le due terze di sotto, ed il terzo modo è che la terza di sopra è sopra la terza di sotto.

disegno Leonardo825. Perché molte volte i legnami non sono diritti nelle lor vene.

Quando i rami che succedono il secondo anno sopra quelli dell’anno passato non hanno le grossezze simili sopra i rami antecedenti, ma da lato, allora il vigore di quel ramo di sotto si torce al nutrimento di quello ch’è più alto; ancoraché esso sia un poco da lato. Ma se tali ramificazioni avranno egualità nel loro crescere, le vene del loro fusto saranno diritte ed equidistanti in ogni grado di altezza della loro pianta. Adunque tu, pittore, che non hai tali regole, per fuggire il biasimo degli intendenti sii vago di ritrarre ogni tua cosa di naturale e non dispensare lo studio come fanno i guadagnatori.

826. Degli alberi.

Sempre inverso i fondi delle valli e co’ rami di esse valli gli alberi sono maggiori e più spessi che inverso la sommità de’ colli. Le cime de’ monti sono più erbose che le loro spiaggie, perché quivi non è concorso di acque, che le abbiano a lavare, come nelle spiaggie.

827. Degli alberi.

Se il ramo dell’albero ti viene in iscorto, le sue foglie ti si dimostreranno in faccia o circa; e se il ramo si mostrerà nella vera forma, le sue foglie si mostreranno improprie, cioè in iscorto. Quando l’albero per lunga distanza non manda più la vera figura all’occhio o bugiarda delle sue foglie, allora resta la figura delle poste de’ rami con certa quantità e qualità. Quando manca per distanza la figura delle poste de’ rami, resta all’occhio solo la somma del suo chiaro e scuro; e se più la vorrai giudicare, tu avrai da esso solo la figura del suo colore, che lo dividerà da altre cose diverse, e se non saranno diverse, non si scernerà da loro.

828. Della ramificazione degli alberi.

Tutte le ramificazioni degli alberi hanno il nascimento della sesta foglia superiore, che sta sopra la sesta inferiore. Il medesimo hanno le viti, canne, pruno delle more e simili, salvo la vitalba gelsomino che ha le poste appaiate l’una sopra l’altra intraversata. Tutti gli alberi che hanno il sole dopo sé sono scuri inverso il mezzo.

829. Della ramificazione che in un anno rimette nelle fronti de’ rami tagliati.

Tal sarà la quantità del ramiculo che rimette sopra il ramo tagliato, con la quantità de’ ramiculi che di tal ramo tagliato dovea produrre il medesimo anno, quale è la quantità della camicia che sta infra la scorza ed il legno, cioè la sua linea circonferenziale fatta sopra il taglio del ramo con la lunghezza del diametro di tale ramiculo; e questo accade perché il nutrimento che passa per tale diametro, il quale solea di lí passare per innalzarsi a nutrire i rami del medesimo anno, non trovandoli, si ferma a nutrire quel ramo che nasce nel fine della scorza e camicia. Ma questa regola pare che patisca eccezione, perché se tutti i rami che di tutto il nutrimento seco viene a generare quell’anno, rifaceano tanta quantità di rami che, essendo insieme ricomposti ed uniti, colle loro grossezze e’ si ricomponeano grossezza eguale al tagliato ramo; adunque, se tutta la fronte della scorza e camicia della pianta tagliata ricomponesse negl’interi labbri della sua tagliatura un cerchio unito di un continuato ramo che abbracciasse il tutto della circonferenza del legno, esso rifarebbe quel medesimo anno tanta grossezza di legname, quanta è la grossezza del ramo ch’esso abbraccia; il che pare impossibile, ancoraché l’aria, la pioggia e la rugiada l’aiutassero;  onciossiaché molto maggiore è la circonferenza di tutte le ultime ramificazioni insieme giunta, le quali la pianta, non essendo tagliata, dovea generare quell’anno, che non è la circonferenza estesa in tutta la fronte della scorza tagliata; e per conseguenza più nutrimento tira, perché in tale scorza e camicia sta la vita della pianta. Ma di questo non si tratterà il fine in questo luogo, perché si riserva altrove, e non accade alla pittura.

830. Della proporzione de’ rami colla proporzione del loro nutrimento.

Tal proporzione han tutte le ramificazioni di un medesimo anno nelle loro grossezze insieme unite colla grossezza del loro fusto, quale ha il nutrimento di esso fusto col nutrimento de’ predetti rami, cioè che tale è la cosa nutrita, qual è il suo nutrimento. Perché se sarà tagliato un ramo di una pianta, e che vi sia su innestato ovvero inserito uno de’ suoi medesimi ramiculi, esso ramiculo si farà col tempo assai più grosso che il ramo che lo nutrisce, e sarà perché il nutrimento ovvero spiriti vitali soccorrono il luogo offeso. Nello inserire a scudo molti occhi di piante in cerchio ad un tronco tagliato comporranno il medesimo anno più quantità di grossezza che non è la fronte di tal fusto tagliato.

831. Dell’accrescimento degli alberi e per qual verso più crescono.

Le ramificazioni de’ rami maggiori non crescono inverso il mezzo della loro pianta; e questo nasce perché naturalmente ogni ramo cerca l’aria e fugge l’ombra, e perché le ombre sono più potenti nella parte inferiore de’ rami che risguardan la terra che in quella che si volta al cielo, nella quale sempre si riduce il corso dell’acqua che piove e della rugiada che moltiplica la notte, e tiene più umida essa parte inferiore che la superiore; e per questo i rami hanno più abbondante nutrimento in tal parte, e per questo più crescono.

832. Quali rami degli alberi sono quelli che più crescono in un anno.

Sempre le maggiori ramificazioni de’ massimi rami sono quelle che nascono dalla parte del ramo che guarda la terra, e le minori nascono da quella sopra esso massimo ramo; e questa tal grandezza di ramo inferiore nasce perché sempre l’umore del ramo, quando non è percosso dal caldo del sole, ricade nella parte di sotto del suo ramo; e però più nutrisce l’umore dove di esso è maggiore abbondanza; e per questo il ramo sempre ha la scorza più grossa di sotto che di sopra; e questa è potissima causa che i ramiculi di esso ramo sono assai maggiori di sotto che di sopra, e per questo gli alberi mettono assai rami all’ingiú, i quali sono causa che il ramo che di sotto gli succede non mette gran ramiculi contro il ramo che gli sta di sopra; e per questo le piante non si confondono, né tolgono l’aria l’una all’altra per la vicinità di tante ramificazioni, perché dan luogo l’una all’altra; e se quel ramo, com’è detto, cresce assai all’ingiù, quel che gli cresce incontro cresce poco all’insú.

833. Della scorza degli alberi.

L’accrescimento della grossezza delle piante è fatto dal sugo, il quale si genera nel mese di aprile infra la camicia ed il legno di esso albero; ed in quel tempo essa camicia si converte in iscorza, e la scorza acquista nuove crepature nelle profondità delle ordinarie crepature.

834. Della parte settentrionale delle piante degli alberi.

Sempre la parte settentrionale degli alberi vecchi veste la scorza del suo pedale di verdicante piumosità.

835. Della scorza delle piante.

La scorza delle piante è sempre con maggiori crepature di verso mezzodí che nella parte settentrionale.
disegno Leonardo

836. Delle diversità che hanno le ramificazioni degli alberi.

Tre sono i modi delle ramificazioni degli alberi, de’ quali modi l’uno è mettere i rami per due contrari aspetti, l’uno adoriente e l’altro ad occidente, e non sono a riscontro l’uno dell’altro, ma in mezzo dello spazio opposito; l’altro li mette a due a due, a riscontro l’uno dell’altro, ma se due ne saranno per levante e ponente, gli altri a meridie e settentrione; la terza ha sempre il sesto ramo sopra il primo successivamente.

837. Delle ramificazioni delle piante che mettono i rami a riscontro l’uno dell’altro.disegno Leonardo

Tutte le piante che mettono i rami a gradi l’uno a riscontro dell’altro con eguale grossezza, sempre saranno diritte come l’abete ab. E questa tal dirittura nasce perché le parti opposite essendo eguali in grossezza, tirano eguale umore, o vo’ dire nutrimento, e fanno i rami di egual peso, onde seguita che da eguali cause nascono eguali effetti, e tale egualità riserva la rettitudine eguale di essa pianta.

838. Degli accidenti che piegano le predette piante.

Ma quando le predette piante metteranno le loro ramificazioni in eguali in grossezza, allora tal pianta non osserverà la dirittura, ma la piega in opposita parte al ramo più grosso; e questo accade perché necessità costringe tal pianta ad essere in mezzo ad eguali pesi, senza di che (Nel codice: “se non che.”) presto rovinerebbe per piccol vento che traesse per la linea donde cresce il ramo più grosso.

839. Degli accidenti delle ramificazioni delle piante.

I quattro accidenti delle ramificazioni delle piante sono questi, cioè: lustro, lume, trasparenza ed ombra; e se l’occhio vedrà sopra essa ramificazione, la parte illuminata si dimostrerà di maggior quantità che la parte ombrosa; e questo accade perché essa parte illuminata è maggiore che la ombrosa, conciossiaché in quella si contiene il lume ed il lustro e la trasparenza; la qual trasparenza al presente lascierò da parte, e descriverò la dimostrazione della parte illuminata, la quale è quella ch’è messa per la quarta parte delle qualità de’ colori che si variano nelle superficie dei corpi, cioè qualità mezzana, che vuol dire non esser lume principale ma mezzano; dipoi seguita l’altra quarta parte mezzana, che vuol dire non essere ombra principale, ma mezzana; e la qualità mezzana illuminata è interposta infra il lustro e la qualità mezzana ombrosa, la quale qualità mezzana ombrosa è interposta infra la mezzana illuminata e le ombre principali. La terza parte, che è la trasparenza, solo accade nelle cose trasparenti, e non ne’ corpi opachi. Ma parlando al presente delle foglie degli alberi, è necessario descrivere questo secondo accidente, il quale è d’importanza alla figurazione delle piante, benché dinanzi a me non è stata usata, che ce ne sia notizia. Questa è situata come sarà detto di sotto.

840. Delle trasparenze delle foglie.

Quando il lume è all’oriente e l’occhio vede la pianta di sotto inverso tramontana, esso vedrà la parte orientale dell’albero in gran parte trasparente, eccetto quelle che sono occupate dall’ombra delle altre foglie; e la parte occidentale dell’albero sarà oscura, perché riceve sopra di sé l’ombra della ramificazione, cioè quella parte ch’è volta all’oriente.
disegno Leonardo

841. Del centro degli alberi nella loro grossezza.

Il centro delle piante nella divisione delle loro ramificazioni non sarà mai in mezzo della grossezza de’ loro rami; e questo accade ancora perché più umore è dal lato di dentro della ramificazione dell’albero che di fuori, come dire c, ch’è la congiunzione de’ rami a c e c e, cresce più dal centro de’ rami b d che da essi centri b d agli estremi di fuori a e.

842. Qual pianta cresce nelle selve di più continuata grossezza ed in maggiore altezza.

Quella pianta crescerà in più continuata e maggiore lunghezza, la quale nascerà in più bassa e stretta valle ed in più folta selva e più remota dagli estremi di essa selva.

843. Qual pianta è di grossezza più disforme e di minore altezza e più dura.

Quella pianta sarà più disforme in grossezza, che nasce in più alto sito ed in selva più rara e più remota dal mezzo di quella.

844. Delle piante e legnami segati i quali mai per sé si piegheranno.

Quando tu vuoi che l’albero tagliato non si pieghi nella sua rettitudine, segalo per metà pel verso della sua lunghezza, e volgi le parti divise l’una al contrario dell’altra, cioè quella parte ch’era da piedi mettila da capo, e quella da capo volgila da piedi, e poi ricongiungile insieme, e questa tale collegazione mai si piega.

845. Delle aste che più si mantengono diritte.

L’asta che sarà fatta di quella parte dell’albero ch’è più volta a tramontana, sarà quella che meno delle altre si piegherà, e più manterrà la sua naturale dirittura. E questo è per causa che in tal parte il sole poco vede, e poco muove l’umore dell’albero, il che non interviene alla parte meridionale, perché tutto il giorno è veduta dal sole, il quale muove l’umore in essa parte di pianta dalla parte sua orientale all’occidentale insieme col suo corso.

846. Delle crepature de’ legni quando si seccano.

Delle crepature che fanno i legni nel loro seccare, quella pianta le farà più diritte, che sarà più remota dagli estremi della sua selva, e quella più torte, che è nata più vicina agli estremi di essa selva.

847. De’ legni che non si scoppiano nel seccarsi.

Quando tu vuoi che il legno nel seccare non faccia alcuna crepatura, fàllo lungamente bollire nell’acqua comune, o tienilo lungamente nel fondo di un fiume, tanto che consumi il suo natural vigore.

848. Ramificazione di alberi in diverse distanze.

I primi alberi danno all’occhio le loro vere figure; espeditamente appariscono i lumi, lustri, ombre e trasparenze di ciascuna posta delle foglie nate negli ultimi ramiculi delle piante; nella seconda distanza posta dall’orizzonte (Nel codice: “oriente.”) all’occhio, lì apparisce la somma delle foglie poste ad uso di punti negli antedetti ramiculi; nella terza distanza appariscono le predette somme de’ ramiculi ad uso di punti seminati nelle somme delle ramificazioni maggiori; nella quarta distanza rimangono le dette ramificazioni maggiori tanto diminuite, che solo restano in figura di confusi punti nel tutto dell’albero; poi seguita l’orizzonte, che fa la quinta ed ultima distanza, dove l’albero è tutto diminuito, in tal modo che resta in forma di punto. E cosí ho diviso la distanza ch’è dall’occhio al vero orizzonte, che termina in pianura, in cinque parti eguali.

849. Della parte che resta nota negli alberi in lunga distanza.

Nelle lunghe distanze che hanno le piante dall’occhio che le vede, sol di loro si dimostrano le somme loro principali ombrose e luminose; ma quelle che non sono principali si perdono per la loro diminuzione, imperocché, se una piccola parte illuminata resta in grande spazio ombroso, essa si perde e non corrompe in parte alcuna essa ombra; il simile accade di una piccola parte ombrosa in un gran campo illuminato.

850. Delle distanze più remote delle anzidette.

Ma quando gli alberi saranno in maggiore distanza, allora le somme ombrose e luminose si confonderanno per l’aria interposta e per la loro diminuzione, in modo che parranno esser tutte di un medesimo colore, cioè azzurro.
disegno Leonardo

851. Delle cime de’ rami delle piante fronzute.

Le prime ombre che fanno le prime foglie sopra le seconde de’ rami fronzuti sono meno scure che quelle che fanno esse foglie ombrate sopra le terze foglie; e cosí quelle che fanno esse terze foglie ombrate sopra le quarte; e di qui nasce che le foglie illuminate, che hanno per campo le terze e le quarte foglie ombrose, si mostrano di maggior rilievo che quelle che hanno per campo le prime foglie ombrate. Come se il sole fosse e, e la prima foglia illuminata da esso sole fosse a, la quale ha per campo la seconda foglia b, secondo l’occhio n; dico che tale foglia spiccherà meno avendo per campo essa seconda foglia, che s’essa sportasse più in fuori ed avesse per campo la foglia c, ch’è più scura per essere interposte più foglie infra essa ed il sole. E più spiccherebbe s’essa  campeggiasse sopra la quarta foglia, cioè d.

852. Perché i medesimi alberi paiono più chiari d’appresso che da lontano.

Gli alberi di medesima specie si dimostrano essere più chiari d’appresso che da lontano, per tre cause. La prima è perché le ombre si mostrano più oscure d’appresso, e per tale oscurità le ramificazioni illuminate, che con esse confinano, si dimostrano più chiare che non sono; la seconda è che nel rimuoversi dall’occhio l’aria che s’interpone infra tali ombre e l’occhio, con maggiore grossezza che prima non solea, rischiara essa ombrosità, e la fa in colore partecipante di azzurro: per la qual cosa i rami luminosi non si dimostrano con sicuro paragone come prima, e vengono a parere oscurati; la terza cagione è che le specie che tali ramificazioni mandano all’occhio di chiaro e di scuro si mischiano ne’ loro estremi insieme e si confondono, perché sempre le parti ombrose sono di maggior somma che le luminose, ed esse ombrose acquistano più cognizione in lunga distanza che le poche chiare; e per queste tre cause gli alberi si dimostrano più oscuri da lontano che d’appresso, e perché ancora le parti luminose tanto più crescono quanto esse sono di più potente illuminazione; il che tanto più si dimostra potente quanto minore grandezza di aria infra l’occhio ed esse s’interpone.

853. Perché gli alberi da una distanza in là quanto più sono lontani più si rischiarano.

Da una distanza in là gli alberi, quanto più s’allontanano dall’occhio, tanto più gli si dimostrano chiari, tantoché all’ultimo sono della chiarezza dell’aria nell’orizzonte. Questo nasce per l’aria che s’interpone infra essi alberi e l’occhio, la quale essendo di bianca qualità, quanto con maggior quantità s’interpone, di tanto maggiore bianchezza occupa essi alberi, i quali per partecipare in sé di scuro colore, la bianchezza di tale aria interposta rende le parti oscure più azzurre che le parti loro illuminate.

854. Delle varietà delle ombre degli alberi ad un medesimo lume, in un medesimo paese, in lume particolare.

Quando il sole è all’oriente, gli alberi a te orientali hanno grandi ombre, ed i meridionali mezzo ombrosi, e gli occidentali tutti illuminati; ma questi tre aspetti non bastano, perché sta meglio a dire tutto l’albero orientale sarà ombroso, e quello che sarà a scirocco sarà i tre quarti ombroso; e l’ombra dell’albero meridionale occupa la metà dell’albero; ed il quarto dell’albero di libeccio sarà ombroso, e l’albero occidentale non mostra ombra alcuna.

855. De’ lumi della ramificazione degli alberi.

Per quello ch’è detto di sopra, le somme delle ramificazioni degli alberi illuminate, ancoraché ciascuna loro foglia sia divisa dalle altre foglie con ispazio ombroso, accade che nelle distanze la parte ombrosa essendo minuta si perde, per essere, com’è detto, occupata e superata dalla parte luminosa, la quale non diminuisce per distanza quanto l’ombrosa; e per questo seguita che la somma delle foglie di un medesimo ramo in alquanta distanza par essere quasi di un medesimo colore; e se pure per una buona vista si discerne alquanto delle ombre de’ detti intervalli ombrosi interposti infra le foglie, essi non si dimostrano della debita oscurità; e questo nasce per due cause: la prima si è per la grossezza dell’aria che s’interpone infra l’occhio e l’obietto ombroso; la seconda si è perché le minute specie in sí lunga distanza si mischiano alquanto ne’ loro termini e confondono la cognizione loro, e restando più nota la parte illuminata che l’ombrata, per esse le ombre si dimostrano di poca oscurità.

856. Della forma che hanno le piante nel congiungersi colle loro radici.

I pedali delle piante non osservano la rotondità della loro grossezza quando si accostano al nascimento de’ rami, o delle loro radici; e questo nasce perché tali ramificazioni superiori ed inferiori sono le membra donde si nutriscono le piante; cioè che di sopra la state si nutriscono colla rugiada e pioggie mediante le foglie, e di sotto l’invernata mediante il contatto che ha la terra colle loro radici.

857. Delle ombre e lumi e loro grandezze nelle foglie.

Le ramificazioni delle piante sono vedute di sotto, o di sopra, o in mezzo; se esse sono vedute di sotto, allora, se il lume sarà universale, è maggiore la parte ombrosa che la illuminata. E s’esse saranno vedute di sopra, sarà maggiore la parte illuminata che la ombrosa. E s’esse saranno vedute in mezzo, tanto sarà la parte illuminata quanto quella delle ombre.

disegno Leonardo858. Dell’illuminazione delle piante.

Nella situazione dell’occhio, il quale vede illuminata quella parte delle piante che veggono il luminoso, mai sarà veduta illuminata l’una pianta come l’altra. Provasi, e sia l’occhio c che vede le due piante b d, le quali sono illuminate dal sole a; dico che tale occhio c non vedrà i lumi essere della medesima proporzione alla sua ombra nell’un albero come nell’altro, imperocché quell’albero ch’è più vicino al sole si dimostrerà di tanto più ombroso che quello che n’è più remoto, quanto l’un albero sarà più vicino al concorso de’ raggi solari che vengono all’occhio, che l’altro. Vedi che dell’albero d non si vede dall’occhio c altro che l’ombra e dal medesimo occhio c si vede l’albero b mezzo illuminato e mezz’ombrato.

859. Ricordo delle piante al pittore.

Ricordati, o pittore, che tanto sono varie le oscurità delle ombre in una medesima specie di piante, quanto sono varie le rarità o densità delle loro ramificazioni.

860. Del lume universale illuminatore delle piante.

disegno LeonardoQuella parte della pianta si dimostrerà vestita di ombre di minore oscurità, la quale sarà più remota dalla terra. Provasi: up sia la pianta, nbc sia l’emisfero illuminato; la parte di sotto dell’albero vede la terra pc, cioè la parte o; e vede un poco dell’emisfero in cd; ma la parte più alta nella concavità a è veduta da maggior somma dell’emisfero, cioè bc; e per questo, perché non vede la oscurità della terra, resta più illuminata. Ma se l’albero è spesso di foglie come il lauro, l’abete e il bosso, allora è variato; perché, ancoraché a non veda la terra, e’ vede l’oscurità delle foglie divise da molte ombre, la quale oscurità riverbera in su ne’ riversi delle soprapposte foglie; e questi tali alberi hanno le ombre tanto più oscure, quanto esse sono più vicine al mezzo dell’albero.

861. Degli alberi e loro lume.

Il vero modo da pratico nel figurare le campagne, vo’ dire paesi colle loro piante, si è dell’eleggere che il cielo sia occupato dal sole, acciocché esse campagne ricevano lume universale e non il particolare del sole, il quale fa le ombre tagliate ed assai differenti dai lumi.

862. Della parte illuminata delle verdure e de’ monti.

La parte illuminata si dimostrerà più in lunga distanza del suo natural colore, la quale sarà illuminata da più potente lume.

863. De’ lumi delle foglie oscure.

I lumi di quelle foglie saranno più del colore dell’aria che in loro si specchia, le quali sono di colore più oscuro; e questo è causato perché il chiaro della parte illuminata coll’oscuro in sé compone colore azzurro, e tal chiaro nasce dall’azzurro dell’aria che nella superficie pulita di tali foglie si specchia ed aumenta l’azzurro che la detta chiarezza suol generare colle cose oscure.

864. De’ lumi delle foglie di verdura traenti al giallo.

Ma le foglie di verdura traenti al giallo non hanno nello specchiare dell’aria a fare lustro partecipante d’azzurro, conciossiaché ogni cosa che apparisce nello specchio partecipa del colore di tale specchio; adunque l’azzurro dell’aria specchiato nel giallo della foglia pare verde, perché azzurro e giallo insieme misti compongono bellissimo verde; adunque verdegialli saranno i lustri delle foglie chiare traenti al color giallo.

865. Degli alberi che sono illuminati dal sole e dall’aria.

Gli alberi illuminati dal sole e dall’aria avendo le foglie di colore oscuro, queste saranno da una parte illuminate dall’aria, e per questo tale illuminazione partecipa d’azzurro; e dall’altra parte saranno illuminate dall’aria e dal sole, e quella parte che l’occhio vedrà illuminata dal sole sarà lustra.

866. De’ lustri delle foglie delle piante.

Le foglie delle piante comunemente sono di superficie pulita, per la qual cosa esse specchiano in parte il colore dell’aria, la quale aria partecipa di bianco per essere mista con sottili e trasparenti nuvole; la superficie delle quali foglie, quando sono di natura oscure come quelle degli olmi, quando non sono polverose, rendono i loro lustri di colore partecipante di azzurro; e questo accade per la settima del quarto che mostra: il chiaro misto coll’oscuro compone azzurro. E tali foglie hanno i rami lustri tanto più azzurri quanto l’aria che in esse si specchia sarà più purificata ed azzurra; ma se tali foglie sono giovani, come nelle cime de’ rami nel mese di maggio, allora esse saranno verdi con partecipazione di giallo; e se i loro lustri saranno generati dall’aria azzurra, che in lor si specchia, allora i lustri saranno verdi, per la terza di esso quarto che dice: il color giallo misto coll’azzurro sempre genera color verde. I lustri di tutte le foglie di densa superficie parteciperanno del colore dell’aria, e quanto più saranno le foglie oscure, più si faranno di natura di specchio, e per conseguenza tali lustri parteciperanno più di azzurro.

867. Del verde delle foglie.

I più bei verdi che abbiano le foglie degli alberi sarà quando essi s’interpongono colla loro grossezza infra l’occhio e l’aria.

868. Dell’oscurità dell’albero.

Molto più oscura è quella parte dell’albero che termina nell’aria, che quella che termina nella selva, o monti, o colli.

869. Degli alberi.

Quando le piante saranno riguardate di verso il sole, per la trasparenza delle loro foglie esse inverso gli estremi si dimostreranno di più bel verde che prima non era; inverso il mezzo parrà forte oscuro, e le foglie che non saranno trasparenti saranno quelle che ti mostreranno il loro dritto, e piglieranno lustri molto evidenti. Ma se riguarderai le piante dall’opposita parte del sole, tu le vedrai con poche ombre ed assai lustri nelle foglie, se saranno dense.

870. Degli alberi posti sotto l’occhio.

disegno LeonardoGli alberi posti sotto l’occhio, ancora ché sieno in sé di eguale altezza e di eguali colori e spessitudine di ramificazione, non resterà che in sé in ogni grado di distanza essi non acquistino oscurità; e questo nasce perché a quello che ti è più vicino, per essergli tu di sopra, tu vedi quella parte di esso che si mostra al cielo illuminatore delle cose, onde tu vedi di esso la parte illuminata, e però si mostra con effetto più chiara, e quella che t’è più remota tu la vedi più di sotto, ond’essa ti mostra di sé le parti più ombrose, e per conseguenza sarà ( Nella edizione romana 1817 e nella viennese: “si ti fa.”) più oscura, e se non fosse che maggior somma d’aria s’interpone infra l’occhio e la seconda che infra esso occhio e la prima che viene a rischiarare tale oscurità, la prospettiva de’ colori scorterebbe per l’opposito.

871. Delle cime sparse degli alberi.

Le cime sparse degli alberi rari di rara ramificazione non pigliano sensibili ombre, perché i loro rami sono sottili e di rare e sottili foglie e le loro parti che non sono trasparenti restano illuminate.

872. Delle remozioni delle campagne.

L’estremità degli alberi ne’ luoghi alquanto remoti le farai quasi insensibili e poco variate dal loro campo.

873. Dell’azzurro che acquistano gli alberi remoti.

L’azzurro che acquistano gli alberi ne’ luoghi remoti si genera più nell’oscurità che inverso le parti luminose; e questo nasce per la luce dell’aria interposta infra l’occhio e l’ombra, che si tinge in colore celeste; e le parti luminose degli alberi sono le ultime che mancano della loro verdura.

874. Del sole che illumina la foresta.

Quando il sole illumina la foresta, gli alberi delle selve si dimostreranno di terminate ombre e lumi, e per questo parranno essersi avvicinati a te, perché si fanno di più cognita figura; e ciò che di loro non è veduto dal sole, pare oscuro egualmente, salvo le loro parti sottili che s’interpongono infra il sole e te, le quali si faranno chiare per la loro trasparenza; e questo accade il fare minor quantità di lumi negli alberi illuminati dal sole che dal cielo, perché maggiore è il cielo che il sole, e maggior causa fa maggiori effetti in questo caso. Nel farsi minori le ombre delle piante, gli alberi parranno non essere più rari, e massime dove hanno un medesimo colore, e che di loro natura sieno di rami rari e di foglie sottili, come persico, susino e simili; perché di loro l’ombra ritirandosi inverso il mezzo della pianta, essa pianta pare essere diminuita, ed i rami che del tutto restano fuori dell’ombra paiono un medesimo colore e campo.

875. Delle parti luminose delle verdure delle piante.

Le parti luminose delle verdure delle piante, nelle vicinità ch’esse hanno coll’occhio, mostrano ad esso occhio essere più chiare che quelle delle piante remote, e le loro parti ombrose si mostrano più scure che quelle di esse piante remote. Le piante remote mostrano le loro parti luminose più scure che quelle delle piante vicine, e le loro parti ombrose si mostrano più chiare che le parti ombrose di esse piante vicine; e questo nasce perché il concorso delle specie di esse piante ombrose e luminose si confondono e si mischiano per le grandi distanze che esse hanno dall’occhio che le vede.

876. Delle piante che sono infra l’occhio e il lume.

Delle piante che sono infra l’occhio e il lume, la parte dinanzi sarà chiara, la qual chiarezza sarà mista di ramificazioni di foglie trasparenti per essere vedute da rovescio, con foglie lustre vedute dal diritto, ed il loro campo di sotto e di retro sarà di verdura oscura per essere ombrata dalla parte dinanzi della detta pianta; e questo accade nelle piante più alte dell’occhio.

877. Del colore accidentale degli alberi.

I colori accidentali delle fronde degli alberi sono quattro, cioè ombra, lume, lustro e trasparenza.

878. Della dimostrazione degli accidenti.

Delle parti accidentali delle foglie delle piante in lunga distanza si farà un misto, il quale parteciperà più di quell’accidente che sarà di maggior figura.

879. Quali termini dimostrino le piante remote dall’aria che si fa lor campo.disegno Leonardo

I termini che hanno le ramificazioni degli alberi coll’aria illuminata, quanto più sono remoti, più si fanno in figura traente allo sferico, e quanto più sono vicini, meno dimostrano di tale sfericità, come a albero primo, che per essere vicino all’occhio, dimostra la vera figura della sua ramificazione, la quale si diminuisce quasi in b, ed al tutto si perde in c, dove non che i rami di essa pianta si vedono, ma tutta la pianta con gran fatica si conosce. Ogni corpo ombroso, il quale sia di qualunque figura si voglia, in lunga distanza pare essere sferico; e questo nasce perché, s’egli è un corpo quadrato, in brevissima distanza si perdono gli angoli suoi, e poco più oltre si perdono i lati (Nel codice: “poco più disegno Leonardosi perde più di lati.”) minori che restano; e cosí, prima che si perda il tutto, si perdono le parti per essere minori del tutto, come l’uomo ch’è in tale aspetto perde prima le gambe, le braccia e la testa che il busto; dipoi perde prima gli estremi della lunghezza che della larghezza, e quando son fatti eguali, sarebbe quadro, se gli angoli vi restassero, ma non vi restando, è tondo.

880. Delle ombre delle piante.

Le ombre delle piante poste ne’ paesi non si dimostrano vestire di sé con medesima situazione nelle piante destre come nelle sinistre, e massime essendo il sole a destra od a sinistra. Provasi per la quarta che dice: i corpi opachi interposti infra il lume e l’occhio si dimostrano tutti ombrosi; e per la quinta: l’occhio interposto infra il corpo opaco ed il lume vede il corpo opaco tutto illuminato; e per la sesta: l’occhio ed il corpo opaco interposto infra le tenebre ed il lume sarà veduto mezzo ombroso e mezzo luminoso.

881. Delle ombre e trasparenze delle foglie.

Le foglie delle piante per essere trasparenti non mandano integrali tenebre alle foglie da loro ombrate, ma mandano ombre di piccola oscurità che acquistano bellezza di verde; e le terze foglie alle prime sottoposte pigliano doppia oscurità all’oscurità della seconda foglia, perché due sole foglie la ombrano, e cosí le terze e poi le quarte, sempre si vanno moltiplicando in oscurità, e così andrebbero in infinito. E però tu, pittore, quando fai le poste de’ gran rami fronzuti, falle più illuminate che la parte inverso il centro dell’albero, e le poste de’ rami più inverso il lume ancora più illuminate, e le poste di esse poste ancora più e le ultime foglie più, e più le parti ultime delle foglie disposte al lume. Tutte le erbe e foglie dell’albero interposte infra l’occhio ed il sole sono vedute per trasparenza aiutata dal lume del sole, la qual trasparenza è in suo sommo grado di bellezza di verde, ed è di più virtù de’ raggi solari, che dall’opposita parte l’illuminano, che per suo naturale colore.

882. Delle ombre delle foglie trasparenti.

Le ombre che sono nelle foglie trasparenti, vedute da rovescio, sono quelle medesime ombre che sono dal dritto di esse foglie, le quali traspariscono da rovescio insieme colla parte luminosa, ove è (Nell’edizione viennese. “fuorché.”) il lustro che mai può trasparire. Quando l’una verdura è dietro all’altra, i lustri delle foglie e le trasparenze si dimostrano di maggior potenza che quelle che confinano colla chiarezza dell’aria. E se il sole illumina le foglie che s’inframmettono infra esso e l’occhio, senza che l’occhio veda il sole, allora i lustri delle foglie e le loro trasparenze sono eccessivi. Molto è utile il fare alcune ramificazioni basse, le quali sieno scure e campeggino in verdure illuminate, che sieno alquanto remote dalle prime. Delle verdure oscure vedute di sotto, quella parte è più oscura ch’è più vicina all’occhio, cioè ch’è più distante dall’aria luminosa.

883. Del non fingere mai foglie trasparenti al sole.

Non fingere mai foglie trasparenti al sole perché sono confuse; e questo accade perché sopra la trasparenza di una foglia vi si stamperà l’ombra di un’altra foglia che le sta di sopra, la quale ombra è di termini spediti e di terminata oscurità, ed alcuna volta è mezza o terza parte di essa foglia che adombra, e cosí tale ramificazione è confusa, ed è da fuggire la sua imitazione. I ramiculi superiori de’ rami laterali delle piante si accostano più al lor ramo maestro che non fanno quei di sotto. Quella foglia è meno trasparente, che piglia il lume infra angoli più disformi. I rami più bassi delle piante che fan grandi foglie e frutti gravi, come noci e fichi e simili, sempre si dirizzano alla terra.

disegno Leonardo884. Dell’ombra della foglia.

Alcuna volta la foglia ha tre accidenti, cioè ombra, lustro e trasparenza, come se il lume fosse in n alla foglia s e l’occhio in m, che vedrà a luminato, b ombrato, c trasparente. La foglia di superficie concava veduta dal rovescio di sotto in su, alcuna volta si mostrerà mezzo ombrosa e mezzo trasparente; come: po sia la foglia ed il lume m e l’occhio n, il quale vedrà o adombrato, perché il lume non la percuote infra gli angoli eguali, né da diritto né da rovescio, e il p sarà il lume trasparente nel suo rovescio.
disegno Leonardo

885. Delle foglie oscure dinanzi alle trasparenti.

Quando le foglie saranno interposte infra il lume e l’occhio, allora la più vicina all’occhio sarà la più oscura, e la più remota sarà la più chiara, non campeggiando nell’aria; e questo accade nelle foglie che sono dal centro dell’albero in là, cioè inverso il lume.

886. Delle piante giovani e loro foglie.

Le piante giovani hanno le foglie più trasparenti e più pulita scorza che le vecchie, e massime il noce, ed è più chiaro di maggio che di settembre. Le ombre delle piante non sono mai nere, perché dove l’aria penetra non possono essere tenebre.

887. Del colore delle foglie.

Se il lume viene da m e l’occhio sia in n, esso occhio vede il colore delle foglie a b tutto partecipare del colore dell’m, cioè dell’aria, ed l b c saranno vedute da rovescio, trasparenti con bellissimo color verde partecipante di giallo. Se m sarà il luminoso illuminatore della foglia s, tutti gli occhi che vedranno il rovescio di essa foglia la vedranno di bellissimo verde chiaro, per essere trasparente. Molte sono le volte che le poste delle foglie saranno senza ombre, ed avranno il rovescio trasparente ed il diritto sarà lustro.

888. Degli alberi che mettono i rami diritti.

Il salice ed altre simili piante a cui si tagliano i rami ogni tre o quattro anni, mettono rami assai diritti, e la loro ombra è inverso il mezzo, dove nascono essi rami, ed inverso gli estremi fan poca ombra per le loro minute foglie ed i rari e sottili rami; adunque i rami che si levano inverso il cielo avranno poca ombra e poco rilievo, e que’ rami che guardano dall’orizzonte in giù nascono nella parte oscura dell’ombra e vengonsi rischiarando a poco a poco insino ai loro estremi; e questi mostrano buon rilievo per essere in gradi di rischiaramento in campo ombroso. Quella pianta sarà meno ombrata, che avrà più rara ramificazione e rare foglie.

889. Delle ombre degli alberi.

Stando il sole all’oriente, gli alberi occidentali all’occhio si dimostreranno di pochissimo rilievo e quasi d’insensibile dimostrazione se l’aria che infra l’occhio ed esse piante s’interpone è molto fosca: per la settima di questo, è son privati d’ombra, e, benché l’ombra sia in ciascuna divisione di ramificazione, egli accade che le similitudini dell’ombra e lume che vengono all’occhio sono confuse e miste insieme, e per la loro piccola figura non si possono comprendere. Ed i lumi principali sono nel mezzo delle piante, e le ombre inverso gli estremi, e le loro separazioni son divise dalle ombre degl’intervalli di esse piante, quando le selve sono spesse di alberi, e nelle rare i termini poco si vedono.

890. Degli alberi orientali.

Stando il sole all’oriente, gli alberi veduti inverso esso oriente avranno il lume che li circonderà d’intorno alle sue ombre, eccetto di verso la terra, salvo se l’albero non fosse stato rimondo l’anno innanzi. E gli alberi meridionali e settentrionali saranno mezzo ombrosi e mezzo luminosi, e più o meno ombrosi o luminosi, secondoché saranno più o meno orientali od occidentali. L’occhio alto o basso varia le ombre ed i lumi negli alberi, imperocché l’occhio alto vede gli alberi con poche ombre ed il basso con assai ombre. Tanto son varie le verdure delle piante, quanto son varie le loro specie. Stando il sole all’oriente, i suoi alberi sono oscuri inverso il mezzo, ed i loro estremi sono luminosi.

891. Delle ombre delle piante orientali.

Le ombre delle piante orientali occupano gran parte della pianta, e sono tanto più oscure quanto gli alberi sono più spessi di foglie.

892. Delle piante meridionali.

Quando il sole è all’oriente, le piante meridionali e settentrionali hanno quasi tanto di lume quanto di ombre, ma tanto maggior somma di lume quanto esse sono più occidentali, e tanto maggior somma di ombra quanto esse sono più orientali.

893. De’ prati.

Stando il sole all’oriente, le verdure de’ prati e d’altre piccole piante sono di bellissima verdura per essere trasparenti al sole, il che non accade ne’ prati occidentali; e le erbe meridionali e settentrionali sono di mediocre bellezza di verdura.

894. Delle erbe de’ prati.

Delle erbe che pigliano l’ombra delle piante che nascono infra esse, quelle che sono di qua dall’ombra hanno le festuche illuminate in campo ombroso, e le erbe che loro hanno ombrato hanno le festuche oscure in campo chiaro, cioè nel campo ch’è di là dall’ombra.

895. Dell’ombra della verdura.

Sempre l’ombra delle verdure partecipano dell’azzurro, e cosí ogni ombra di ogni altra cosa, e tanto più ne piglia quanto essa è più distante dall’occhio, e meno, quanto essa è più vicina.
disegno Leonardo

896. De’ paesi in pittura.

Gli alberi ed i monti de’ paesi fatti in pittura debbono mostrare le loro ombre da quel lato donde viene il lume, e debbono mostrare le parti illuminate da quel lato donde vengono le ombre; e mostrino il lume e le ombre in quelli che l’occhio vede dove vede il lume e le ombre; provasi per la figura in margine.

897. Perché le ombre de’ rami fronzuti non si dimostrano potenti vicino alle loro parti luminose come nelle parti opposite.

La parte illuminata de’ rami degli alberi in lunga distanza confonde le parti ombrose che infra le particole illuminate di essi rami si trovano. Questo accade perché le parti illuminate in lunga distanza crescono di lor figura, e le ombrose diminuiscono in tanta quantità, ch’esse non sono sensibili all’occhio, ma solo si dimostrano nelle loro similitudini, che vengono all’occhio, una cosa confusa, perché tali specie ombrose e luminose fanno insieme un misto, e per essersi più mantenute tali parti luminose, il composto di queste due qualità si dimostra essere di quella natura che apparisce la maggior parte del ramo.

898. Qual parte del ramo della pianta sarà più oscura.

Quella parte del ramo della pianta sarà più oscura, che sarà più remota da’ suoi estremi, essendo l’albero di uniforme spartimento di ramificazione.

899. Della veduta degli alberi.

Farai infra le piante che sono negli argini delle strade le loro ombre solari tutte discontinuate, a  similitudine delle poste delle frasche, onde derivano.

900. De’ paesi.

Sono i paesi chiari in sul principio, perché tu vedi infra le cime degli alberi e prati ed altri spazi ed intervalli delle piante. Ma quando tu cominci per la distanza a perdere essi intervalli, tu vedi solo le ramificazioni degli alberi, le quali, ancorch’esse sieno del medesimo colore de’ prati, pigliano più ombra verso il centro dell’albero, che non fa il prato per la loro spessitudine e diminuzione; onde per questo accade tale oscurità, la quale ancor essa poi per distanza si rischiara e convertesi nel colore dell’orizzonte.

901. Pittura della nebbia che cuopre i paesi.

Le nebbie che si mischiano per l’aria, quanto più si abbassano, più s’ingrossano, in modo che i raggi solari in quella più risplendono, essendo essa interposta infra il sole e l’occhio; ma se l’occhio s’interpone infra il sole e la nebbia, essa nebbia pare oscura, la quale oscurità è tanto più potente, quanto essa è più bassa, com’è provato; e l’una e l’altra nebbia restano oscure come nuvola, quando essa nuvola s’interpone infra il sole e la nebbia; ma la nebbia interposta infra il sole e l’occhio, per alquanto spazio rimossa dall’occhio, partecipa assai dello splendore del sole, e tanto più, quanto essa sarà più vicina al corpo solare; e gli edifici delle città si dimostreranno in tal caso tanto più oscuri, quanto e’ saranno posti in più lucente nebbia, perché allora saranno più vicini al sole, e perché è detto essa nebbia essere di grossezza uniformemente disforme, cioè ch’è tanto più grossa quanto essa più s’avvicina alla terra, e piglia tanto maggior splendore dal sole quant’essa è più bassa; per la qual cosa gli edifici paralleli, cioè torri e campanili che in essa si trovano, si dimostrano tanto men grossi, quanto essi saranno più vicini alla loro base; e questo è necessario, perché quel corpo oscuro si dimostra minore ch’è posto in più lucente aria; la ragione è posta nella trentaduesima della mia prospettiva.

902. De’ paesi.

Le parti ombrose de’ paesi remoti partecipano più di colore azzurro che le parti illuminate. Provasi per la definizione dell’azzurro in che si tinge l’aria privata di colore; la quale, se non avesse le tenebre sopra di sé resterebbe bianca, perché in sé l’azzurro dell’aria è composto di luce e di tenebre.

disegno Leonardo903. De’ paesi nelle nebbie o nel levare o nel porre del sole.

Dico de’ paesi all’occhio tuo orientali; nel levare del sole, ovvero colle nebbie od altri vapori grossi interposti infra il sole e l’occhio, dico ch’essi saranno molto più chiari inverso il sole e manco splendidi nelle parti opposite, cioè occidentali; ma s’egli è senza nebbia o vapori, la parte orientale, ovvero quella parte che si interpone infra il sole e l’occhio, sarà tanto più oscura, quanto essa è all’occhio più vicina; e tale accidente accadrà in quella parte che sarà più vicina al sole, cioè che parrà più sotto il sole; e nelle parti opposite farà il contrario a tempo chiaro, ed a tempo nebuloso farà il contrario de’ tempi belli.
disegno Leonardo

904. Degli alberi veduti di sotto.

Degli alberi veduti di sotto e contro al lume l’uno dopo l’altro vicinamente, la parte ultima del primo sarà trasparente e chiara in gran parte, e campeggierà nella parte oscura dell’albero secondo, e cosí faranno tutti successivamente, che saranno situati con le predette condizioni. s sia il lume, r sia l’occhio, cdn sia l’albero primo, abc sia il secondo; dico che r, occhio, vedrà la parte cf in gran parte trasparente e chiara, per il lume s che la vede dall’opposita parte, e la vedrà in campo oscuro bc, perché tale oscurità è l’ombra dell’albero abc. Ma se l’occhio è situato in f, esso vedrà op oscuro nel campo chiaro ng. Delle parti ombrose trasparenti degli alberi la più vicina a te è più oscura.
disegno Leonardo

905. Descrizione dell’olmo.

Questa ramificazione dell’olmo ha il maggior ramo nella sua fronte, e i minori sono il primo e il penultimo, quando la maestra è dritta. Il nascimento dell’una foglia all’altra è la metà della maggior lunghezza della foglia, alquanto manco, perché le foglie fanno intervallo, ch’è circa il terzo della larghezza di tal foglia. L’olmo ha le sue foglie più presso alla cima del suo ramo che al nascimento, e le loro larghezze poco variano dal risguardare ad un medesimo aspetto. Nelle composizioni degli alberi fronzuti sii avvertito di non replicare troppe volte un medesimo colore di una pianta, che campeggi sopra il medesimo colore dell’altra pianta, ma variale con verdura più chiara, o più scura, o più verde. Sempre la foglia volge il suo dritto inverso il cielo, acciò possa meglio ricevere con tutta la sua superficie la rugiada, che con lento moto discende dall’aria; e tali foglie sono in modo compartite sopra i loro rami, che l’una occupa l’altra meno che sia possibile coll’intrecciarsi l’una sopra dell’altra, come si vede fare all’edera che cuopre i muri; e tale intrecciamento serve a due cose, cioè a lasciare gl’intervalli perché l’aria ed il sole possano penetrare infra loro; la seconda, che le goccie che cadono dalla prima foglia possano cadere anco sopra la quarta e la sesta degli altri rami.

906. Delle foglie del noce.

Le foglie del noce sono compartite per tutto il ramiculo di quell’anno, e sono tanto più distanti l’una dall’altra e con maggior numero, quanto il ramo dove tal ramiculo nasce è più giovane, e sono tanto più vicine ne’ loro nascimenti e di minor numero, quanto il ramiculo dove nascono è nato in ramo più vecchio. Nascono i suoi frutti in estremo del suo ramiculo, ed i rami maggiori sono disotto al lor ramo, dove nascono; e questo accade, perché la gravità del suo umore è più atta a discendere che a montare, e per questo i rami che nascono sopra di loro, che vanno inverso il cielo, son piccoli e sottili, e quando il ramiculo guarda inverso il cielo, le foglie sue si dilatano dal suo estremo con eguali partizioni colle loro cime; e se il ramiculo guarda all’orizzonte, le foglie restano spianate; e questo nasce perché le foglie universalmente tengono il rovescio loro volto alla terra.

907. Degli aspetti de’ paesi.

Quando il sole è all’oriente, tutte le parti illuminate delle piante sono di bellissima verdura; e questo accade perché le foglie illuminate dal sole dentro alla metà dell’orizzonte, cioè la metà orientale, sono trasparenti. E dentro al semicircolo occidentale le verdure hanno tristo colore all’aria umida e torba di color cenere scura, per non essere trasparente come l’orientale, la quale è lucida, e tanto più, quanto essa è più umida.

908. Della trasforazione delle piante in sé.

La trasforazione dell’aria ne’ corpi delle piante, e la trasforazione delle piante infra l’aria in lunga distanza non si dimostrano all’occhio, perché, dove con fatica si comprende il tutto, con difficoltà si conoscono le parti, ma si fa un misto confuso, il quale partecipa più di quel ch’è maggior somma. I traforamenti dell’albero sono di particole di aria illuminata, le quali sono assai minori della pianta, e però prima si perdono di notizia ch’essa pianta; ma non resta per questo che esse non vi sieno, onde per necessità si fa un misto di aria e dell’oscuro dell’albero ombroso, il quale insieme concorre all’occhio che vede.

909. Degli alberi che occupano le trasforazioni l’un dell’altro.

disegno LeonardoQuella parte dell’albero sarà men trasforata, alla quale si oppone di dietro infra l’albero e l’aria maggior somma di altro albero; come nell’albero a non si occupa trasforazione, né in b, per non esservi alberi di dietro; ma in c vi è sol la metà trasforato; cioè co occupato dall’albero d, occupato dall’albero e (L’edizione viennese propone di correggere: “cioè co perché il resto è occupato dall’albero d, di cui parte è occupato dall’albero e,” ecc.); e poco più oltre tutta la trasforazione corporale degli alberi è persa. L’occhio posto di dietro alla fuga del vento non vedrà mai nessuna foglia di qualunque pianta, se non da rovescio, salvo quelle di que’ rami che sotto il vento risguardano esso vento, o le foglie de’ lauri o d’altre piante, che han forte appiccatura.

910. Precetti di piante e verdure.

Molto più chiari paiono gli alberi ed i prati risguardando quelli di dietro alla fuga del vento, che inverso il suo avvenimento; e questo nasce perché ciascuna foglia è più pallida da rovescio che dal suo dritto; chi le guarda di dietro alla fuga del vento, le vede da rovescio, e chi le risguarda incontro all’avvenimento del vento, le vede ombrose, perché i loro estremi si piegano e adombrano inverso il loro mezzo, ed oltre a questo si veggono per il verso del loro diritto. La somma dell’albero sarà più piegata dalla percussione del vento, la quale ha i rami più sottili e lunghi, come salici e simili. Se l’occhio sarà infra l’avvenimento e la fuga del vento, gli alberi gli mostreranno più spessi i loro rami di vêr l’avvenimento di esso vento che di vêr la fuga; e questo nasce perché il vento, che percuote le cime di essi alberi ad esso volte, le appoggia agli altri rami più potenti, onde quivi si fanno spessi e di poca trasparenza; ma i rami oppositi percossi dal vento che penetra per la trasforazione dell’albero, si rimovono dal centro della pianta e si rarificano. Delle piante di eguale grossezza ed altezza, quella sarà più piegata dal vento, della quale gli estremi de’ suoi rami laterali manco sono rimossi dal mezzo di tal pianta; e questo è causato perché la remozione de’ rami non fa scudo al mezzo della pianta contro all’avvenimento o percussione del vento. Quegli alberi sono più piegati dal corso del vento i quali sono più alti. Le piante che saranno più spesse di foglie più saranno piegate dalla percussione del vento. Nelle grandi selve e nelle biade e prati saranno vedute le onde fatte dal vento non altrimenti che si veggono nel mare o nei pelaghi. Quella pianta farà più oscura ombra, che sarà di più spesse e grosse foglie, come il lauro e simili. Le diritture de’ rami, che non son vinti dal peso delle foglie o de’ frutti, tutte si drizzano al centro della loro ramificazione. Tutte le grossezze de’ rami che ciascun albero mette anno per anno, essendo ciascuno annale per sé messo insieme, saranno eguali al primo pedale. I pedali delle vecchie piante nate in luoghi umidi ed ombrosi sempre saranno vestiti di verde lanugine. L’albero più giovane ha più pulita scorza che il vecchio. I rami superiori delle piante saranno più copiosi di foglie che gl’inferiori. Le parti esteriori delle selve hanno le piante più copiose di foglie che le interiori. I fondi di quelle selve saranno manco erbosi, le quali saranno più spesse.

911. Del comporre in pittura il fondamento de’ colori delle piante.

Modo di comporre in pittura i fondamenti de’ colori delle piante che campeggiano nell’aria: falle come tu le vedi di notte a poco chiarore, perché tu le vedrai egualmente di un colore oscuro trasforate dal chiarore dell’aria; e cosí vedrai la loro semplice figura spedita senza impedimento di varî colori di verde chiaro o scuro.

912. Precetto.

Delle ramificazioni delle piante, alcune ne sono acute, alcune rotonde. Le più grosse cime delle ramificazioni degli alberi mettono maggiori foglie, o maggior quantità, che nessun altro estremo di ramo. Sempre le cime delle ramificazioni sono quelle che prima si empiono di foglie. Le più grosse cime de’ rami sempre sono le maestre de’ maggiori rami degli alberi; e cosí di converso le più sottili cime di essi rami sono più remote da esse maestre di tali rami.

913. Precetto delle piante.

De’ rami, ovvero delle loro piante, alcune ne sono integralmente condotte dalla natura, ed alcune sono impedite per mancamento naturale; e queste si seccano per sé o tutte o in parte, ed alcune mancano di loro naturale quantità per tagliamenti fatti dagli uomini, ed alcune per rompimenti di saette o di venti, od altre tempeste. Gli alberi che nascono presso alle marine che sono scoperte ai venti son tutti piegati dal vento, e cosí piegati crescono e cosí restano.

914. Delle erbe.

Delle erbe, alcune ne sono all’ombra ed alcune al lume; e se l’occhio è di verso le ombre, vedrà le erbe ombrose avere per campo la chiarezza delle erbe illuminate; e se l’occhio è di verso il lume, vedrà le erbe illuminate aver per campo l’oscurità delle erbe ombrose.

915. Delle foglie.

Della chiarezza delle foglie, alcuna n’è per la sua trasparenza, perché sono interposte infra l’occhio ed il lume, ed alcuna n’è della semplice illuminazione dell’aria, ed alcuna è che riceve lustro. La foglia trasparente mostra più bel colore che non il suo naturale; l’illuminata dall’aria lo mostra di più vero colore; il lustro partecipa più del colore dell’aria che si specchia nella densità della superficie della foglia che del suo natural colore. Quella foglia che è di superficie pelosa non riceve lustro. Quel cespo sarà manco ombroso che sarà più raro e di ramificazione più sottile. Delle foglie delle erbe, quella sarà più frappata che sarà più presso alla sua semenza, e la men frappata sarà più vicina al suo nascimento.

916. Precetto del contraffare il color delle foglie.

Quelli che si vogliono non integralmente fidare del loro giudizio nel contraffare i veri colori delle foglie debbono pigliare una foglia di quell’albero che si vuol contraffare e sopra di quella fare le loro mistioni; e quando essa mistione non sarà conosciuta in differenza dal colore di tal foglia, allora tu sarai certo che tal colore è d’intera imitazione della foglia; e cosí puoi fare nelle altre che vuoi imitare.

Parte settima
DE’ NUVOLI.

917. De’ nuvoli.

Le nuvole sono nebbie tirate in alto dal caldo del sole, e la loro (si arresta.) dove il loro acquistato peso si fa di potenza eguale al suo motore; e l’acquistato peso nasce dalla loro condensazione, e la condensazione ha origine dal calore ch’è in esse infuso, che si rifugge dagli estremi che si trovano penetrati dal freddo della mezza regione dell’aria; e l’umidità seguita il caldo che lassù la condusse, in qualunque parte esso caldo si fugge; e perché si fugge inverso il mezzo di ciascuna globosità de’ nuvoli, esse globosità si condensano con terminate superficie ad uso di dense montagne, e pigliano le ombre mediante i raggi solari che lassù le percuotono. I nuvoli si dimostrano alcuna volta ricevere i raggi solari, ed illuminarsi a modo di dense montagne, ed alcuna volta i medesimi restare oscurissimi, senza variare in alcuna lor parte essa oscurità; e questo nasce per le ombre che lor fanno quegli altri nuvoli, che loro tolgono i raggi solari, interponendosi infra il sole ed essi nuvoli oscurati.

918. Del rossore de’ nuvoli.

Quel rossore nel quale si tingono i nuvoli, con tanto minore o maggior rossore nasce, quando il sole si trova agli orizzonti da sera o da mattina, e perché quel corpo che ha alquanto trasparenza è alquanto penetrato dai raggi solari, quando esso sole si dimostra da sera o da mattina, e perché quelle parti de’ nuvoli che sono inverso gli estremi delle loro globosità sono più sottili in grossezza che nel mezzo di essa globosità, i raggi solari li penetrano con più splendente rossore che quelle parti grosse, che restano oscure per essere impenetrabili da tali raggi solari; e sempre i nuvoli son più sottili ne’ contatti delle loro globosità che in mezzo, come qui di sopra è provato; e per questo il rossore de’ nuvoli è di varie qualità di rosso. Dico che l’occhio interposto infra le globosità de’ nuvoli ed il corpo del sole vedrà i mezzi di esse globosità essere di maggior splendore, che in alcuna altra parte; ma se l’occhio è da lato, in modo che le linee che vengono dalle globosità all’occhio e dal sole al medesimo occhio facciano congiunzione minore dell’angolo retto, allora il lume massimo di tali globulenze de’ nuvoli sarà negli estremi di esse globulenze. Quel che qui si tratta del rossore de’ nuvoli, s’intende essendo il sole di retro ai nuvoli; ma se il sole è dinanzi ai medesimi nuvoli, allora le globosità loro saranno di maggior splendore che ne’ loro intervalli, cioè nel mezzo delle globosità e concavità; ma non ne’ lati, che veggon l’oscurità del cielo e della terra.

919. Della creazione de’ nuvoli.

I nuvoli sono creati da umidità infusa per l’aria, la quale si congrega mediante il freddo che con diversi venti è trasportato per l’aria; e tali nuvoli generano venti nella loro creazione, siccome nella loro distruzione; ma nella creazione si generano, perché lo sparso e vaporato umido nel concorrere alla creazione de’ nuvoli lascia di sé vuoto il luogo donde si fuggí; e perché non si dà vacuo in natura, egli è necessario che le parti dell’aria circostante alla fuga dell’umido riempiano di sé il principiato vacuo: e questo tal moto è detto vento. Ma quando mediante il calore del sole tali nuvoli si risolvono in aria, allora si genera contrario vento, creato dalla distruzione ed evaporazione del composto nuvolo; e l’uno e l’altro accidente, com’è detto, sono causati di vento. E tali venti si generano in ogni parte dell’aria, ch’è alterata dal caldo o dal freddo, ed il moto loro è retto e non è curvo, come vuole l’avversario; perché, se fosse curvo, non bisognerebbe alzare o abbassare le vele ai navigli, per cercare dell’alto o basso vento; anzi, quella vela che fosse percossa da un vento sarebbe al continuo accompagnata da esso vento infinché durasse; il che in contrario ci mostra l’esperienza, nel vedere percossa la pelle dell’acqua in diverse parti di un medesimo mare, con brevi e corti moti dilatabili, manifesti segni che da diversi luoghi con diverse obliquità di moti discendono i venti d’alto in basso; e tali moti si disgregano per diversi aspetti dai loro principî; e perché il mare ha superficie sferica, molte volte le onde scorrono senza vento, poiché l’alzato vento le abbandona, onde esse si muovono col principiato impeto.

920. De’ nuvoli e loro gravità e levità.

Il nuvolo è più lieve dell’aria che gli sta di sotto, ed è più greve dell’aria che gli sta di sopra.

921. Perché della nebbia si fa nuvoli.

La nebbia percossa da varî corsi di venti si condensa e si fa nuvolo con varie globulenze.

922. Dell’aria tutta nuvolosa.

L’aria tutta nuvolosa rende sotto sé la campagna più chiara o più oscura, secondo le minori o maggiori grossezze de’ nuvoli che s’interpongono infra il sole ed essa campagna. Quando l’aria ingrossata che s’interpone infra il sole e la terra sarà di uniforme grossezza, tu vedrai poca differenza dalle parti illuminate alle ombrate di qualunque corpo.

923. Dell’ombra de’ nuvoli.

Facciansi le ombre de’ nuvoli sopra la terra cogl’intervalli percossi dai raggi solari, con maggiore o minor splendore, secondo la maggiore o minor trasparenza di essi nuvoli. I nuvoli sono di tanto maggior rossore, quanto essi sono più vicini all’orizzonte, e sono di tanto minor rossore, quanto essi sono più remoti da esso orizzonte.

924. De’ nuvoli.

Quando i nuvoli s’interpongono infra il sole e la campagna, le verdure de’ boschi si dimostreranno di ombre di poca oscurità, e le differenze infra loro ed i lumi saranno di poca varietà di oscurità o chiarezza; perché, essendo illuminate dalla gran somma del lume del loro emisfero, le ombre sono cacciate e rifuggite inverso il centro degli alberi, ed inverso quella parte di loro che si mostra alla terra.

925. De’ nuvoli sotto la luna.

Il nuvolo che si trova sotto la luna è più scuro che qualunque altro, ed i più remoti sono più chiari, e la parte del nuvolo ch’è trasparente dentro ed infra gli estremi di esso nuvolo, par più chiara che alcun’altra simile parte ch’è nelle trasparenze de’ nuvoli più remoti; perché in ogni grado di distanza il mezzo dei nuvoli si fa più chiaro, e le lor parti chiare si fanno più opache rosseggianti di mortificato rossore; e gli estremi delle loro oscurità entranti nella trasparente loro chiarezza sono di termini fumosi e confusi; ed il simile fanno gli estremi delle loro chiarezze che terminano coll’aria. Ed i nuvoli di piccola grossezza son tutti trasparenti, e più inverso il mezzo che negli estremi, ch’è colore morto rosseggiante in colore rozzo e confuso. E quanto i nuvoli sono più discosti dalla luna, il loro lume è più albo, che avanza intorno all’ombrosità del nuvolo, e massime di verso la luna, e quel ch’è sottile non ha nigredine e poco albore, perché in esso penetra la oscurità della notte che si mostra nell’aria.

926. De’ nuvoli.

Fa che i nuvoli facciano le loro ombre in terra, e fa i nuvoli di tanto maggior rossore, quanto e’ sono più vicini all’orizzonte.

Parte ottava
DELL’ORIZZONTE.

927. Qual sia il vero sito dell’orizzonte.

disegno LeonardoSono gli orizzonti di varie distanze dall’occhio, conciossiaché quello è detto orizzonte dove la chiarezza dell’aria termina col termine della terra, ed è in tanti siti veduto d’un medesimo perpendicolare sopra il centro del mondo, quante sono le altezze dell’occhio che il vede; perché l’occhio, posto alla pelle del mare quieto, vede esso orizzonte vicino un mezzo miglio o circa; e se l’uomo s’innalza coll’occhio, quant’è la sua universale altezza, l’orizzonte si vede remoto da lui sette miglia, e cosí in ogni grado di altezza scopre l’orizzonte più remoto da sé, onde accade che quelli che sono nelle cime degli alti monti vicini al mare vedono il cerchio dell’orizzonte molto remoto da loro; ma quelli che sono infra terra non hanno l’orizzonte con eguale distanza, perché la superficie della terra non è egualmente distante dal centro del mondo, onde non è di perfetta sfericità, com’è la pelle dell’acqua; e quest’è causa di tal varietà di distanze infra l’occhio e l’orizzonte. Mai l’orizzonte della sfera dell’acqua sarà più alto delle piante de’ piedi di colui che il vede stando in contatto con esse piante col contatto che ha il termine del mare col termine della terra scoperta dalle acque. L’orizzonte del cielo alcuna volta è molto vicino, e massime a quello che si trova a lato alle sommità de’ monti, e lo vede generare nel termine di essa sommità; e voltandosi indietro all’orizzonte del mare lo vedrà remotissimo.
Molto distante è l’orizzonte che si vede nel lito del mare di Egitto; riguardando pel corso l’avvenimento del Nilo inverso l’Etiopia colle sue pianure laterali, si vede l’orizzonte confuso, anzi incognito, perché v’è tre mila miglia di pianura che sempre s’innalza insieme coll’altezza del fiume, e s’interpone tanta grossezza d’aria infra l’occhio e l’orizzonte etiopico, che ogni cosa si fa bianca; e cosí tale orizzonte si perde di sua notizia. E questi tali orizzonti fanno molto bel vedere in pittura. Vero è che si deve fare alcune montagne laterali con gradi di colori diminuiti, come richiede l’ordine della diminuzione de’ colori nelle lunghe distanze. Ma per dimostrare che la piramide de’ prospettivi abbraccia spazio infinito, noi immagineremo ab occhio, il quale taglia i gradi di una distanza infinita dnmop, e li taglia con le linee visuali nella parete cd, le quali linee visuali in ogni grado di distanza del lor nascimento acquistano altezza in essa parete cd, né mai perverranno all’altezza dell’occhio; e per essere cd parete di una quantità continua, essa è divisibile in infinito e mai sarà ripiena delle linee visuali, ancoraché la lunghezza di tale ultima linea fosse infinita; né mai vi giungerai con una linea parallela, ancoraché lo spazio bs fosse infinito. Le figure che poco diminuiscono poco sono remote dall’occhio, onde per necessità sempre il termine naturale dell’orizzonte si scontra nell’occhio della figura ritratta, com’è la figura at che vede la figura ru vicina a sé nella parte più estrema della piramide atb, cioè ru è minore che at; ma questa tal piramide non è quella che dimanda la prospettiva; conciossiaché quella non si dà in pratiche per avere essa spazio infinito dalla base alla sua punta, e questa di sopra ha sette miglia da essa base alla detta punta.
disegno Leonardo

928. Dell’orizzonte.

L’orizzonte del cielo e della terra finisce in una medesima linea. Provasi, e sia la sfera della terra dnm, e la sfera dell’aria arp, e l’occhio d’esso veditore dell’orizzonte della terra sia b, ed f è il detto orizzonte della terra, nel quale finisce la veduta dell’aria, e pare che a, aria, sia congiunta con f, terra.

929. Del vero orizzonte.disegno Leonardo

Il vero orizzonte ha da essere il termine della sfera dell’acqua, la quale sia immobile, perché tale immobilità statuisce superficie equidistante al centro del mondo, come a suo luogo sarà provato. Se il cielo e la terra fossero di piana superficie con inframmissione di spazio equidistante, senza dubbio l’orizzonte de’ prospettivi sarebbe all’altezza di quell’occhio che lo vede; ma tali spazi paralleli sarebbe necessario fossero d’infinita distanza, s’essi avessero a parere all’occhio concorrere in linea, cioè in contatto; e questo contatto sarebbe all’altezza dell’occhio di esso risguardatore; ma perché la terra avrebbe minor quantità di piano che non sarebbe quello del cielo, egli accadrebbe che quando la planizie del cielo avesse il suo ultimo termine disceso al pari dell’occhio, l’orizzonte della terra sarebbe alzato all’ombilico del medesimo riguardatore, e per questo non concorrono al medesimo occhio; ma perché tal cielo e terra non sono divisi da spazio di parallela, o vo’ dire equidistante planizie, ma di disegno Leonardospazio convesso nella parte del cielo, e concavo nella parte che veste la terra, egli accade che ogni parte che ha la superficie della terra può essere orizzonte, il che accadere non può essendo piani il cielo e la terra, come si mostra nel cielo ab e nella terra fe, essendo l’occhio in g e la parete cd, dove gli orizzonti a f del cielo e della terra piani si tagliano ne’ punti n m.

930. Dell’orizzonte.

disegno LeonardoL’orizzonte non sarà mai eguale all’altezza dell’occhio che lo vede. Quella figura ch’è più presso all’orizzonte avrà esso orizzonte più vicino a’ suoi piedi stando tu saldo che lo guardi. Quella cosa è più alta ch’è più distante dal centro del mondo. Adunque la linea retta equigiacente non è di eguale altezza, e per conseguenza non è equigiacente; onde, se dirai una linea di eguale altezza, non s’intenderà che essa sia altro che curva. Se a b sono due uomini, l’orizzonte n verrà al pari della loro altezza.
disegno Leonardo

931. Dell’orizzonte.

Se la terra è sferica, mai l’orizzonte perverrà all’altezza dell’occhio che sarà più alto che la superficie della terra. Diciamo che l’altezza dell’occhio sia nm, e che la linea giudiciale, ovvero parete, sia br, ed a sia l’orizzonte, e che la linea grh sia la curvità della terra; dico adunque, che l’orizzonte, secondo la rettitudine di afk, è più basso che i piedi dell’uomo tutto mf, e più basso, secondo la volta della terra, tutto bo.
disegno Leonardo

932. Se l’occhio che vede l’orizzonte marittimo, stando co’ piedi alla pelle di esso mare, vede esso orizzonte più basso di sé.

L’orizzonte marittimo si mostrerà tanto più basso dell’occhio di quel che tiene i piedi ai termini dell’acqua di esso mare, quanta è l’altezza ch’è dall’occhio del veditore di esso orizzonte a’ suoi piedi. Provasi: n sia la riva del mare, an è l’altezza dell’uomo che vede l’orizzonte marittimo in o, dove la linea centrale del mondo mo cade perpendicolare nella linea visuale ar che termina in o, superficie del mare, per la definizione del cerchio; la centrale am eccede la centrale om con tutto l’eccesso an, ch’è la distanza dai piedi dell’uomo a’ suoi occhi.

933. Dell’orizzonte specchiato nell’acqua corrente.disegno Leonardo

L’acqua che corre infra l’occhio e l’orizzonte non rifletterà ad esso occhio tale orizzonte, perché l’occhio non vede quel lato dell’onda il quale è veduto dall’orizzonte, né l’orizzonte vede quel lato dell’onda ch’è veduto dall’occhio. Adunque, per la sesta di questo è concluso il nostro proposito, la quale sesta dice, ch’è impossibile che l’occhio vegga il simulacro, dove non vede la cosa reale e l’occhio in un medesimo tempo. Sia l’onda cb, e l’occhio a, e l’orizzonte d; dico che l’occhio a, non vedendo i lati dell’onda bg, non vedrà ancora il simulacro del d che in tale lato si specchia.

934. Dove l’orizzonte si specchia nell’onda.

disegno LeonardoSi specchierà l’orizzonte, per la sesta di questo, nel lato veduto dall’orizzonte e dall’occhio, come si dimostra l’orizzonte f veduto dal lato dell’onda bc, il qual lato è ancora veduto dall’occhio. Adunque tu, pittore, ch’hai a figurare la inondazione dell’acqua, ricordati che da te non sarà veduto il colore dell’acqua essere altrimenti chiaro o scuro, che si sia la chiarezza o l’oscurità del sito dove tu sei, insieme misto col colore delle altre cose che sono dopo te.

935. Perché l’aria grossa vicina all’orizzonte si fa rossa.

Si fa l’aria rossa cosí all’orizzonte orientale come all’occidentale, essendo grossa, e questo rossore si genera infra l’occhio ed il sole. Ma il rossore dell’arco celeste si genera stando l’occhio infra la pioggia ed il sole; e la causa dell’uno è il sole e l’umidità dell’aria; ma del rossore dell’arco sono causa il sole, la pioggia e l’occhio che il vede. Il qual rossore, insieme cogli altri colori, sarà di tanto maggiore eccellenza, quanto la pioggia sarà composta di più grosse gocciole. E quanto tali gocciole sono più minute, tanto essi colori sono più morti; e se la pioggia è di natura di nebbia, allora l’arco sarà bianco integralmente scolorito; ma l’occhio vuol essere infra la nebbia ed il sole.